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sabato 1 novembre 2025

Tourn. L'angoscia di Robert Prevost sugli abusi

"Dietro l'apparente imperturbabilità, Leone XIV nasconde una preoccupazione che non gli fa dormire sonni tranquilli: l'imbarazzo per l'enigmatico caso degli abusi alle sorelle Quispe in Perù".
QUI la seconda puntata.
QUI la terza puntata.
QUI la quarta puntata.
Luigi C.


Appena eletto, lo scorso 8 maggio, Prevost è stato accusato di mala gestione di un caso di abusi sessuali commessi da un sacerdote che era sotto la sua responsabilità quando era vescovo della diocesi di Chiclayo, in Perù. La vicenda, evocata da alcuni siti cattolici conservatori, è stata subito liquidata, seppur irrisolta, come una vendetta dei nemici del papa, in particolare degli ambienti vicini al Sodalizio di vita cristiana, una società di vita apostolica laicale, approvata da Papa San Giovanni Paolo II nel 1997 e soppressa il 15 aprile scorso da Francesco dopo una lunga seria di scandali. L’inciampo di Chiclayo sembrava quindi destinato a finire subito nell’oblio ma a ritirarlo fuori e dargli nuova vita ci ha pensato, incredibilmente, lo stesso Prevost. Giorgio Meletti ci racconta nei dettagli una storia che dimostra che Cicerone non sbagliava quando diceva che il peggior nemico di sé stesso è l’uomo (anche se papa).

Nel libro LEON XIV - Ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI, biografia più che autorizzata scritta da Elise Ann Allen, vaticanista amica di Robert Prevost, pubblicata per motivi misteriosi solo in spagnolo e uscita in coincidenza del settantesimo compleanno del papa il 14 settembre, a un certo punto c’è una pagina letteralmente incredibile. Prevost racconta a Allen il suo ultimo incontro con papa Francesco e c’è da stropicciarsi gli occhi e rileggere dieci volte per convincersi che l’abbia detto davvero.

Vediamo il contesto. Il 24 marzo Jorge Mario Bergoglio è tornato a Santa Marta, dopo il lungo ricovero al Gemelli, per morire nel suo letto. Già da mesi si parla di conclave e papabili, e proprio il giorno dopo, il 25 marzo, il network Snap scrive al segretario di Stato Pietro Parolin, e al prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede, Victor Fernandez, per denunciare le presunte malefatte di Prevost intento a coprire pedofili. Di queste accuse si discute nel mondo cattolico e sui media da mesi, e gli attacchi a Prevost sono messi in connessione diretta con la marcia di avvicinamento al conclave, per il quale il cardinale americano è in pole position anche se i candidati italiani e i loro giornalisti di riferimento fanno finta di non accorgersene. Qualche giorno dopo papa Francesco convoca il cardinale Prevost, in quel momento ancora prefetto del Dicastero per i vescovi. Ecco il racconto testuale consegnato dal protagonista a Elise Ann Allen.

Ho ricevuto una telefonata in cui mi si chiedeva di andare in segreto a Santa Marta, e mi dissero: «Non lo dica a nessuno». Il papa voleva vedermi. E non mi dissero altro. Così non lo dissi a nessuno in ufficio, né alla segretaria, a nessuno. Semplicemente sparii e andai. Salii per la scala di servizio, e nessuno mi vide.

Poi, dopo che mi ebbe detto ciò che voleva, che riguardava il lavoro, i vescovi, e altri argomenti che aveva in mente, gli dissi: «Per sua informazione, santo padre, ho pensato che forse il motivo per cui mi ha chiamato in questo modo fosse perché voleva la mia rinuncia». Ridiamo insieme. Quando si irritava con qualcuno, glielo diceva chiaramente, e poiché mi avevano detto di andare e sapevo che non stava ancora ricevendo molte persone, pensai: «Oh, e adesso che sarà successo?». Ma ovviamente non mi chiese la rinuncia.

Con apparente sbadataggine il papa consegna alla infosfera una testimonianza imbarazzante per tutta la Chiesa. Perché mai doveva temere che il papa in fin di vita lo chiamasse per farlo fuori? Ci sono due risposte possibili, e sono una più imbarazzante dell’altra.

La prima è che il successore di Francesco accredita nel modo più ufficiale l’immagine che, all’interno della curia ha accompagnato gli ultimi anni Bergoglio: un uomo psichicamente instabile, cattivo e capriccioso, capace di silurare vescovi e cardinali senza un chiaro motivo. Ciò che ha fatto il 24 settembre 2020 con il cardinale Angelo Becciu, fino a pochi mesi prima il suo più stretto collaboratore come Sostituto della segreteria di Stato e di fatto numero tre della gerarchia cattolica.

La seconda è che Prevost temesse che Francesco gli presentasse il conto del caso Quispe, quello sollevato appunto dallo Snap: la storia di tre sorelle abusate da un sacerdote che accusano Prevost di averlo coperto quando era vescovo di Chiclayo, in Perù. Lo temeva davvero, lo dice lui. Ma come gli è saltato in mente di far conoscere al mondo questo pensiero così privato e, appunto, imbarazzante?

