
Sui rapporti con la religione ebraica.
Luigi C.
Il Cammino dei Tre Sentieri, 5 Agosto 2025
Per “teologia della sostituzione” s’intende la convinzione secondo cui l’Antico Israele, in quanto non rimasto fedele alle promesse divine per il rifiuto ad accettare Gesù, sarebbe stato “sostituito” da un “Nuovo Israele”, che è la Chiesa Cattolica.
Israele era la “vigna” del Signore. Nonostante che Dio l’avesse amata con tenerezza di padre, la vigna non produsse l’uva sperata, ma solo “foglie avvizzite” (cfr.Geremia 8,13), deludendo così le attese del Signore. Per questo la vecchia vigna è stata abbandonata da Dio e sostituita dalla “nuova vigna” che è la Chiesa Cattolica, il popolo della Nuova Alleanza, di cui Gesù è la “vera vite”. Nel Vangelo di Matteo Gesù lo dice chiaramente:
Per questo vi dico: ‘Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti (…)E i principi e i sacerdoti, udite le sue parabole, compresero che parlava di loro. (Matteo 21, 43-45).
Anche nella cultura non cristiana -contemporanea a Gesù- vi fu la consapevolezza della “teologia della sostituzione”. Infatti, nel primo secolo dopo Cristo, probabilmente intorno all’anno 73, il filosofo siriano Mara Bar Sarapion (I-II secolo d.C.) si chiese in una lettera che cosa avessero ricavato gli Ebrei dall’esecuzione del loro saggio Re (Gesù), visto che da quel momento il regno era stato loro tolto. Il testo dice testualmente così:
(…) Quale vantaggio trassero gli Ateniesi dal condannare a morte Socrate, quando la ricompensa per quell’atto furono carestia e pestilenza? Che vantaggio ebbero gli abitanti di Samo nel condannare al rogo Pitagora, quando in un’ora il loro territorio fu completamente ricoperto dalla sabbia? Quali vantaggi ottennero i Giudei dal condannare a morte il loro saggio re quando in quel momento il regno venne loro sottratto? Dio giustamente ha ricompensato la sapienza di questi tre uomini saggi: gli Ateniesi morirono per la fame, quelli di Samo furono sommersi dal mare e non poterono fare alcunché; i Giudei, rovinati e scacciati dalla loro terra, sono dispersi per ogni paese. Ma Socrate non è morto, egli vive negli insegnamenti di Platone. Pitagora non è morto: egli continuò a vivere nella statua di Hera. E neppure il saggio re è morto; egli vive negli insegnamenti che aveva impartito (…).
Il testo della lettera è in siriaco e oggi è conservato al British Museum. La traduzione dal siriaco all’inglese da noi utilizzata è di W.Cureton (cfr.W. Cureton, Spicilegium Syriacum: containing remains of Bardesan, Meliton, Ambrose and Mara bar Serapion, London 1855).
I farisei conoscevano bene la Scrittura, eppure non vollero riconoscere quanto in essa si parlasse della mediazione solo temporanea della cultura ebraica. Ecco perché Dante pone Caifa nel girone infernale degli ipocriti. Crocifisso con tre pali, questi veniva continuamente calpestato da ipocriti che indossavano cappe dorate e brillanti, ma internamente appesantite da piombo nero.
Va ricordato ciò che un famoso ebreo, il beato Alfonso Maria Ratisbonne (1812-1884), disse immediatamente dopo la sua conversione che avvenne grazie all’apparizione dell’Immacolata nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte il 20 gennaio 1842:
Entrando in quella chiesa ero un cieco e uscendone vedevo chiaro. Ero simile ad un uomo che si fosse svegliato di botto da un sonno profondo o un cieco nato che tutto d’un tratto vedesse la luce (…). Al gesto di Maria la benda mi cadde dagli occhi, e non una sola benda, ma tutta la moltitudine di bende che mi avevano stretto e accecato disparvero successivamente e rapidamente, come la neve, il fango, il gelo sotto gli ardori di un torrido sole. Uscivo da un sepolcro, da un abisso di tenebre, da una bolgia infernale ed ero vivo, perfettamente vivo! Ma piangevo. Scorgevo in fondo all’abisso le miserie estreme, le vergogne, le rovine dalle quali ero stato tratto fuori da una misericordia infinita.
Chi vuole negare la teologia della sostituzione si appella ad alcune parole di san Paolo, precisamente quando nella Lettera ai Romani (11,28-29), alludendo al popolo ebraico, scrive: “Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” Queste parole però non negano affatto la teologia della sostituzione. Tale “teologia” non significa non riconoscimento dell’elezione del popolo ebraico né che questo riconoscimento non vada perennemente ricordato, quanto che questo popolo (escluso il cosiddetto “resto d’Israele”) non è rimasto fedele alla Promessa. Insomma, il problema non sta nel fatto che Dio non abbia conservato i doni ad Israele, bensì che Israele li abbia poi chiaramente rifiutati. Insomma, che i doni di Dio siano senza pentimento, è fuori discussione. Infatti, Dio non cambia né può pentirsi delle sue decisioni. Se Dio fa qualcosa, rimane per l’eternità. E’ l’uomo, invece, che può cambiare. Dunque, se è vero che i doni di Dio sono senza pentimento, è pur vero che gli uomini che ricevono tali doni possono pentirsi e rifiutare. Saul fu eletto da Dio come Re d’Israele, ma non rimase Re perché abiurò, apostatò e si diede perfino alla necromanzia. Saul fu riprovato e morì suicida. Giuda fu scelto da Gesù come apostolo, ma tradì. Non si può dire che Dio si sia pentito di aver scelto Giuda, piuttosto è stato Giuda a rendersi indegno dell’elezione. E altri esempi si potrebbero fare a riguardo. Dunque, questo ragionamento va applicato anche nel caso dell’elezione del popolo ebraico.
Così scrive un illustre e compianto teologo come monsignor Brunero Gherardini: “Mantengo un rispettoso silenzio su discorsi e scritti ufficiali relativi alla permanenza degli Ebrei nell’Alleanza salvifica, la prima e mai revocata (?), anzi l’unica, la quale in quanto ‘non revocata’, non sarebbe né antica né nuova, ma proprio per questo sarebbe ugualmente via di salvezza per il mondo ebraico e per quello cristiano. La ragione addotta, vale a dire l’irrevocabilità delle promesse e dell’Alleanza, tiene conto del fatto che ‘i doni di Dio sono irrevocabili’, ma ignora un dato di decisiva importanza e cioè che tali doni possono essere rifiutati. Israele li rifiutò rifiutando Cristo e la sua redenzione, continua anzi a rifiutarli, dunque non li possiede, dunque non è “a Dio carissimo” se l’esser cari a Dio presuppone ed esige la piena ed incondizionata adesione al suo progetto salvifico in Cristo.” (Quale accordo fra Cristo e Beliar? Osservazioni teologiche sui problemi, gli equivoci ed i compromessi del dialogo interreligioso, Verona 2009, p.86).