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domenica 2 novembre 2025

Intelligenza Artificiale e Chiesa Cattolica. Un'intervista

Riceviamo e pubblichiamo la bella intervista di A.M. al dottor Luigi Trisolino,  relatore al recente convegno al Senato sull'Intelligenza Artificiale.
Luigi C.

INTERVISTA CON LUIGI TRISOLINO, giornalista, giurista, specialista legale della Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Un convegno su Istituzioni e IA tenutosi in Senato il 30 ottobre su iniziativa del senatore Andrea De Priamo di FdI, e mandato in diretta streaming su Senato TV e sul canale YouTube del Senato, ha visto l’intervento di diversi relatori, tra cui lei. Lei però ha incentrato il suo discorso non su tecnicismi e legalismi ma sulla “Chiesa”, e più precisamente sul Magistero ancora embrionale di papa Leone XIV, con rimandi anche al predecessore e soprattutto a Benedetto XVI. Tuttavia lei è un giurista e giornalista. Come mai parte dai papi?

In tempi come questi in cui il woke in modo manifesto e la cancel culture in modo spesso occulto vogliono inquinare i pozzi dell’informazione e della formazione giovanile attraverso il web, anche usando l’intelligenza artificiale, è urgente riscoprire la saggezza antica e sempre nuova della Chiesa cattolica attraverso il Magistero dei Pontefici. Riflettere pubblicamente sui fenomeni su cui i papi ci mettono in guardia significa mettere al centro dell’esperienza sociale quelle indelebili radici identitarie della nostra Nazione e del nostro Occidente libero, che fino a qualche anno fa erano dimenticate o scanzonate negli alti ranghi della politica. Nel convegno al quale sono stato invitato come relatore dal senatore De Priamo, ho esordito annunciando una buona notizia per tutti.

E quale sarebbe?

Le scienze informatiche, tecnologiche, la robotica, le scienze giuridiche, psicologiche e via dicendo, non sono sole, perché non sono le sole ad occuparsi del benessere delle persone reali, in carne, ossa e spirito. C’è una voce autorevole a riflettere sull’IA cosiddetta generativa, ed è la voce della Chiesa cattolica con il Santo Padre Leone XIV.

I giornalisti sono la categoria più nichilista immaginabile, diceva uno dei loro, Renato Farina. Lei tuttavia non si ferma a una notizia, parte addirittura dall’etica, dall’antropologia e in particolare dall’antropologia cristiana. Sceglie di farlo anche in questo convegno al Senato.

Sono un giornalista militante, nel mio piccolo. Attraverso i fatti e le idee voglio servire la verità, e promuovere modelli di libertà, di giustizia e di benessere realmente responsabili e umani. Non amo la notizia fine a sé, e infatti ho parlato di buona notizia, riecheggiando la buona novella di evangelica memoria.

A parte, lei lavora sugli aspetti legali per il governo nella Presidenza del Consiglio dei Ministri.

A parte, sì, lavoro nella Presidenza del Consiglio dei Ministri. La giornata è fatta di ventiquattro ore e io sono goloso del tempo, non lascio nemmeno un’ora nel piatto della giornata.

Lei viene da una lunga militanza politica indipendente e in passato per un breve periodo non ha disdegnato i radicali, anche se come liberale mi risulta che ha sempre difeso la destra liberale. Adesso la ritroviamo a parlare di Magistero cattolico nel Senato. C’è una logica in tutto questo?

La storia della mia militanza è lunga, scrivo con costanza sin dall’età di dodici anni, ho militato tanto come indipendente e ho sempre avuto nel mio cuore il volto del Cristo, vero Dio e vero uomo, e le poesie che scrivo sin da bambino e di cui sono più soddisfatto sono quelle che ho dedicato a Gesù Cristo. Non vi sorprenda quindi il mio riferimento palese, oggi, al Magistero cattolico. Se sono un fervente anticomunista, antimaterialista e anticollettivista – me lo lasci dire – lo devo al Vangelo, che, come saprà, è totalmente diverso da quello descritto delle false narrative dei cattocomunisti. Ma se sono anticomunista, paradossalmente, lo devo anche alla profonda conoscenza che ho di Marx e di Trotzkij. Al termine di un mio libro sul diritto delle successioni e sulla diseredazione, che pubblicai nel 2018, ho approfondito e criticato aspetti poco noti di Marx. Gli ambienti liberali dei radicali? Li ho lambiti, mai toccati pienamente, a dire il vero.

