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martedì 7 ottobre 2025

Badilla. Il Prefetto Iannone, un anno fa, delineò con precisione le norme violate e stravolte nel caso Rupnik #rupnik

Grazie a Luis Badilla per questa analisi sulla terribile vicenda degli abusi di Marko Rupnik, con una utilissima riproposizione di una intervista all'allora Prefetto del Dicastero dei Testi Legislativi (ora nominato da Leone XIV Prefetto del Dicasteo per i Vescovi).
QUI i post di MiL sul Caso Rupnik
Luigi C.

Il Prefetto Filippo Iannone un anno fa, come custode dei Testi Legislativi della Chiesa, delineò con precisione le coordinate giuridiche violate e stravolte nel caso dello scandalo dell’ex gesuita Rupnik

          Nella Newsletter precedente (N° 86) abbiamo pubblicato un’autorevole intervista a mons. Filippo Iannone, ecclesiastico nominato dal 15 ottobre Prefetto del Dicastero per i Vescovi, responsabilità coperta da Papa Leone XIV dal 30 gennaio 2023 fino alla sua elezione (8 maggio 2025). L’arcivescovo Filippo Iannone, fino ad oggi è ancora Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi, nominato da Papa Bergoglio il 15 aprile 2018.

          Purtroppo, un anno fa le dichiarazioni di mons, Iannone passarono inavvertite, sottobanco, e la stampa una volta attenta a questa materia si trovava in un’altra fase cognitiva. Ora che il canonista Iannone è salito alla ribalta per la nomina ricevuta (Prefetto del Dicastero per i Vescovi) appare opportuno e interessante leggere ancora questa intervista che allora, chiaramente, avvertita su determinati fenomeni in corso nella Chiesa, poco trasparenti e insidiosi. Noi lo facciamo ora tenendo lo sguardo fisso sul caso del prete sloveno Marko Ivan Rupnik.

Lo scandalo Rupnik: ferita sanguinante tuttora

Sulle dichiarazioni di mons. Iannone moltissimi dei nostri lettori hanno scambiato con noi riflessioni, domande e anche dubbi. Il quesito più frequente riguarda la scomunica, la revoca della scomunica, i requisiti e i percorsi e perciò si va a finire, inesorabilmente, nella vicenda dell’ex gesuita Marko Ivan Rupnik, persona attualmente accusato per la seconda volta in un processo canonico.

Su di lui la Curia generalizia dei Gesuita, il 20 dicembre 2022, rivelò che nel mese di maggio 2020, nel primo processo canonico Rupnik venne scomunicato per aver dato l’assoluzione in confessione a una donna sua complice (sesto comandamento).

In concreto nel documento gesuita si legge:

Maggio 2020: La CDF (allora Congregazione per la Dottrina della Fede) emette un decreto di scomunica; la scomunica viene revocata da un decreto della CDF più tardi nello stesso mese.” (Fonte)

Due decreti con la firma del card. Ladaria. Quindi, padre Rupnik nel giro di pochissimi giorni fu scomunicato con un decreto e poi, questa scomunica, fu revoca con un altro decreto. Due decreti a firma del Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede di allora, il gesuita cardinale Luis Ladaria, che ovviamente ha avuto il consenso di Papa Francesco, o meglio ha eseguito la volontà del Pontefice che è sempre intervenuto pesantemente nel processo cercando di salvare il suo amico mosaicista, non poche volte anche suo consigliere.

Questi due decreti, distanziati pochi giorni uno dall’altro, non esisterebbero senza l’approvazione e richiesta di Papa Francesco. E’ impensabile che il Prefetto cardinale Luis Ladaria possa aver cambiato di opinione di un momento all’altro dopo, secondo indiscrezioni autorevoli di fonti vicine al dossier, aver chiesto da subito le dimissioni dallo stato clericale del gesuita slovene

In questa conversazione con Vatican News, quasi un anno fa, Mons. Iannone, risponde a domande precise in cui non si cita il nome del prete sloveno Rupnik, ma il suo fantasma galleggia dalla prima all’ultima parola. La stessa intervista del 19’ottobre 2024 non avrebbe senso se non si capisse che era un modo di chiarire dubbi e perplessità sulla vicenda del prete sloveno che circolavano con abbondanza e insistenza.

Papa Francesco, a sorpresa, cambia di opinione

Insomma le principali dichiarazioni di mons. Iannone si possono applicare perfettamente al caso Rupnik, alla sua scomunica e alla sua successiva revoca. Queste parole del canonista possono essere utili anche per capire la sentenza del secondo processo canonico in corso per abusi di potere, coscienza e sessuale su numerose donne della Comunità Loyola (oggi sciolta). Tempo fa, 2020, questo processo non sé stato fatto perché i reati erano prescritti, e non si è neanche voluto da parte di Papa Francesco, derogare a queste prescrizioni. Il Pontefice lo fece solo tre anni dopo, il 27 ottobre 2023.

