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giovedì 27 novembre 2025

Lettera aperta di don Bux al card. Cupich: «La liturgia esprime il Sacro; non è uno spettacolo teatrale»

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1309 pubblicata da Paix Liturgique il 26 novembre, in cui si riporta l’articolo pubblicato sul sito Infovaticana il 19 novembre (QUI), che riprende e commenta la lettera aperta scritta da don Nicola Bux al card. Blase Joseph Cupich (QUI; QUI su MiL) replicando alle sue recenti critiche pubbliche alla Santa Messa tradizionale (QUI).

Lorenzo V.


Il sacerdote e teologo italiano don Nicola Bux, consultore in materia liturgica durante i Pontificati di Papa Benedetto XVI e di papa Francesco, ha reso pubblica una lettera aperta indirizzata al card. Blase Joseph Cupich, Arcivescovo metropolita di Chicago, nella quale confuta le sue recenti critiche alla Santa Messa tradizionale. La missiva, pubblicata il 18 novembre da Edward Pentin, difende la validità e l’importanza dell’usus antiquior come espressione dell’identità profonda della Chiesa [QUI: N.d.T.].

Per contestualizzare un po’ la situazione, la lettera è una risposta alla riflessione del card. Blase Joseph Cupich sull’esortazione apostolica Dilexit te sull’amore verso i poveri di Papa Leone XIV, in cui il card. Cupich riduce la solennità della Messa a un’assemblea fraterna che può essere condivisa con i più poveri (QUI). Per il card. Cupich, la Santa Messa tradizionale risulta essere uno spettacolo influenzato dagli elementi delle corti imperiali e reali: «La riforma liturgica ha beneficiato della ricerca accademica sulle risorse liturgiche, la quale ha identificato gli adattamenti, introdotti nel tempo, che incorporavano elementi provenienti dalle corti imperiali e reali. Tale ricerca ha evidenziato che molti di quegli adattamenti avevano modificato l’estetica e il significato della liturgia, rendendola più uno spettacolo che una partecipazione attiva di tutti i battezzati affinché fossero formati per partecipare all’azione salvifica di Cristo crocifisso. Purificandola da questi adattamenti, si mirava a consentire alla liturgia di sostenere un nuovo senso di sé della Chiesa».

È così che don Nicola Bux colloca la sua riflessione in una chiave teologica: la liturgia, afferma, non è un esercizio estetico né un’animazione comunitaria, ma la manifestazione pubblica del culto dovuto a Dio, una realtà che i Cristiani hanno sostenuto anche di fronte alle persecuzioni. Per questo motivo, egli rifiuta l’idea che il Concilio Vaticano II abbia chiesto una liturgia «povera» o banalizzata, e ricorda che la «nobile semplicità» richiesta dalla costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium si riferisce alla chiarezza rituale, non all’impoverimento del culto.

La bellezza del culto come segno della maestà divina

Don Nicola Bux ricorda che sia l’Oriente che l’Occidente hanno compreso fin dall’antichità che la liturgia possiede una qualità «regale», perché esprime che solo Dio merita adorazione. Cita anche san Francesco d’Assisi, il quale, lungi dal sostenere un culto spoglio, chiedeva che nella Santa Messa fossero utilizzati i migliori ornamenti e vasi sacri.

Partecipazione attiva: entrare nel mistero, non copiare il mondo

Nella lettera, il teologo riprende la nozione conciliare di «partecipazione attiva», che descrive come un ingresso nel Mistero attraverso preghiere e riti, in continuità con san Tommaso d’Aquino. Critica invece la tendenza a confondere la partecipazione con lo spettacolo o l’animazione.

Cita una riflessione dell’allora padre Robert Francis Prevost O.S.A., Priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino – oggi Papa Leone XIV – pronunciata nel 2012, in cui affermava che evangelizzare oggi implica riorientare l’attenzione del pubblico dallo spettacolo al mistero. Secondo don Nicola Bux, questo è proprio ciò che riesce a fare la liturgia tradizionale.

Avvertimento sulle «deformazioni» del Novus Ordo

Don Nicola Bux invita il card. Blase Joseph Cupich a ricordare ciò che Papa Benedetto XVI ha descritto come «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile» presenti in alcuni contesti liturgici post-conciliari: applausi, danze ed elementi impropri al culto, già denunciati da san Cipriano [QUI: N.d.T.]. Per questo sostiene che la liturgia deve conservare il suo carattere solenne e apologetico, capace di muovere alla conversione.