In che senso li ha lambiti e non toccati?

In passato ho aderito ad alcune iniziative umanitarie. Poi ho capito che quelle comunità liberali e laiciste non facevano al caso mio, ho ascoltato me stesso e dopo alcuni cammini di fede sul Palatino, con i Francescani, quelli seri ispirati a San Bonaventura, ho messo a fuoco la mia fede cattolica, la mia identità, con tutte le conseguenze che ne derivano.  Dobbiamo infatti impegnarci affinché le cose e gli ambienti che scegliamo come nostra casa in politica, nella cultura, nella società, nella missione cristiana siano effettivamente coerenti con le definizioni con cui ci denominiamo.

Quindi cos’è lei?

Quindi sono cattolico, sono liberalconservatore, sono appassionato di politica, sono innamorato dell’umano e ho una visione non solo immanente, che termina nel momento in cui finiamo questa intervista o questa vita, ma che si declina e respira in senso trascendente. I radicali non facevano al caso mio. Sono un progressista pentito, perché il vero progresso non risiede assolutamente nei programmi dei cosiddetti progressisti di bandiera. Questo vale in ogni ambito, non solo in ambito strettamente politologico.

Nelle sue parole si avverte una certa ansia di battaglia, o mi sbaglio? Ma su cosa poi?

Non si sbaglia. Sono determinato a battermi contro il nichilismo e contro ogni forma di povertà materiale o spirituale indotta dai club globalisti che iniettano in alcune aree dei mercati e della politica slogan manifesti o subliminali ideologicamente orientati a trasformare l’umano in un post-umano, più simile ad un automa che ad un uomo. Sono determinato contro il disfattismo antinazionale di quegli occidentali woke che giocano a fare gli anti-occidentali con la carta di credito virtuale di paparino sempre pronta in tasca. Ai cattolici oggi spettano anche queste sfide missionarie di tipo socioculturale. L’intelligenza artificiale non deve cadere in mani interessate a realizzare ciò che i post-gramsciani odierni vorrebbero realizzare, ossia una egemonia culturale. Sarebbe la fine della libertà responsabile, e si andrebbe in un preoccupante emisfero ignobile di pensiero unico, omologante, che destabilizzerebbe la voce delle persone e dei popoli, e persino le capacità governative delle maggioranze elette. Tutto questo non deve accadere.

 

A proposito di intelligenza artificiale, papa Leone ha una laurea - “breve” precisa qualcuno – in matematica, e si ritiene perciò affine alle tematiche di natura tecnologica, oltre che puramente filosofiche e teologiche. Appare quasi un segno della Provvidenza la sua elezione al soglio pontificio proprio all’esplodere della grande questione IA. La Chiesa del Nazareno da 2000 anni pare sempre sulla cresta dell’onda, certe volte la cavalca, certe se ne fa travolgere, alcune le insegue. Vince quando le cavalca. In estrema sintesi, cosa sostiene e cosa lei ha detto in convegno sul pensiero di Leone sull’IA?

Se il cardinale Prevost, una volta eletto Pontefice, ha scelto il nome di Leone dipende anche dal fatto che siamo ai tempi della rivoluzione dell’IA. Ho infatti ricordato che l’11 maggio scorso il Santo Padre durante l’omelia di una messa celebrata nella Cripta della Basilica di San Pietro ha fatto un parallelismo. Come Leone XIII con la storica Enciclica Rerum novarum nel 1891 affrontò la questione sociale nel contesto di una grande rivoluzione industriale, oggi la Chiesa offre a tutti, nessuno escluso, il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro. Il 21 giugno nel suo discorso rivolto ai partecipanti al Giubileo dei Governanti, Papa Leone XIV ha evidenziato in particolare che l’intelligenza artificiale rimane dotata di una “memoria” statica, per nulla paragonabile a quella dell’uomo e della donna, che è invece creativa, dinamica, generativa, capace di unire passato, presente e futuro in una viva e feconda ricerca di senso.

A proposito di Leone e IA, chi ultimamente ne ha parlato è l’ex presidente dello IOR Gotti Tedeschi, e so che ne ha preso spunto lei nel convegno, che anzi vi siete direttamente sentiti sul tema.

