Pessime notizie sui rapporti tra la Chiesa e il governo comunista cinese: "Lo scorso 15 ottobre, Ignazio Wu Jianlin è stato ordinato vescovo ausiliare della diocesi di Shanghai. Ne ha dato annuncio formale la stessa diocesi, specificando che tale nomina è avvenuta con l’approvazione dell’Associazione patriottica cinese e della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina".
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Luigi C.
Gaetano Masciullo, Oct 23, 2025
This is the Italian translation of the article published in The Remnant Newspaper, October 17, 2025.
Lo scorso 15 ottobre, Ignazio Wu Jianlin è stato ordinato vescovo ausiliare della diocesi di Shanghai. Ne ha dato annuncio formale la stessa diocesi, specificando che tale nomina è avvenuta con l’approvazione dell’Associazione patriottica cinese e della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina.
Si tratta dell’ennesima nomina abusiva da parte del regime post-maoista che conferma quanto abbiamo ribadito già in altre analisi (vedi qui e qui), ossia che gli Accordi Segreti tra Pechino e il Vaticano non servono a ricucire una Chiesa spaccata qual è quella cinese, divisa tra un’associazione “tesserata” e fedele anzitutto alle direttive di Xi Jinping e poi a Dio e un gruppo sotterraneo di preti e laici costretti a celebrare, pregare e catechizzare in gran segreto, pena il rischio di esporsi a sanzioni salatissime o peggio.
Il regime non ci va leggero verso chi è anche solo sospettato di complottare ai danni dello Stato, e seguire ciecamente il magistero di un capo straniero come il monarca della Città del Vaticano - con una Dottrina sociale che parla anche di proprietà privata, sussidiarietà e primato della persona - potrebbe corrispondere proprio a questa accusa.
Non è questa la sede per ricordare al lettore per l’ennesima volta che cosa sono gli Accordi Segreti, chi li ha voluti e perché. Rimandiamo ad altri articoli per approfondire (vedi qui e qui).
Wu Jianlin era stato selezionato dall’Associazione Patriottica Cinese durante la sede vacante, poco dopo la morte di Francesco. Semplice atto di scortesia? Conoscendo la meticolosità e il carattere del grande popolo asiatico, difficile pensarlo. In altri contesti e con altri attori, questo atto sarebbe stato interpretato, molto probabilmente, come un grave incidente diplomatico.
Invece, il Vaticano non solo ha ingoiato il rospo, ma ha formalmente approvato la nomina di Pechino, l’11 agosto scorso, cioé dopo diversi mesi dalla scelta di fatto unilaterale. “Approvata la candidatura - riferiva la Sala Stampa vaticana - nel quadro dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese”. Ci chiediamo: avrebbe potuto non approvarla?
Come se non bastasse, bisogna considerare che la diocesi di Shanghai è la diocesi cinese più importante e che Ignazio Wu Jianlin è il secondo sacerdote cattocomunista cinese selezionato dai dirigenti di Partito - guarda caso - durante la Sede Vacante. L’altro è stato Li Jianlin, vescovo della diocesi di Xinxiang.
Il vescovo ordinario di Shanghai, Joseph Shen Bin, è l’esponente di punta del movimento di “sinicizzazione” del cattolicesimo, ossia quel processo voluto da Xi Jinping per conformare i messaggi delle uniche religioni che è possibile professare legalmente in Cina - cattolicesimo, protestantesimo, islam, buddismo e taoismo - all’ideologia del regime.
Shen Bin, che della dottrina sociale cattolica si fa un baffo, come si suol dire, durante un convegno di Partito disse esplicitamente che bisognava studiare il pensiero di Xi Jinping, non quello del Papa.
Le circostanze poi del trasferimento dello stesso Bin a vescovo di Shanghai sono davvero umilianti. Avvenuta il 4 aprile 2023, il Vaticano stesso ammise di essere stato informato dai media (attenzione: non dai canali diplomatici ufficiali!) solo poco prima dell’insediamento, confermando così che la Santa Sede non ha avuto neanche il tempo di approvare o meno la scelta. Tutto stabilito unilateralmente da Pechino.
L’unica ipotesi che possiamo valutare per “scusare” Papa Leone e l’atteggiamento remissivo della Santa Sede è che l’approvazione vaticana sia avvenuta in segreto durante la Sede Vacante, e ciò in virtù del fatto che chi gestisce le dinamiche di questi Accordi non è affatto il Papa di turno, ma il Segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin - non a caso, la vera mente dell’Ostpolitik sino-vaticana avvenuta sotto Bergoglio.
L’ipotesi sarebbe tutt’altro che peregrina, conoscendo il peso che la Segreteria assume in Vaticano oggi e, più in generale, nel governo della Chiesa cattolica, tanto che si potrebbe dire che la Segreteria ha assunto un peso influente tanto quanto quello del Sommo Pontefice. Inoltre, è noto - lo si fa intendere anche nel recente libro intervista - che Papa Leone ha affidato la magagna della questione cinese in toto a Parolin. Figurarsi in sede vacante cosa può essere avvenuto.
Proprio Parolin, infatti, lo scorso 10 ottobre, durante l’inaugurazione dell’Anno accademico della Pontificia Università Urbaniana in Roma, presentando gli atti del convegno sul Concilium Sinense di Shanghai, ha detto che gli Accordi Segreti vanno considerati con “lo sguardo della fede: in quanto strumento, non pretende certo di aver risolto o di risolvere tutti i problemi - qualcuno potrebbe liquidare i risultati fin qui raggiunti come deludenti - ma credo che l’Accordo si debba giudicare come un seme di speranza”.
