
La Bellezza salverà il mondo e...anche la Messa.
"Ci viene in mente la conversione di san Nicolò Stenone (1638-1686), scienziato ed ex-protestante danese. Era a Livorno quando lo commosse la processione del Corpus Domini, dove, al vedere portare in processione con tanta solennità l’Ostia santa, pensò: “O quell’Ostia è un semplice pezzo di pane, e pazzi sono coloro che le fanno tanti ossequi; o qui c’è davvero il Corpo di Cristo, e allora perché non l’onoro anch’io?’” Cosa sarebbe accaduto se san Nicolò Stenone fosse vissuto oggi e avesse visto come -oggi- si “onora” l’Eucaristia?".
Luigi C.
Il Cammino dei Tre Sentieri, 7 Luglio 2025
E’ evidente che la forma, svolgendo una funzione espressiva (cioè significativa) della sostanza, non può né fagocitare né tantomeno sostituire la sostanza stessa. Altrimenti si cadrebbe in quel che viene definito “formalismo”, che è una palese ipocrisia.
Ma se è vero questo, è pur vero che non si può concepire la sostanza senza la forma, perché questa è indispensabile per la comprensione dell’uomo. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Basterebbe pensare a Gesù che per i sacramenti ha voluto che ci fosse una materia per significare una realtà (la grazia) di per sé non visibile. Nel Battesimo ordinario non è certamente l’acqua ciò che toglie il peccato, ma senza l’acqua non è possibile significare la realtà invisibile della grazia. Ogni sacramento è infatti segno efficace della grazia.
Ma non solo questo. Va anche detto che la forma deve essere sempre proporzionata alla sostanza a cui è legata. Come può esserci un problema di eccesso, può esserci anche un problema di difetto. Più la sostanza è alta e più la forma deve essere altrettanto alta.
Veniamo adesso alla questione della celebrazione della Messa. La Messa è il più grande atto di culto che possa esserci, perché in essa ad offrirsi a Dio è Dio stesso nella persona del Figlio. Ogni Messa è la riattualizzazione vera, anche se incruenta, del Sacrificio del Calvario. Dunque, ogni Messa ha un valore infinito ed in un certo qual modo è il centro della realtà (l’universo intero) e della Storia, perché la Redenzione, operata da Cristo sul Calvario, ha salvato l’universo intero e tutta la Storia. Banalizzare, credere che questo mistero umanamente inimmaginabile possa essere significato anche con un minimalismo ed un essenzialismo pauperistico sarebbe contro la sostanza della Messa in sé. Sarebbe sproporzionato.
Certamente la forma non può essere una conditio sine qua non, per cui se non c’è una forma massimamente degna non si possa e non si debba celebrare la Messa. Possono esserci tante situazioni in cui la Messa vada celebrata indipendentemente dalla forma, sempre però utilizzando un rituale e un canone autenticamente -e non ambiguamente- cattolici. Ma ciò è ben altra cosa dal far capire che nella Messa debba necessariamente esserci una forma minimalista e pauperista.
Dovremmo piuttosto tener presente che nessuna eleganza formale può essere adeguatamente rispondente all’altezza incommensurabile del Mistero di ogni Messa. Quindi c’è sempre un difetto, mai un eccesso.
Si badi che gli stessi apostoli dell’autentica povertà (che non è il pauperismo) hanno parlato e agito con chiarezza. San Francesco, che pretendeva la massima povertà per i suoi frati, desiderava che per la liturgia vi fosse anche sfarzo. Sembra che arrivasse perfino a dire che le chiese dovessero essere broccate di oro e di argento, e che volesse che i paramenti dei sacerdoti fossero rifiniti anche con l’oro. Basti pensare ai paramenti che al tempo cucivano le Clarisse. Insomma, la povertà per l’uomo, ma non per Dio.
San Francesco, sempre lui, si addolorava quando vedeva una chiesa trasandata e sporca. Si racconta che quando capitava in qualche chiesa trasandata, si facesse dare una scopa per ramazzarla di persona.
Queste cose erano già presenti nell’Antico Testamento dove si esigeva una cura precisa della forma per il sacrificio celebrato al Tempio. Riportiamo ciò che scrive il cardinale Giovanni Bona in Mistero d’Amore. Meditazione sul cult eucaristico:
Dio, nell’Antico Testamento, minacciava di morte il sommo sacerdote che avesse osato entrare nel ‘Sancta Sanctorum’ (…), senza indossare i paramenti sacri, ornati di pietre preziose e di oro rifulgente, e senza il rivestimeno delle virtù. E, allora, a quale pena non andrà incontro il sacerdote della Nuova Alleanza che si avvicini a ciò che non è un’arca simbolica, ma Dio stesso, per immolare, toccare e mangiare Gesù, Figlio suo e Signore nostro, se non lo fa con la venerazione e l’attenzione che merita un tale convito?
Dunque, offrire la bellezza a Dio è un dovere. Perché? Perché Dio è Bellezza. Questa è logica, nient’altro che logica.
Ed è un dovere che è anche un proficuo apostolato. Ci viene in mente la conversione di san Nicolò Stenone (1638-1686), scienziato ed ex-protestante danese. Era a Livorno quando lo commosse la processione del Corpus Domini, dove, al vedere portare in processione con tanta solennità l’Ostia santa, pensò: “O quell’Ostia è un semplice pezzo di pane, e pazzi sono coloro che le fanno tanti ossequi; o qui c’è davvero il Corpo di Cristo, e allora perché non l’onoro anch’io?’” Cosa sarebbe accaduto se san Nicolò Stenone fosse vissuto oggi e avesse visto come -oggi- si “onora” l’Eucaristia?