INTERVISTA CON LUIGI
TRISOLINO, giornalista, giurista, specialista legale della Presidenza del
Consiglio dei Ministri
Un convegno su
Istituzioni e IA tenutosi in Senato il 30 ottobre su iniziativa del senatore
Andrea De Priamo di FdI, e mandato in diretta streaming su Senato TV e sul canale YouTube del Senato, ha visto l’intervento di diversi
relatori, tra cui lei. Lei però ha incentrato il suo discorso non su tecnicismi
e legalismi ma sulla “Chiesa”, e più precisamente sul Magistero ancora
embrionale di papa Leone XIV, con rimandi anche al predecessore e soprattutto a
Benedetto XVI. Tuttavia lei è un giurista e giornalista. Come mai parte dai
papi?
In tempi come questi in cui il woke in modo manifesto e la
cancel culture in modo spesso occulto vogliono inquinare i pozzi
dell’informazione e della formazione giovanile attraverso il web, anche usando
l’intelligenza artificiale, è urgente riscoprire la saggezza antica e sempre
nuova della Chiesa cattolica attraverso il Magistero dei Pontefici. Riflettere
pubblicamente sui fenomeni su cui i papi ci mettono in guardia significa
mettere al centro dell’esperienza sociale quelle indelebili radici identitarie
della nostra Nazione e del nostro Occidente libero, che fino a qualche anno fa
erano dimenticate o scanzonate negli alti ranghi della politica. Nel convegno
al quale sono stato invitato come relatore dal senatore De Priamo, ho esordito
annunciando una buona notizia per
tutti.
E quale sarebbe?
Le scienze informatiche, tecnologiche, la robotica, le scienze giuridiche, psicologiche e via dicendo, non sono sole, perché non sono le sole ad occuparsi del benessere delle persone reali, in carne, ossa e spirito. C’è una voce autorevole a riflettere sull’IA cosiddetta generativa, ed è la voce della Chiesa cattolica con il Santo Padre Leone XIV.
I giornalisti sono la
categoria più nichilista immaginabile, diceva uno dei loro, Renato Farina. Lei
tuttavia non si ferma a una notizia, parte addirittura dall’etica,
dall’antropologia e in particolare dall’antropologia cristiana. Sceglie di
farlo anche in questo convegno al Senato.
Sono un giornalista militante, nel mio piccolo. Attraverso i
fatti e le idee voglio servire la verità, e promuovere modelli di libertà, di
giustizia e di benessere realmente responsabili e umani. Non amo la notizia
fine a sé, e infatti ho parlato di buona notizia, riecheggiando la buona
novella di evangelica memoria.
A parte, lei lavora
sugli aspetti legali per il governo nella Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
A parte, sì, lavoro nella Presidenza del Consiglio dei
Ministri. La giornata è fatta di ventiquattro ore e io sono goloso del tempo,
non lascio nemmeno un’ora nel piatto della giornata.
Lei viene da una
lunga militanza politica indipendente e in passato per un breve periodo non ha
disdegnato i radicali, anche se come liberale mi risulta che ha sempre difeso
la destra liberale. Adesso la ritroviamo a parlare di Magistero cattolico nel
Senato. C’è una logica in tutto questo?
La storia della mia militanza è lunga, scrivo con costanza
sin dall’età di dodici anni, ho militato tanto come indipendente e ho sempre
avuto nel mio cuore il volto del Cristo, vero Dio e vero uomo, e le poesie che
scrivo sin da bambino e di cui sono più soddisfatto sono quelle che ho dedicato
a Gesù Cristo. Non vi sorprenda quindi il mio riferimento palese, oggi, al
Magistero cattolico. Se sono un fervente anticomunista, antimaterialista e
anticollettivista – me lo lasci dire – lo devo al Vangelo, che, come saprà, è
totalmente diverso da quello descritto delle false narrative dei
cattocomunisti. Ma se sono anticomunista, paradossalmente, lo devo anche alla
profonda conoscenza che ho di Marx e di Trotzkij. Al termine di un mio libro
sul diritto delle successioni e sulla diseredazione, che pubblicai nel 2018, ho
approfondito e criticato aspetti poco noti di Marx. Gli ambienti liberali dei
radicali? Li ho lambiti, mai toccati pienamente, a dire il vero.
In che senso li ha
lambiti e non toccati?