Tuttavia, nella mia analisi, ritengo necessario spingermi oltre le considerazioni offerte finora. Lo faccio anche alla luce di una constatazione amara: pur affrontando il tema, da sempre centrale per la Chiesa, della cura dei poveri, l’Esortazione Apostolica Dilexi Te omette qualsiasi riferimento al fatto che le popolazioni più povere del mondo vivono sotto regimi socialisti. Ciononostante, l’Esortazione presenta come risolutivo il “diritto di controllo” (sic) degli Stati sulla vita dei cittadini.
Questa omissione finisce per rafforzare una narrazione ormai dominante anche in Occidente, secondo cui la povertà sarebbe dovunque causata dal capitalismo occidentale, e il Sud globale sarebbe vittima eterna dell’Occidente, nonostante decenni di decolonizzazione e l’alternarsi di governi socialisti.
È vero che diversi regimi tra questi sono stati, storicamente e talvolta ancora oggi, fantocci geopolitici del Pentagono. Attualmente, però, la maggior parte dei governi africani, asiatici e sempre più latinoamericani è legata a doppio filo – politicamente ed economicamente – a Pechino, tramite strumenti di vero e proprio indebitamento.
Eppure, la condizione della povertà in queste regioni del mondo non è migliorata. Anzi, la propaganda cinese, ormai penetrata anche in Occidente, sostiene che la povertà in Cina sia stata “sradicata” grazie ai piani economici del regime: una mistificazione colossale, costruita su statistiche manipolate (per esempio, il governo cinese considera “non poveri” cittadini che guadagnano poco più di 2 dollari al giorno) e che mira a presentare il modello cinese come vincente e alternativo, non solo per il Sud globale, ma anche per i burocrati occidentali – europei in particolare – alle prese con il consenso interno e con un’immigrazione volutamente incontrollata, proveniente proprio da quel Sud globale sempre più filo-cinese.
Perché il Vaticano, a fronte delle legittime denunce delle guerre in Palestina, Ucraina e altrove, non tocca mai la situazione umanitaria in Cina? Quando ne parla, ne parla poco e sempre con una luce di speranza.
Pechino ha dimostrato di saper operare su più piani contemporaneamente: quello economico, quello culturale e – non ultimo – quello religioso. Se esercita la propria influenza a Bruxelles, nell’ONU e perfino nei gangli del Pentagono, perché mai non dovrebbe tentare un’azione analoga nei Sacri Palazzi, dove le decisioni morali e pastorali possono orientare milioni di coscienze nel mondo?
Parliamo, ovviamente, di una infiltrazione morbida, diplomatica, psicologica e culturale. Pechino sa che il cristianesimo – soprattutto nella sua versione cattolica – rappresenta l’unico vero ostacolo alla piena egemonia ideologica del materialismo socialista.
Nella visione confuciano-marxista del regime, il Cattolicesimo è un “corpo estraneo” che propone un Dio-persona, una legge naturale superiore allo Stato, una dignità che non viene concessa dal Partito ma che nasce dal Creatore. È dunque inevitabile che il regime tenti di neutralizzare il cristianesimo o, se possibile, di piegarlo alla propria narrativa.
Non sarebbe la prima volta nella storia recente che un regime totalitario cerchi di esercitare pressioni simili. L’Unione Sovietica, durante la Guerra Fredda, infiltrò agenti e collaboratori perfino in ambienti ecclesiastici, con l’obiettivo di indirizzare la dottrina sociale della Chiesa verso una maggiore “comprensione” del socialismo reale. Molti documenti declassificati negli anni Novanta lo hanno ampiamente dimostrato. Il comunismo, del resto, ha sempre avuto un nemico dichiarato: Roma.
L’Urss tentava di manipolare la Chiesa con la diplomazia, con il denaro e con il linguaggio del “dialogo”. Cosa è accaduto durante il Concilio Vaticano II, che avrebbe dovuto condannare il comunismo e poi si è tirato indietro, ormai è storia.
La strategia cinese oggi non è mai frontale: è fatta di “amicizie”, di “scambi culturali”, di “accademie”, di seminari comuni sui temi dell’ecologia e dello sviluppo umano integrale. Tutto in apparenza inoffensivo. Ma nel frattempo, il regime lavora per modellare la percezione del cattolicesimo stesso, spingendo verso un messaggio moralmente disinnescato, più civile che soprannaturale, più filantropico che teologico.
È in questo quadro che gli Accordi Segreti acquistano un valore simbolico drammatico: non solo un tentativo di “normalizzazione”, ma una penetrazione ideologica autorizzata, una breccia aperta nel cuore della Città eterna in nome di un malinteso “dialogo”.
In tale prospettiva, il silenzio del Vaticano sui campi di rieducazione dello Xinjiang, sulle persecuzioni contro i cattolici “non registrati”, sui preti scomparsi o detenuti, assume un sapore ancora più amaro. Non si tratta soltanto di prudenza diplomatica, ma forse di una consapevolezza più profonda: che dentro le stesse mura leonine si stia giocando una partita di potere spirituale e politico molto più grande.
Se il regime cinese riesce a condizionare l’ONU, le università americane e le istituzioni europee, sarebbe ingenuo pensare che il Vaticano resti immune da simili tentazioni.
Gaetano Masciullo