Il cambiamento di opinione del Papa, inatteso, spiega il perché Francesco prima difende la prescrizione, cosa che impedisce nel 2018 un processo canonico a Rupnik per gravissimi reati sessuali, e poi invece (2023), ordina alla deroga di questa prescrizione aprendo la strada al processo - tuttora in corso - che dovrebbe fare giustizia a decine di donne abusate e umiliate per decenni. Non solo. Sono donne che per quasi 30 anni sono state inascoltate da tutte le autorità più alte della Chiesa. Per anni non hanno avuto neanche una misera risposte alle loro lettere di denunce. In alcuni casi sono state screditate, dileggiate e offese.

          Il comunicato vaticano del 27 ottobre 2023 dice:

"Nel mese di settembre la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ha segnalato al Papa gravi problemi nella gestione del caso di P. Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime. Di conseguenza il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo.”

Il testo della Sala stampa vaticana concludeva così: “Il Papa è fermamente convinto che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa.”

Intervista con mons. Iannone

Un sacerdote dimesso dallo stato clericale

non necessariamente è scomunicato.

Domanda: Un sacerdote dimesso dallo stato clericale è scomunicato?

Risposta di mons. Iannone: No! La tradizione canonica conosce due tipologie di pene applicabili a tutti i fedeli, chierici e laici: le censure e le pene espiatorie. Tra le pene espiatorie applicabili ad un chierico (diacono, sacerdote e vescovo) la più grave e anche perpetua è la dimissione dallo stato clericale. Si applica, come è facile dedurre, in presenza di reati di particolare gravità. Per dirlo in termini più semplici il sacerdote dimesso dallo stato clericale non è scomunicato, ma non potrà più esercitare il sacro ministero, mentre alle condizioni di tutti gli altri fedeli potrà ricevere i sacramenti.

Commento. Stando così le cose al termine del processo canonico contro Rupnik, se riconosciuto colpevole, la pena espiatoria massima che potrebbe ricevere è la dimissione dallo stato clericale. Se “spretato” non è chiaro cosa potrebbe succedere con un’eventuale seconda scomunica. Probabilmente non si tornerà sulla questione.

Si parla, in parallelo, e lo fecero capire gli stessi gesuiti, sulla possibilità di risarcimenti economici alle vittime ma sino ad oggi nessuna fonte autorizzata ha confermato l’indiscrezione. In concreto, il 26 marzo 2025 il delegato del Generale, padre Johan Verschueren, in una lettera inviata alle vittime, manifesta l'intento di avviare insieme a loro un percorso di riparazione, "orientato alla guarigione delle ferite" causate "dall'operato di Marko Rupnik".

In questo contesto non del tutto chiaro si parla anche di trattative con Rupnik, titolare dei copyright dei mosaici. Nella questione dovrebbe essere coinvolto il Centro Aletti, quindi la diocesi di Roma.

Rupnik nel maggio 2020 ha adempiuto tempestivamente

e seriamente ai requisiti per ottenere che la scomunica

fosse derogata in pochi giorni?

Domanda: Può spiegare come avviene l’eventuale remissione di una scomunica? Ci sono procedimenti rapidi per questo? Quali soggetti vengono coinvolti?

Risposta di mons. Iannone: La scomunica, che la legge canonica annovera tra le censure, è la pena con la quale si priva il battezzato - che ha commesso un reato (tra questi: profanazione dell’eucarestia, eresia, scisma, aborto, violazione del segreto della confessione da parte del sacerdote) ed è contumace (cioè disobbediente) - di alcuni beni spirituali, fino a quando cessi il suo permanere in questo stato e sia assolto. I beni spirituali, o a questi annessi, dei quali la pena può privare, sono quelli necessari per la vita cristiana, e cioè principalmente i sacramenti. La scomunica ha una finalità strettamente “medicinale”, finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona colpita, perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato (salus animarum suprema lex in Ecclesia - la salvezza delle anime è la legge suprema nella Chiesa). Di conseguenza, per ottenere la remissione, deve provare che tale finalità sia stata raggiunta. Non sono previsti termini di tempo predeterminati. Il requisito necessario, pertanto, è che il soggetto si sia veramente pentito del delitto e abbia dato adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale riparazione. È ovvio che la valutazione di questa circostanza deve essere fatta dall’autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale decisione.

Commento. Se si leggono queste spiegazioni di mons. Iannone si deve pensare che quando a Rupnik fu revocata la scomunica, in pochi giorni, il prete aveva rispettato ‘intero e complesso percorso richiesto dalle leggi per chiedere e ottenere la revoca della sua scomunica e l’assoluzione.

Ma, non si sa niente. Nessuno ha mai detto nulla. Se di per sé una scomunica comminata per un reato grave viene revocata nel giro di giorni è sorprendente. E’ ugualmente sorprendente dover dubitare sul fatto che le norme o requisiti necessari per l’assoluzione siano state rispettate e applicate.