Sì, con Ettore Gotti Tedeschi un po’ di giorni fa ho intrattenuto una piacevole chiacchierata sul tema delle tecnologie. A tal proposito avevo anche letto un suo articolo, pubblicato su La Verità il 24 giugno di quest’anno. Proprio come San Giovanni il Battista, che in quella giornata si celebrava, in tema di IA c’è stato un uomo che ha gridato nel deserto il nome del finissimo Benedetto XVI, del quale Gotti Tedeschi ha ricordato l’Enciclica “Caritas in veritate”. Andando a rileggere quella Lettera Enciclica, ho ritrovato una forza lungimirante che può e deve parlare anche ai nostri giorni, caratterizzati dalle riflessioni sull’IA e dalla recentissima legge italiana sull’IA. In particolare, di quell’Enciclica mi ha colpito il passo in cui vien detto che non c’è l’intelligenza e poi l’amore, ma ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore. A proposito di amore, di caritas, ci tengo a sottolineare che solo l’intelligenza umana può comprendere e sperimentare l’amore, non anche l’IA, e questa distinzione deve essere tramandata a tutte le giovani generazioni che verranno.

Il papa sudamericano, invece? Anche lui ha scritto o voleva scrivere e dire di IA mentre però il suo tempo stava finendo. Cosa ha lasciato detto?

Del predecessore di Leone XIV in tema di IA ricorderò sempre la grande opportunità che ha avuto nel parlare di etica nell’utilizzo delle tecnologie durante i lavori del G7 tenutosi nel 2024 a Borgo Egnazia, nella mia natia Puglia, e che è stato presieduto dal nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da sempre molto sensibile ai profili etici nelle innovazioni.

Mi stavo ora chiedendo una cosa che non so se sia potuta emergere in un convegno laico come quello in cui avete parlato di IA e Istituzioni, ma la Chiesa d’altronde è l’istituzione attiva più antica del mondo… Quale beneficio può trarre la Chiesa dall’IA, e soprattutto quali sono i rischi che con essa affronta? Secondo lei l’IA può essere usata dalle Istituzioni religiose, dalle confessioni, dalla stessa Chiesa Romana? I primi esperimenti che si son visti in giro sono stati bislacchi e anche “post-cristiani”, come l’IA che faceva la predica a pochi anziani fedeli presenti in una di quelle confusionarie chiese tedesche, dove ovviamente siamo al pittoresco, ma la questione è seria.

L’IA è un mezzo, non è un fine, e questo ce lo stiamo ripetendo in giro per i convegni tante volte. Non sono io a dirlo, sarebbe poca cosa se lo dicessi io. Lo dicono anche insigni studiosi. A settembre 2024, per esempio, ho portato il presidente vicario della Consulta, Giulio Prosperetti, a parlare in quanto giuslavorista cattolico del rapporto tra IA e lavoro presso la Rappresentanza in Italia della Commissione e del Parlamento europei. Perché in tema di Chiesa cattolica e IA mi viene in mente proprio il tema del lavoro? Perché il lavoro della Chiesa cattolica apostolica è in realtà una missione umana, per portare il verbo divino nell’umano per l’umano, attraverso l’esperienza del Cristo.

L’IA cosiddetta generativa non potrà e non dovrà mai sostituire la celebrazione delle funzioni religiose, delle sante messe, né dovrà mai ficcare il naso nel suo Deposito e tra i suoi tesori sacramentali, e nemmeno nella diffusione del nostro catechismo. Non dovremo permettere che ciò accada. Ogni forma bislacca come la messa o il catechismo con l’IA, che qualcuno vuol far passare per progressismo, è una forma reazionaria che attacca il progresso cognitivo ed esperienziale dell’umano, minando l’ordine della natura vera nell’esistente e nella vita. L’IA utilizziamola per velocizzare i processi meramente meccanici e alienanti nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni, affinché nel rispetto della dignità dei lavoratori si perseguano obiettivi di crescita della nostra industria e del nostro Made in Italy, ma lasciamo fuori le messe dal mondo dell’IA generativa. Il prete è un uomo in carne, ossa e spirito, non può essere altro.

Alter Christus, caso mai, sull’altare almeno. A proposito, stante la sua professione di giurista, in base a quanto da lei ricordato in più occasioni da ultimo, questo governo pare sia corso tra i primi ai ripari, con iniziative legislative che tentano di arginare i già presenti abusi a scopo manipolativo dell’IA. Di cosa si tratta?