Qualcosa non torna. Il settantenne Robert Francis Prevost, dal giorno in cui è stato eletto papa et sibi imposuit il nome Leone XIV, ha voluto presentarsi come un uomo tranquillo, mite ma fermo, un montaliano “uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura”. E mentre tutta la stampa mondiale, servile come lo spirito dei tempi comanda, con toni lirici assevera ogni giorno il suo autoritratto, l’uomo di Chicago non fa altro che seminare indizi di segno opposto: come se volesse disperatamente informarci che vive nella paura, e che l’ombra sua lo angoscia.

A tenerlo sveglio la notte, a quanto pare, c’è proprio questa storia di abusi sessuali commessi da un sacerdote peruviano una ventina di anni fa, una storia tutto sommato trascurabile - detto con tutto il rispetto per le vittime - se confrontata con le migliaia di veri e propri orrori quotidiani con i quali i preti dei cinque continenti stanno sistematicamente mettendo in pericolo la stessa esistenza della Chiesa cattolica. Ma non c’è niente da fare. Da due anni, cioè da molto prima che diventasse papa, Prevost è ossessionato dal sospetto di aver coperto il pedofilo Eleuterio Vásquez Gonzáles, detto padre Lute, nonostante il coro quasi unanime di sacerdoti, vescovi, vaticanisti e giornalisti amici che considerano quelle accuse false e strumentali, ordite da un ex agostiniano in conflitto con Prevost da circa 30 anni.

Appena eletto Prevost, l’8 maggio 2025, questo piccolo scheletro è uscito dagli armadi dei siti cattolici più tradizionalisti senza che se ne capisse il movente politico: con il papa di Chicago il pendolo della Chiesa torna verso la tradizione, basti pensare alla messa in latino celebrata in San Pietro dal super tradizionalista cardinale Raymond Burke sabato 25 ottobre. Infatti questi siti si sono limitati a riprendere una notizia, e la notizia l’hanno data le organizzazioni delle vittime di abusi, prima fra tutte lo Snap (Survivors Network of those Abused by Priests). Insomma, ciò che toglie il sonno a Prevost non sono attacchi politicamente orientati ma fatti: un passato che non vuole passare, almeno nella sua testa.

Ed è così che la biografia autorizzata scritta dalla sua amica Elise Ann Allen dedica uno spazio abnorme alla drammatica vicenda di tre sorelle peruviane - Ana Maria, Aura Teresa e Juana Mercedes Quispe Diaz - tutte e tre abusate da padre Lute quando erano bambine e che solo molti anni dopo hanno trovato la forza di denunciare l’accaduto al loro vescovo che, nel 2020, quando inizia il tormento, è appunto il vescovo di Chiclayo Robert Prevost.

Per 25 pagine Allen accompagna una appassionata perorazione tutta difensiva di Prevost, che si fa virgolettare ampi stralci del proprio punto di vista, ma deve anche dare la parola a Ana Maria, la più determinata delle sorelle Quispe. La quale conferma le accuse in modo assai incisivo. Dice in sostanza che quando lei e le sue sorelle sono andate a parlare con Prevost lui è stato molto gentile e comprensivo ma non ha denunciato padre Lute alla magistratura (come avrebbe dovuto fare in obbedienza al motu proprio Vos estis lux mundi, promulgato da Francesco il 9 maggio 2019), e ha aperto solo formalmente la cosiddetta indagine previa, senza fare nessuna indagine reale e senza verbalizzare la testimonianza delle vittime.

Scrive Allen, in conclusione delle 25 accuratissime pagine: «D’altra parte, contrariamente a quanto affermano altre testimonianze citate in questo libro, Ana María sostiene che, sebbene la diocesi [cioè Prevost, ndr] abbia aperto il caso, non ha svolto un’indagine, con la scusa che “nella Chiesa non esiste un modo per indagare”. Tuttavia, come ha confermato il Vaticano, a Roma esiste effettivamente un fascicolo, il che dimostrerebbe che un’indagine è stata condotta. Quispe insiste sul fatto che in tale dossier esista soltanto “un foglio”, il che significherebbe, secondo lei, che non c’è stata un’indagine adeguata, e accusa la diocesi di aver utilizzato l’archiviazione del suo caso civile per chiuderlo anche a Roma». Insomma, Allen non può dare della bugiarda a Quispe e lascia al lettore il dubbio che Prevost abbia davvero di che non dormire la notte. Da qui un verdetto che sta tra l’incerto e l’ambiguo: «Alla fine, ciò che risulta chiaro è che non si tratta di un caso di abuso come tanti altri, ma di uno in cui uno sforzo genuino per aiutare le vittime si è scontrato con molti interessi particolari, personali e istituzionali, con l’elezione del papa Leone XIV e, in mezzo a tutto ciò, tre donne rimasero disorientate, sentendosi usate».

Ma qui il punto non è stabilire se hanno eletto papa un protettore di pedofili, tema che per per la verità nessuno ha posto in questi termini anche perché, come direbbero i vaticanisti togati (per non prendere posizione, ché non si sa mai), ogni pontefice ha le sue luci e le sue ombre. Il tema che salta agli occhi è quello dell’angoscia di Prevost che proprio il libro di Allen fotografa in modo nitido, tanto da farci chiedere perché il pontefice abbia deciso di mettersi nei guai da solo. Seminando questo indizio e diversi altri che saranno raccontati nelle prossime puntate.