          Mons. Iannone precisa che la “scomunica è la pena con la quale si priva il battezzato di alcuni beni spirituali (principalmente i sacramenti), fino a quando cessi il suo permanere in questo stato e sia assolto”. Dice ancora mons. Iannone che "la scomunica ha una finalità strettamente “medicinale”, finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona colpita, perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato (salus animarum suprema lex in Ecclesia - la salvezza delle anime è la legge suprema nella Chiesa).

          Nel caso Rupnik, all’interno della sua parte più oscura, nulla di quanto sottolinea il canonista appare chiaro e trasparente. Lo si vede ancora meglio se si elencano i requisiti che Rupnik avrebbe dovuto rispettare in pochi giorni per avere da Francesco la revoca e l’assoluzione:

a) Per ottenere la remissione, lo scomunicato deve provare che il suo pentimento è fuori dubbio e palese, cristallino.

b) Pertanto l'autorità competente deve essere convinta che il soggetto si è veramente pentito del delitto.

c) Che il soggetto inoltre ha dato adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno ha seriamente promesso di realizzare tale riparazione.

d) L'autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, deve tenere conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale decisione.

Francamente a chiunque appare discutibile che nel maggio 2020, nell’arco di qualche giorno, sia accaduto tutto quanto abbiamo detto. Il primo decreto era la sentenza dopo il processo, lungo, complesso e non facile. Il secondo decreto invece è arrivato senza neanche il tempo minimo necessario per espletare i requisiti di un pentito che chiede l’assoluzione.

Non risulta a nessuno che Rupnik sia un pentito. Anzi le restrizioni che ha avuto durante l’iter delle indagini sono state da lui disobbedite sistematicamente, anche quelle minime.

E’ noto, che Rupnik non è stato mai collaborativo, non rese mai una dichiarazione integrale e completa, non si presentò mai per essere interrogato a fondo, le poche volte che spiegò qualcosa lo fece con mezze verità. Con la sua condotta nel corso delle diversi indagini è stato il primo a far di tutto per occultare le verità delle sue vicende.

I Gesuiti quando informarono che era stato espulso dalla Compagnia denunciarono che il presbitero aveva disobbedito sistematicamente. C’è da dire in più, è non una cosa qualsiasi, che non risulta che abbia chiesto perdono alle vittime, alla Compagnia stessa; che abbia scritto alle vittime per dare qualche spiegazione e tantomeno che abbia risarcito qualcuno. Eppure molte delle vittime sono state operaie mite e silenziose nel montaggio dei mosaici in centinaia di luoghi del mondo.

Nel primo processo canonico contro Rupnik quali sacrifici,

con finalità riparativa, sono state imposte a Rupnik?

Domanda: Potrebbe spiegare la differenza tra la scomunica e quelle che vengono definite “pene espiatore”?

Risposta di mons. Iannone: Oltre alle censure di cui abbiamo parlato, la tradizione canonica conosce e prevede un altro tipo di pene, chiamate espiatorie, le quali hanno per finalità specifica l’espiazione del delitto. Di conseguenza, la loro remissione non è solamente legata al pentimento o alla pertinacia del reo (cioè alla sua ostinazione), ma principalmente al personale sacrificio vissuto con finalità riparativa e di correzione. Esse comportano la privazione per un periodo di tempo stabilito, indeterminato o perpetuo di alcuni diritti di cui il soggetto godeva (per es. la proibizione di esercizio o la privazione di un ufficio o incarico ricoperto), senza però impedirgli l’accesso ai beni spirituali, in particolare ai sacramenti.

Dopo la scomunica cosa fu richiesto da Rupnik

al Dicastero per la Dottrina della Fede?

Domanda: Nelle ultime settimane, diversi articoli di stampa hanno offerto varie interpretazioni riguardo le procedure canoniche relative ai delitti riservati. Può spiegare quali sono queste procedure e come vengono applicate?

Risposta di mons. Iannone: Stiamo parlando di delitti che per la loro gravità in materia di fede o di morale sono giudicati esclusivamente dal Dicastero per la Dottrina della Fede. La procedura seguita dal Dicastero può essere di due tipi: quella di natura cosiddetta “amministrativa” o quella giudiziale. Nel caso del processo amministrativo, una volta concluso il procedimento con il Decreto penale extragiudiziale, il condannato ha la possibilità di impugnare il provvedimento ricorrendo al Collegio dei Ricorsi, appositamente costituito presso lo stesso Dicastero. Il decreto di questo Collegio è definitivo. Nel caso di un processo giudiziale penale invece, dopo aver concluso i diversi gradi di giudizio, la sentenza passa in giudicato (res iudicata), quindi diventa esecutiva. In entrambi i casi, la persona condannata può chiedere la restitutio in integrum (cioè il ripristino della sua condizione originaria) sempre al Dicastero per la Dottrina della Fede. È anche possibile chiedere una revisione in forma di grazia; in questo caso, la procedura ordinariamente è espletata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma può essere anche affidata ad altri Organismi. Dato il carattere riservato di questo tipo di comunicazioni, è la Segreteria di Stato che provvede al coordinamento delle varie istanze e all’invio delle eventuali decisioni per l’esecuzione delle disposizioni adottate.