Grazie ad Investigatore Biblico sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.
5-9-25
Avevo già avuto occasione, tempo fa, di soffermarmi su un versetto che non smette di provocare interrogativi e, direi, anche turbamenti nel cuore di chi ascolta con serietà la Parola. Ma la Liturgia della prossima Domenica, 7 settembre 2025, ripropone proprio questo passo di Luca 14,26 (Indizio n.4 Bibbia CEI 2008: “Luca 14,26: una traduzione liquida, per un Vangelo ‘Annacquato’” di INVESTIGATORE BIBLICO – Investigatore Biblico) , e mi sembra doveroso tornare a considerarlo con rinnovata attenzione.
Il testo, nella traduzione CEI del 1974, suonava così: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». La nuova traduzione CEI 2008 (che ascolteremo nel Vangelo di Domenica) ha invece modificato in maniera sostanziale: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Vangelo e parola del giorno 07 settembre 2025 – Vatican News).
Ora, la differenza non è marginale. L’una traduzione ci pone davanti al verbo «odiare», l’altra al verbo «amare di più». Quale delle due è più fedele al testo originario? È necessario risalire all’originale greco, che dice: «καὶ οὐ μισεῖ τὸν πατέρα ἑαυτοῦ…». Il termine «μισέω» (miseo) significa propriamente «odiare». Non ci sono grandi dubbi sul piano lessicale: il verbo, nel greco del Nuovo Testamento come in quello classico, indica l’odio, l’avversione.
San Girolamo, nella sua Vulgata, rimase fedele a questo senso originario: «et non odit». La scelta del verbo latino «odit» (odiare) mostra come anche il grande traduttore della Scrittura non abbia esitato a rendere l’asprezza e la forza del testo evangelico.
Eppure, ci si deve domandare che cosa intendesse Gesù con un’espressione tanto radicale. Certamente non un odio nel senso di rancore, cattiveria o desiderio di male verso i propri familiari. La Bibbia non contraddice se stessa: il comandamento di onorare il padre e la madre rimane in vigore, così come l’amore fraterno. Il linguaggio semitico, però, spesso utilizza forme iperboliche per indicare la necessità di una scelta assoluta, senza compromessi. «Odiare», in questo contesto, significa «non anteporre», «non preferire», «non collocare al primo posto». È un modo di dire che mette in evidenza il primato radicale di Dio e del discepolato rispetto a ogni altro legame, pur sacro e nobile.
Sotto questo profilo, la traduzione CEI 2008 intende certo esplicitare il senso, cercando di sciogliere l’equivoco che potrebbe sorgere in un lettore moderno. Ma il rischio, inevitabile, è quello di attenuare troppo la forza paradossale della parola di Gesù, quasi di smussarne l’urto. Il Vangelo, invece, conserva sempre una dimensione di scandalo e di rottura: ci chiama a conversione, a un rovesciamento di priorità, a un amore che non può tollerare idoli o compromessi.
L’errore, dunque, non è tanto filologico – poiché «μισέω» non significa mai semplicemente «amare di meno» – quanto teologico e pastorale: si è scelto di sostituire la rudezza di una parola provocante con un giro più accomodante, ma così facendo si rischia di privare il testo della sua energia spirituale. Gesù non ha paura di utilizzare immagini che scuotono, che destabilizzano, perché sa che solo una parola forte può aprire alla radicalità della sequela.
Per questo, nella Domenica che ci attende, sarà importante leggere il testo con orecchio attento e cuore aperto. Non scandalizzarci del termine «odiare», ma lasciarci provocare da esso a un esame sincero delle nostre priorità. Gesù ci chiede: chi è veramente al primo posto nella tua vita? Quale legame, quale affetto, quale sicurezza tu poni sopra di me? Non si tratta di disprezzare gli altri, ma di amarli nel giusto ordine, a partire da un amore più grande che è quello per il Signore.
Il compito di ogni traduzione è arduo. Ma il compito di ogni credente, alla luce di questo versetto, è ancora più grande: lasciarsi purificare il cuore perché nulla venga a prendere il posto che appartiene solo a Cristo.