Di seguito riportiamo la lettera completa di don Nicola Bux.

* * *

A Sua Eminenza il card. Blase Joseph Cupich

Vostra Eminenza Reverendissima, «ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1 Cor 4,9). Questa affermazione di San Paolo Apostolo descrive l’identità del Cristianesimo, sia come proclamazione del Vangelo che come culto pubblico della Chiesa. Concentrandosi su quest’ultimo aspetto, si può giustamente affermare che la liturgia è lo spettacolo offerto al mondo da coloro che adorano Cristo, l’unico Signore del cosmo e della storia, al quale appartengono e non al mondo. Ciò è richiamato dall’espressione «servizio liturgico», che è davvero appropriata – a differenza del termine «animazione», ora in voga – come se il culto non fosse già animato da Gesù Cristo e dallo Spirito Santo.

Dopo le persecuzioni, ciò divenne evidente, perché i Cristiani non bruciavano incenso all’imperatore romano, ma a Gesù, il Figlio di Dio. La liturgia cattolica ha quindi caratteristiche regali e imperiali – ce lo insegnano le liturgie orientali – perché il culto di Dio si oppone a qualsiasi culto dei governanti mondani del momento.

Non è vero che il Concilio Vaticano II desiderasse una liturgia povera, poiché chiede che «i riti splendano per nobile semplicità» (costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 34), perché devono parlare della maestà di Dio, che è la nobile bellezza stessa, e non delle banalità mondane. La Chiesa lo ha capito fin dall’inizio, sia in Oriente che in Occidente. Anche San Francesco d’Assisi prescriveva che nell’adorazione fossero usati i lini e i vasi più preziosi.

Che cos’è allora la «partecipazione» dei fedeli, se non essere parte e prendere parte allo «spettacolo» di una fede che afferma Dio e quindi sfida il mondo e i suoi spettacoli profani – che sono davvero spettacolari: pensiamo alle mega-conferenze e ai concerti rock. La liturgia esprime il Sacro, cioè la Presenza di Dio; non è uno spettacolo teatrale. La partecipazione auspicata dal Concilio Vaticano II deve essere piena, consapevole, attiva e fruttuosa (ibidem, 11 e 14) – cioè una «mistagogia», un ingresso nel Mistero che avviene per preces et ritus [attraverso preghiere e riti], che, come ci ricorda San Tommaso d’Aquino, devono elevarci il più possibile alla verità e alla bellezza divine (quantum potes tantum aude); o, nelle parole dell’allora padre Robert Francis Prevost O.S.A., Priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino: «La vera missione della Chiesa è quella di introdurre le persone alla natura del mistero come antidoto allo spettacolo. Anche la vita religiosa svolge un ruolo importante nell'evangelizzazione, indicando agli altri questo mistero, attraverso la vita fedele ai consigli evangelici. Di conseguenza, l’evangelizzazione nel mondo moderno deve trovare mezzi adeguati per riorientare l’attenzione del pubblico, spostandola dallo spettacolo al mistero» (11 maggio 2012). L’usus antiquior del rito romano svolge questa funzione; altrimenti non avrebbe potuto resistere alla secolarizzazione del Sacro che è entrata nella liturgia romana, al punto da far credere alla gente che fosse stata voluta dallo stesso Concilio Vaticano II. Questa è l’identità e la missione della Chiesa.

Infine, Eminenza, la invito a considerare che la liturgia, fin dai tempi antichi, era solenne per convertire molti alla fede, e per questo deve avere anche un valore apologetico e non imitare le mode del mondo, come ci ricorda San Cipriano (applausi, danze ecc.), fino alle «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile» che sono entrate nel Novus Ordo, come ha osservato Papa Benedetto XVI [QUI: N.d.T.]. Questa è l’autenticità della «sacra liturgia»; questa è l’ars celebrandi, come dimostra l’Offertorio della Messa, che viene celebrato per le necessità del culto e per i poveri.

Pertanto, Eminenza, le chiedo di impegnarsi in un dialogo sinodale per il bene dell’unità ecclesiale!

Nel Signore Gesù.