In passato ho aderito ad alcune iniziative umanitarie. Poi
ho capito che quelle comunità liberali e laiciste non facevano al caso mio, ho
ascoltato me stesso e dopo alcuni cammini di fede sul Palatino, con i
Francescani, quelli seri ispirati a San Bonaventura, ho messo a fuoco la mia
fede cattolica, la mia identità, con tutte le conseguenze che ne derivano. Dobbiamo infatti impegnarci affinché le cose e
gli ambienti che scegliamo come nostra casa in politica, nella cultura, nella
società, nella missione cristiana siano effettivamente coerenti con le
definizioni con cui ci denominiamo.
Quindi cos’è lei?
Quindi sono cattolico, sono liberalconservatore, sono
appassionato di politica, sono innamorato dell’umano e ho una visione non solo
immanente, che termina nel momento in cui finiamo questa intervista o questa
vita, ma che si declina e respira in senso trascendente. I radicali non
facevano al caso mio. Sono un progressista pentito, perché il vero progresso
non risiede assolutamente nei programmi dei cosiddetti progressisti di
bandiera. Questo vale in ogni ambito, non solo in ambito strettamente
politologico.
Nelle sue parole si
avverte una certa ansia di battaglia, o mi sbaglio? Ma su cosa poi?
Non si sbaglia. Sono determinato a battermi contro il
nichilismo e contro ogni forma di povertà materiale o spirituale indotta dai
club globalisti che iniettano in alcune aree dei mercati e della politica
slogan manifesti o subliminali ideologicamente orientati a trasformare l’umano
in un post-umano, più simile ad un automa che ad un uomo. Sono determinato
contro il disfattismo antinazionale di quegli occidentali woke che giocano a
fare gli anti-occidentali con la carta di credito virtuale di paparino sempre
pronta in tasca. Ai cattolici oggi spettano anche queste sfide missionarie di
tipo socioculturale. L’intelligenza artificiale non deve cadere in mani
interessate a realizzare ciò che i post-gramsciani odierni vorrebbero
realizzare, ossia una egemonia culturale. Sarebbe la fine della libertà
responsabile, e si andrebbe in un preoccupante emisfero ignobile di pensiero
unico, omologante, che destabilizzerebbe la voce delle persone e dei popoli, e
persino le capacità governative delle maggioranze elette. Tutto questo non deve
accadere.
A proposito di
intelligenza artificiale, papa Leone ha una laurea - “breve” precisa qualcuno –
in matematica, e si ritiene perciò affine alle tematiche di natura tecnologica,
oltre che puramente filosofiche e teologiche. Appare quasi un segno della Provvidenza
la sua elezione al soglio pontificio proprio all’esplodere della grande
questione IA. La Chiesa del Nazareno da 2000 anni pare sempre sulla cresta
dell’onda, certe volte la cavalca, certe se ne fa travolgere, alcune le
insegue. Vince quando le cavalca. In estrema sintesi, cosa sostiene e cosa lei
ha detto in convegno sul pensiero di Leone sull’IA?
Se il cardinale Prevost, una volta eletto Pontefice, ha
scelto il nome di Leone dipende anche dal fatto che siamo ai tempi della
rivoluzione dell’IA. Ho infatti ricordato che l’11 maggio scorso il Santo Padre
durante l’omelia di una messa celebrata nella Cripta della Basilica di San
Pietro ha fatto un parallelismo. Come Leone XIII con la storica Enciclica Rerum novarum nel 1891 affrontò la
questione sociale nel contesto di una grande rivoluzione industriale, oggi la
Chiesa offre a tutti, nessuno escluso, il suo patrimonio di dottrina sociale
per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi
dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della
dignità umana, della giustizia e del lavoro. Il 21 giugno nel suo discorso
rivolto ai partecipanti al Giubileo dei Governanti, Papa Leone XIV ha
evidenziato in particolare che l’intelligenza artificiale rimane dotata di una
“memoria” statica, per nulla paragonabile a quella dell’uomo e della donna, che
è invece creativa, dinamica, generativa, capace di unire passato, presente e
futuro in una viva e feconda ricerca di senso.
A proposito di Leone
e IA, chi ultimamente ne ha parlato è l’ex presidente dello IOR Gotti Tedeschi,
e so che ne ha preso spunto lei nel convegno, che anzi vi siete direttamente
sentiti sul tema.