L’Italia con la legge patria numero 132 del 2025, entrata in vigore il 10 ottobre, è la prima Nazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea ad aver emanato una normativa interna organica sull’intelligenza artificiale cosiddetta generativa. La posizione italiana è una posizione giustamente aperta all’innovazione tecnologica ma fortemente garantista sulla dignità delle persone. Il governo Meloni ha tracciato una via chiara, capace di dare speranza all’umano, perché conserva l’uomo come soggetto, senza mai ridurlo a oggetto. L’IA non potrà mai essere battezzata al mondo della soggettività, da cui in quanto mero strumento deve restare estranea. Nella legge nazionale sull’IA la sfera di giudizio e la responsabilità professionale restano unicamente in capo all’essere umano. Anche il fatto che le opere generate dall’IA siano protette con il diritto d’autore solo qualora siano il frutto di un lavoro intellettuale umano denota una sensibilità del legislatore patrio verso la insopprimibile distinzione tra l’artificiale e l’umano, per proteggere fortemente la persona quale vero e unico soggetto protagonista, ideatore, autore. Questa legge italiana si pone quindi in armonia non solo con il Regolamento UE numero 1689 del 2024, ossia con l’Artificial Intelligence Act, come possiamo leggere tra i tecnicismi della legge stessa, ma si pone anche e soprattutto in tenace armonia con la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro, di cui ci ha parlato papa Leone XIV.

Se l’IA dovesse esprimersi su papa Benedetto, il papa più attaccato degli ultimi secoli, dovendo fare la summa di tutto il letame spesso preparato a tavolino e sparso contro di lui sul web, non rischieremmo di vedercelo descrivere ingiustamente come un mostro solo perché il suo messaggio non rientrava nella narrativa imposta dal pensiero unico dominante?

Il filosofo Feuerbach, a cui non mi sono mai ispirato perché – secondo lui – sarebbe stato l’uomo ad aver creato Dio e non il contrario, una cosa la disse correttamente. Una sola. L’uomo è ciò che mangia, disse. Non solo l’uomo è ciò che mangia, ma anche il mondo del web è ciò che mangia, direi io. I mattoni costitutivi della rete internet sono gli stessi dati che una volta immessi vanno ad annidarsi nel sostrato automatico e insensibile degli algoritmi, posto alla base dell’intelligenza artificiale e dei processi meccanici virtuali di machine learning e deep learning. Così se una lobby malefica volesse inquinare i pozzi dell’informazione, facendo immagazzinare da più soggetti virtuali di paglia tante informazioni che diffamano la memoria del Santo Padre Benedetto XVI, il rischio che tantissimi giovani si facciano un’idea sbagliata su Ratzinger o su altri personaggi non più viventi su questa Terra o su questioni sociali varie, sì, esiste. Occorre vegliare sempre sulla trasparenza algoritmica, ma occorre anzitutto stimolare nei più giovani una coscienza culturale umanistica e spirituale all’altezza delle sfide e dei rischi dell’IA. Non sempre ci si accorgerà dell’origine viziata e falsificata di video, audio e testi d’interviste attribuite a Tizio piuttosto che a Caio, e allora il rischio che la realtà diventi irrealtà è alto.

Qual è la minaccia più grande dell’IA?

Mentre l’uso dell’IA cosiddetta generativa è utile per accrescere le opportunità nella libera impresa, oltre che per velocizzare ed efficientare le pubbliche amministrazioni, la minaccia più subdola e lancinante si ha per lo spirito. Ma anche per la descrizione e percezione della realtà in democrazia. I meccanismi dell’IA sembrano scimmiottare le dialettiche della coscienza individuale e dello spirito, pur avendo natura e conformazioni in realtà differenti. Facendo la domanda giusta si ha una risposta più o meno appropriata. In Cina adesso hanno inserito l’IA come materia scolastica a sé per i bambini che frequentano le scuole equivalenti alle nostre scuole elementari. Oltre alla materia tecnica interessante sull’IA, è legittimo domandarsi se quei bambini, in un’età fragile, avranno gli strumenti culturali e di algoretica per discernere i meccanismi della propria psiche, del proprio io, della propria coscienza e del proprio spirito dai meccanismi del mondo virtuale dell’IA. L’IA non deve sostituire la nostra coscienza. Su questi temi si gioca lo scarto tra maturazione della nostra civiltà e alienazione umana, e conseguentemente si gioca anche il futuro delle classi dirigenti di tutte le istituzioni. Dobbiamo riscoprire il pensiero del più grande teologo del Novecento, Ratzinger. Il nostro compito è anche quello di far conoscere ai più giovani la lungimiranza di Papa Benedetto XVI sulle radici cristiane dell’Europa, e sul rapporto tra tecnologia ed essere umano.