Ancora sulla rimozione del nostro Blog da parte di Google.
Luigi C.
Gaetano Masciullo, European Conservative, 19-11-25
L'episodio che ha scosso una delle voci più importanti del mondo cattolico conservatore in Italia durante l'estate del 2025 – ovvero il blog Messainlatino.it – rimane uno dei segnali più eloquenti delle fragilità etiche che affliggono l'ecosistema digitale odierno. Il blog è stato messo offline per dodici giorni da Google-Blogger con la generica accusa di "incitamento all'odio". È stato privato, senza preavviso, del suo spazio pubblico, nonostante l'attenzione e la cura dei redattori nel bilanciare la piena conformità dei contenuti alla dottrina cattolica e il massimo rispetto dovuto alle persone.
L'improvvisa rimozione, avvenuta dopo la pubblicazione di una lettera del vescovo Strickland contro il diaconato femminile, in seguito a una serie di segnalazioni e nel clima già teso seguito alle rivelazioni sul dossier Summorum Pontificum , ha evidenziato quanto facilmente un algoritmo possa trasformarsi in uno strumento di censura ingiusta, soprattutto quando il giudizio quantitativo prevale sulla valutazione dei fatti. europeanconservative.com ha trattato la questione qui .
Oggi, tuttavia, lo scenario è cambiato. Dopo tre mesi di battaglia legale, i curatori del sito hanno avuto la meglio in tribunale: Google è stata ritenuta responsabile di aver violato la libertà di espressione e di religione dei redattori, ed è stata condannata al pagamento delle spese legali, aprendo così un nuovo capitolo nella tutela dei contenuti confessionali online. Questa vittoria non solo restituisce onore a una voce fedele alla tradizione cattolica, ma segna anche l'inizio di sviluppi più ampi, destinati a incidere sul rapporto tra piattaforme digitali e comunità cristiane che desiderano servire la verità con franchezza.
Non bisogna dimenticare che il caso di MiL non è un'eccezione, né una querelle marginale nata da un post discutibile, bensì il sintomo di una falla più ampia in un sistema censorio interamente delegato a un algoritmo di una Big Tech, quasi per definizione spersonalizzato. Non a caso questa ingiusta censura è stata denunciata sia a livello nazionale, attraverso un'interrogazione parlamentare della deputata italiana Maddalena Morgante, sia a livello europeo, attraverso un'interrogazione analoga dell'eurodeputato italiano Paolo Inselvini.
Ciò premesso, come affermato dal volto pubblico del blog in questione, Luigi Casalini, in una recente intervista , il caso MiL è destinato a costituire un precedente. Diverse riviste specializzate hanno già richiesto di studiare e analizzare a fondo il procedimento giudiziario al fine di trarne conclusioni utili sia per gli studiosi della governance digitale sia (forse soprattutto) per i legislatori.
Il caso si è innanzitutto configurato come una violazione procedurale significativa nell'ambito del DSA, il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali. La chiusura del blog, avvenuta l'11 luglio 2025, è stata effettuata senza alcuna giustificazione specifica, in palese contrasto con l'obbligo di notifica e azione previsto dal diritto europeo. Secondo tale disposizione, qualsiasi decisione di limitare o rimuovere contenuti online, sia a seguito di segnalazioni degli utenti che di rilevamento algoritmico, deve essere comunicata all'utente interessato con motivazioni chiare e precise, nonché con possibilità di ricorso.
In questo caso, Google non ha specificato il contenuto contestato, non ha avviato un processo di revisione umana e ha delegato l'intera decisione a un algoritmo, come dimostra l'email non firmata ricevuta dagli amministratori del sito. Questo elemento rappresenta il punto di frizione più evidente con i principi di trasparenza e responsabilità che l'Unione Europea cerca di imporre a quelle che vengono comunemente chiamate VLOP (Very Large Online Platform).
A ciò si è aggiunta la difficoltà incontrata dai redattori nel reperire un referente territoriale competente – tra Italia, Irlanda e Stati Uniti – che ha ulteriormente evidenziato le attuali carenze dell’architettura europea di “sovranità digitale”, ancora incapace di garantire un’interlocuzione efficace e immediata tra utenti e grandi operatori extraeuropei.
La sentenza del tribunale italiano, che ha dato ragione al blog, dovrebbe segnare una svolta per la corretta comprensione della libertà di espressione e della libertà di religione nell'attuale mondo della moderazione digitale algoritmica. Il giudice, infatti, ha ribadito il primato del diritto fondamentale alla libera espressione del proprio pensiero sulle decisioni automatizzate ingiustificate, riconoscendo che un intervento censorio privo di una precisa indicazione del contenuto contestato non può essere considerato conforme né al DSA né ai principi generali dell'ordinamento giuridico europeo.
L'immediata reintegrazione del blog costituisce un'applicazione esemplare del principio di proporzionalità: quando una misura restrittiva viene adottata senza un'adeguata base fattuale, il rimedio deve essere completo, tempestivo e non condizionato da procedure interne poco trasparenti. L'ingiunzione imposta a Google di coprire le spese legali sottolinea che la responsabilità del fornitore non è meramente tecnica, ma anche giuridica e istituzionale: le piattaforme, soprattutto quando designate come VLOP, sono concretamente responsabili degli effetti delle loro scelte sulla sfera pubblica europea. Non va dimenticato, infatti, che tali errori algoritmici potrebbero, in altre circostanze, causare danni economici significativi.
L'impersonalità dei grandi operatori digitali genera un vuoto di responsabilità che si traduce in una diretta tensione con i diritti fondamentali sanciti dall'Unione Europea. Nel nostro caso, la censura è stata innescata – almeno secondo quanto chiarito da Google durante il processo – da una combinazione di fattori: segnalazioni coordinate di utenti ostili, un algoritmo incapace di distinguere tra dottrina religiosa e incitamento all'odio, e un'interpretazione automatica di termini che, al di fuori del loro contesto culturale, prima ancora che testuale, possono rivelarsi fuorvianti.
Questo episodio mette chiaramente in luce come il confine tra moderazione privata e norme pubbliche europee rimanga ancora oggi giuridicamente fragile, lasciando spazio a interventi arbitrari che possono avere un impatto diretto sulla libertà di espressione e di religione.
Il caso MiL sottolinea l'urgente necessità che i legislatori europei e nazionali definiscano chiaramente i limiti del discorso d'odio religioso. Chi detiene oggi l'autorità formale per determinare cosa costituisca discorso d'odio in Europa? È evidente che l'Europa deve avviare un processo di standardizzazione normativa, in grado di delimitare con precisione il confine tra l'insegnamento dottrinale – che include il diritto alla critica ragionata delle posizioni altrui – e l'espressione verbale o scritta ingiusta perché lesiva della dignità e dell'onorabilità individuale, salvaguardando così la libertà religiosa senza indebolire la protezione contro il vero e proprio discorso d'odio.
Se il caso MiL non verrà interpretato per quello che realmente rappresenta, ovvero una prova critica della sovranità digitale e della tutela della libertà religiosa, il rischio non sarà solo la censura di singoli contenuti, ma anche la creazione di un pericoloso precedente, in cui algoritmi anonimi diventeranno gli arbitri indiscussi dei diritti fondamentali in Europa.