Sì, con Ettore Gotti Tedeschi un po’ di giorni fa ho
intrattenuto una piacevole chiacchierata sul tema delle tecnologie. A tal
proposito avevo anche letto un suo articolo, pubblicato su La Verità il 24
giugno di quest’anno. Proprio come San Giovanni il Battista, che in quella
giornata si celebrava, in tema di IA c’è stato un uomo che ha gridato nel
deserto il nome del finissimo Benedetto XVI, del quale Gotti Tedeschi ha
ricordato l’Enciclica “Caritas in veritate”. Andando a rileggere quella Lettera
Enciclica, ho ritrovato una forza lungimirante che può e deve parlare anche ai
nostri giorni, caratterizzati dalle riflessioni sull’IA e dalla recentissima
legge italiana sull’IA. In particolare, di quell’Enciclica mi ha colpito il
passo in cui vien detto che non c’è l’intelligenza e poi l’amore, ma ci sono
l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore. A proposito di
amore, di caritas, ci tengo a
sottolineare che solo l’intelligenza umana può comprendere e sperimentare
l’amore, non anche l’IA, e questa distinzione deve essere tramandata a tutte le
giovani generazioni che verranno.
Il papa sudamericano,
invece? Anche lui ha scritto o voleva scrivere e dire di IA mentre però il suo
tempo stava finendo. Cosa ha lasciato detto?
Del predecessore di Leone XIV in tema di IA ricorderò sempre
la grande opportunità che ha avuto nel parlare di etica nell’utilizzo delle
tecnologie durante i lavori del G7 tenutosi nel 2024 a Borgo Egnazia, nella mia
natia Puglia, e che è stato presieduto dal nostro Presidente del Consiglio
Giorgia Meloni, da sempre molto sensibile ai profili etici nelle innovazioni.
Mi stavo ora
chiedendo una cosa che non so se sia potuta emergere in un convegno laico come
quello in cui avete parlato di IA e Istituzioni, ma la Chiesa d’altronde è l’istituzione attiva più antica del mondo…
Quale beneficio può trarre la Chiesa dall’IA, e soprattutto quali sono i rischi
che con essa affronta? Secondo lei l’IA può essere usata dalle Istituzioni
religiose, dalle confessioni, dalla stessa Chiesa Romana? I primi esperimenti
che si son visti in giro sono stati bislacchi e anche “post-cristiani”, come
l’IA che faceva la predica a pochi anziani fedeli presenti in una di quelle
confusionarie chiese tedesche, dove ovviamente siamo al pittoresco, ma la
questione è seria.
L’IA è un mezzo, non è un fine, e questo ce lo stiamo
ripetendo in giro per i convegni tante volte. Non sono io a dirlo, sarebbe poca
cosa se lo dicessi io. Lo dicono anche insigni studiosi. A settembre 2024, per
esempio, ho portato il presidente vicario della Consulta, Giulio Prosperetti, a
parlare in quanto giuslavorista cattolico del rapporto tra IA e lavoro presso la
Rappresentanza in Italia della Commissione e del Parlamento europei. Perché in
tema di Chiesa cattolica e IA mi viene in mente proprio il tema del lavoro?
Perché il lavoro della Chiesa cattolica apostolica è in realtà una missione
umana, per portare il verbo divino nell’umano per l’umano, attraverso
l’esperienza del Cristo.
L’IA cosiddetta generativa non potrà e non dovrà mai
sostituire la celebrazione delle funzioni religiose, delle sante messe, né
dovrà mai ficcare il naso nel suo Deposito e tra i suoi tesori sacramentali, e
nemmeno nella diffusione del nostro catechismo. Non dovremo permettere che ciò
accada. Ogni forma bislacca come la messa o il catechismo con l’IA, che
qualcuno vuol far passare per progressismo, è una forma reazionaria che attacca
il progresso cognitivo ed esperienziale dell’umano, minando l’ordine della natura
vera nell’esistente e nella vita. L’IA utilizziamola per velocizzare i processi
meramente meccanici e alienanti nelle aziende e nelle pubbliche
amministrazioni, affinché nel rispetto della dignità dei lavoratori si
perseguano obiettivi di crescita della nostra industria e del nostro Made in
Italy, ma lasciamo fuori le messe dal mondo dell’IA generativa. Il prete è un
uomo in carne, ossa e spirito, non può essere altro.
Alter Christus, caso mai, sull’altare
almeno. A proposito, stante la sua professione di giurista, in base a quanto da
lei ricordato in più occasioni da ultimo, questo governo pare sia corso tra i
primi ai ripari, con iniziative legislative che tentano di arginare i già
presenti abusi a scopo manipolativo dell’IA. Di cosa si tratta?
L’Italia con la legge patria numero 132 del 2025, entrata in
vigore il 10 ottobre, è la prima Nazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea
ad aver emanato una normativa interna organica sull’intelligenza artificiale
cosiddetta generativa. La posizione italiana è una posizione giustamente aperta
all’innovazione tecnologica ma fortemente garantista sulla dignità delle
persone. Il governo Meloni ha tracciato una via chiara, capace di dare speranza
all’umano, perché conserva l’uomo come soggetto, senza mai ridurlo a oggetto.
