Il presbitero italiano
Marco Billeri, 40 anni, dottore in Diritto canonico come secondo Segretario
personale del Pontefice, associa il suo lavoro all’altro Segretario papale: don
Edgar Rimaycuna, 36 anni, sacerdote peruviano residente dal 2017 in Italia (prima
a Roma e poi a Manassena, in Liguria) quando nel 2023 venne chiamato
dall'allora cardinale Prevost. Don Edgar è licenziato in Sacre Scritture.
Questa intervista è stata
pubblicata sul giornale web della diocesi di san Miniato nella quale don Marco
è incardinato.
▅ Don Marco, come sta vivendo questo momento?
«Vivo questo tempo con grande trepidazione,
secondo l’etimo stesso della parola ovvero alternando le opposte sollecitazioni
della speranza e del timore. Infatti da una parte sono pieno di commozione,
stupore e gratitudine verso il Santo Padre per questa richiesta, nella speranza
che possa essere maggiormente di aiuto al suo ministero, ma dall’altra parte
intravedo la gravità del servizio. Mi sovvengono in mente anche tanti altri
pensieri, tanti volti soprattutto, di persone che in qualche modo sarò maggiormente
limitato a vedere e frequentare, contesti da lasciare e in generale anche tante
domande sulle cose materiali legate all’imminenza del trasferimento presso la
Santa Sede. Ammetto che talvolta mi accorgo del rischio di perdermi dietro a
questi pensieri e allora subito mi viene alla mente la domanda che il Maestro
rivolge ai discepoli nel ventiduesimo capitolo del Vangelo di Luca: “quando vi
ho mandato [a due a due senza portare niente con voi] … vi è forse mancato
qualcosa? ed essi risposero: nulla”. Poi anche le parole del Manzoni quando
dice: “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una
più certa e più grande”: so che non ho cercato niente di tutto questo, che se
il Signore lo permette, evidentemente da questa strada può venirne un bene e
una crescita e questo pensiero mi consola. Capisco che non è una risposta
esauriente, ma si alterna un po’ questo nella mente».
▅ Quali sono
le sue aspettative per questo servizio?
«Come ho detto, vivo tutto con trepidazione. Credo
che molte delle fatiche che ci saranno verranno ripagate, oltre che dal
Signore, anche dalla vicinanza al Pontefice: dal poterlo ascoltare, vedere la
sua sollecitudine per la Chiesa universale e per il bene di tutti gli uomini
del mondo. Consolazione mi viene inoltre dal sapere che egli dispone di altri
validissimi collaboratori; in primo luogo il suo primo segretario particolare e
i molti che nella Santa Sede, a diverso titolo, con dedizione collaborano alla
missione della Chiesa nel mondo».
▅ Pensando
agli incarichi che dovrà lasciare quali sono le prime sensazioni?
«Innanzitutto in questo momento sento una
gratitudine grande verso Dio per i contesti in cui finora mi è stato dato di
poter stare e allo stesso tempo sento il desiderio di affidargli le tante
persone e realtà che mi è stato dato di poter incontrare e servire. Poi direi
che la prima realtà concreta che mi viene in mente è il lavoro presso il
Tribunale Ecclesiastico Regionale, un lavoro molto delicato ma anche molto
pastorale, come è proprio del diritto canonico e di ogni azione della Chiesa;
in quel contesto, a contatto con la sofferenza e il dolore, si è posti in un
luogo davvero singolare da dove poter aiutare le persone in un momento
difficile della loro vita perché, attraverso un percorso di verità con la
propria storia, si possa ritrovare la pace perduta. Inoltre lì ho avuto modo di
collaborare con molte persone e anche di approfondire questioni che si sono
rivelate proficue per il ministero. Sento quindi di dover ringraziare per il
grande dono che è stato finora questo servizio. Mi viene in mente, poi, il
servizio alla liturgia diocesana, innanzitutto come Cerimoniere vescovile e poi
collaborando strettamente con l’Ufficio liturgico. Qui ho avuto modo di poter
approfondire il tesoro della liturgia e anche poter contare sulla
collaborazione di molte persone, specie di giovani, che mi hanno rincuorato con
la loro dedizione e serietà: il pensiero e la gratitudine in questo momento va
anche a loro. Certamente poi ho in mente molte altre cose, legate ad altri
incarichi… non posso non menzionare la parrocchia dove sono adesso in quanto
sento il dovere e il bisogno di affidare il loro cammino a Dio, certo che ogni
percorso buono poi ci riunisce in Cielo. Porto nel cuore specialmente alcune
situazioni di sofferenza, di malattia, di solitudine o di lutto. Credo che ci
saranno anche dinamiche che un po’ mi mancheranno, come le benedizioni delle
famiglie, che da noi si fanno ancora porta a porta, in ogni strada… un po’
impegnative in effetti, ma ammetto che ogni anno avevo piacere di arrivare a
quel momento per incontrare tante storie. Ricordo con affetto anche tante altre
realtà parrocchiali dove, per un motivo o un altro, sono stato e poi certamente
vorrei menzionare e ringraziare la diocesi di Volterra con cui c’è stata una
proficua e preziosa collaborazione. Nel ricordare le cose dette e le persone
incontrate, non posso fare a meno anche di domandare perdono per le mancanze e
per gli errori senz’altro commessi: taluni di cui ho avuto contezza, altri che
nemmeno ho visto».