L’IA non potrà mai essere battezzata al mondo della soggettività, da cui in
quanto mero strumento deve restare estranea. Nella legge nazionale sull’IA la
sfera di giudizio e la responsabilità professionale restano unicamente in capo
all’essere umano. Anche il fatto che le opere generate dall’IA siano protette
con il diritto d’autore solo qualora siano il frutto di un lavoro intellettuale
umano denota una sensibilità del legislatore patrio verso la insopprimibile
distinzione tra l’artificiale e l’umano, per proteggere fortemente la persona
quale vero e unico soggetto protagonista, ideatore, autore. Questa legge
italiana si pone quindi in armonia non solo con il Regolamento UE numero 1689
del 2024, ossia con l’Artificial Intelligence Act, come possiamo leggere tra i
tecnicismi della legge stessa, ma si pone anche e soprattutto in tenace armonia
con la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro, di cui ci ha
parlato papa Leone XIV.
Se l’IA dovesse
esprimersi su papa Benedetto, il papa più attaccato degli ultimi secoli,
dovendo fare la summa di tutto il letame spesso preparato a tavolino e sparso
contro di lui sul web, non rischieremmo di vedercelo descrivere ingiustamente
come un mostro solo perché il suo messaggio non rientrava nella narrativa
imposta dal pensiero unico dominante?
Il filosofo Feuerbach, a cui non mi sono mai ispirato perché
– secondo lui – sarebbe stato l’uomo ad aver creato Dio e non il contrario, una
cosa la disse correttamente. Una sola. L’uomo è ciò che mangia, disse. Non solo
l’uomo è ciò che mangia, ma anche il mondo del web è ciò che mangia, direi io. I
mattoni costitutivi della rete internet sono gli stessi dati che una volta
immessi vanno ad annidarsi nel sostrato automatico e insensibile degli
algoritmi, posto alla base dell’intelligenza artificiale e dei processi
meccanici virtuali di machine learning e deep learning. Così se una lobby
malefica volesse inquinare i pozzi dell’informazione, facendo immagazzinare da
più soggetti virtuali di paglia tante informazioni che diffamano la memoria del
Santo Padre Benedetto XVI, il rischio che tantissimi giovani si facciano un’idea
sbagliata su Ratzinger o su altri personaggi non più viventi su questa Terra o
su questioni sociali varie, sì, esiste. Occorre vegliare sempre sulla
trasparenza algoritmica, ma occorre anzitutto stimolare nei più giovani una
coscienza culturale umanistica e spirituale all’altezza delle sfide e dei
rischi dell’IA. Non sempre ci si accorgerà dell’origine viziata e falsificata
di video, audio e testi d’interviste attribuite a Tizio piuttosto che a Caio, e
allora il rischio che la realtà diventi irrealtà è alto.
Qual è la minaccia
più grande dell’IA?
Mentre l’uso dell’IA cosiddetta generativa è utile per
accrescere le opportunità nella libera impresa, oltre che per velocizzare ed
efficientare le pubbliche amministrazioni, la minaccia più subdola e lancinante
si ha per lo spirito. Ma anche per la descrizione e percezione della realtà in
democrazia. I meccanismi dell’IA sembrano scimmiottare le dialettiche della
coscienza individuale e dello spirito, pur avendo natura e conformazioni in
realtà differenti. Facendo la domanda giusta si ha una risposta più o meno
appropriata. In Cina adesso hanno inserito l’IA come materia scolastica a sé
per i bambini che frequentano le scuole equivalenti alle nostre scuole
elementari. Oltre alla materia tecnica interessante sull’IA, è legittimo
domandarsi se quei bambini, in un’età fragile, avranno gli strumenti culturali
e di algoretica per discernere i meccanismi della propria psiche, del proprio
io, della propria coscienza e del proprio spirito dai meccanismi del mondo
virtuale dell’IA. L’IA non deve sostituire la nostra coscienza. Su questi temi
si gioca lo scarto tra maturazione della nostra civiltà e alienazione umana, e
conseguentemente si gioca anche il futuro delle classi dirigenti di tutte le
istituzioni. Dobbiamo riscoprire il pensiero del più grande teologo del
Novecento, Ratzinger. Il nostro compito è anche quello di far conoscere ai più
giovani la lungimiranza di Papa Benedetto XVI sulle radici cristiane
dell’Europa, e sul rapporto tra tecnologia ed essere umano.