▅ Lascerà
tutto di nuovo…
«Era già avvenuto quando sono entrato in seminario
e poi, se pur in un modo diverso, quando mi è stato chiesto di andare a Roma
per lo studio del diritto… ed è un po’ ancora la sensazione che vivo in questi
giorni, sì. Ma ho già parlato di questo prima. In fin dei conti mi vengono in
aiuto le parole di Giobbe, che sono un ottimo insegnamento: «Nudo uscii dal
seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha
tolto, sia benedetto il nome del Signore». Comunque a guardare bene, ha delle
consolanti peculiarità questo “lasciare”: ne ho in mente almeno quattro. La
prima tiene in considerazione che ogni cosa con cui abbiamo a che fare, specie
nel ministero sacerdotale, ci vede amministratori e non proprietari: oltre la
volontà, non abbiamo in mano veramente qualcosa di nostro che poi dobbiamo
“lasciare”: tutto è di Dio e noi siamo chiamati a custodire queste realtà per
un certo tempo e poi riconsegnarle a Lui, che ne dispone secondo il Suo
progetto. Siamo quindi chiamati a tenere sempre a mente che un giorno dovremo
passare le consegne, lavorando al meglio, tenendo in ordine quanto affidato e
non facendo deteriorare quello che si amministra ma piuttosto fruttare, secondo
il monito della nota parabola dei talenti. In definitiva è l’immagine della
stessa vita. Tra l’altro, coi dovuti adattamenti, questo discorso vale anche
per i fratelli che incontriamo lungo la strada.
In secondo luogo spero di poter mantenere qualcosa
di ciò che seguo adesso; penso per esempio al prezioso lavoro con la rivista di
“Quaderni di Diritto Ecclesiale”, di cui sono membro, che mi ha permesso di
studiare e approfondire molti aspetti restando, per così dire, nell’ambito
accademico. Se è vero che non so se e in quali forme questo potrà essere ancora
fatto in avvenire, la speranza c’è.
La terza peculiarità è che non me ne vado
definitivamente dalla Toscana e dalla diocesi. Quello che inizio è un servizio
che ha un termine. Non si tratta di qualcosa di definitivo; resto un sacerdote
figlio di questa terra, giuridicamente qui incardinato e quando il Santo Padre
lo riterrà opportuno, rientrerò in diocesi prendendo gli impegni che il Vescovo
vorrà assegnarmi e il posto che ora vado ad occupare lo prenderà qualcun altro,
proprio secondo quanto ci insegna la Scrittura, in un modo che descrive anch’esso
la nostra vita. Questo agire, a ben vedere, è consolante: ci sgrava dall’idea
dell’inadeguatezza a risolvere ogni singolo problema esistente e dall’altra
parte mostra che solo Gesù Cristo resta. Infine noi andiamo verso l’eternità e
quindi in realtà non lasciamo, non perdiamo veramente, ma seminiamo, in attesa
del raccolto finale».
▅ Cos’altro
vuole dire ai lettori?
«Chi è chiamato a svolgere questo genere di
incarichi, meno parla meglio è. Forse sembrerà un po’ fuori contesto detto al
termine di un’intervista, ma in fin dei conti ho solo parlato di quanto ho
svolto finora e raccontato la mia fiducia in Dio.
Forse però a conclusione potrei aggiungere un
invito a pregare per il Santo Padre Leone XIV, chiamato a guidare la Chiesa in
un momento storico davvero singolare. E assieme a lui, pregare anche per tutti
coloro che lo aiutano, in varie forme, in questo ministero. La mia persona e
vicenda è poca cosa: svolgerò questo servizio per un tempo limitato, ma se
questa mia vicenda ravviva in taluni l’affetto e il ricordo nella preghiera per
il Santo Padre e per chi collabora con lui, allora è stata senz’altro già utile
a qualcosa».
