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giovedì 21 agosto 2025

"Quando i liturgisti tagliano i versetti scomodi. Il caso della Seconda Lettura di Domenica 24 agosto 2025 (Eb 12,5-7.11-13)”

Grazie a Investigatore Biblico per la segnalazione di questo ennesimo taglio di versetti nel NOM.
Luigi C.

20-8-25

La seconda lettura di domenica 24 agosto 2025 sarà tratta da Eb 12,5-7.11-13. È un brano luminoso e denso di sapienza che ci invita a interpretare le difficoltà della vita come correzione paterna, segno di un amore che non si accontenta di lasciarci così come siamo, ma ci educa alla maturità della fede. Tuttavia, non possiamo non notare che la liturgia ha omesso i versetti 8-10. È una scelta che lascia perplessi, perché priva il testo di una parte essenziale della sua forza argomentativa e della sua concretezza. Il discorso di Ebrei, infatti, non si regge solo sull’invito alla pazienza nella prova, ma su un confronto serrato con l’esperienza umana di ogni tempo: quella della correzione paterna, della distinzione tra figli riconosciuti e “non-figli”.
Questo dunque il testo che ascolteremo alla Messa (cfr. Vangelo e parola del giorno 24 agosto 2025 – Vatican News):

“Dalla lettera agli Ebrei
Eb 12,5-7.11-13

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? (OMISSIONE dei vv. 8-10). Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

E questi i versetti 8-10 eliminati dal testo:

“8Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli!9Del resto noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri terreni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre celeste, per avere la vita?10Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità.”.
Nei versetti eliminati leggiamo parole dure e chiare: «Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli!» (Eb 12,8). In questi versetti omessi vi è inoltre anche un ammorbidimento nella traduzione. Qui il testo originale greco usa νόθοι (nóthoi), termine tecnico che significa letteralmente “bastardi”, cioè figli non legittimi, privi di eredità e riconoscimento. La Vulgata di san Girolamo ha tradotto con adulteri, sottolineando lo stesso senso di estraneità alla vera filiazione. Le Bibbie del Martini, del Ricciotti e persino la Bibbia CEI 1974 riportavano tutte il termine originale “bastardi”. La CEI 2008, forse per attenuare l’impatto, ha reso con “illegittimi”. È una traduzione corretta sul piano semantico, ma più smorzata, che perde qualcosa della rudezza e del vigore originari.

Si può comprendere che i liturgisti abbiano avuto timore di inserire nella proclamazione eucaristica un termine così spigoloso (evidentemente anche “illegittimi” lo hanno ritenuto poco adatto.) Forse la logica del “politicamente corretto” ha suggerito di tagliare i versetti, per non ferire la sensibilità dei fedeli o non evocare immagini di esclusione. Ma in questo modo il testo viene depotenziato, come se si avesse paura della sua verità. In realtà, proprio la franchezza di questa parola dura mette in luce la grandezza dell’amore di Dio: Egli ci tratta da figli veri, non da estranei. Se la sua correzione talvolta brucia, è perché ci riconosce come eredi, ci considera degni di crescere e di portare frutto.

Cancellando questi versetti, rischiamo di trasformare la Parola di Dio in un discorso levigato, addomesticato, inoffensivo. Eppure la Scrittura non ha paura di usare espressioni forti, perché vuole scuotere, provocare, aprire un varco nel cuore. Anche Gesù parlava così, con immagini a volte ruvide, proprio per non lasciarci dormire.

Il senso ultimo del brano si comprende solo con il riferimento a questi versetti “scomodi”: Dio ci corregge non per punirci, ma per farci partecipi della sua santità. È un’affermazione grandiosa: la disciplina divina non è castigo sterile, ma via di comunione, pedagogia di amore. Se restiamo nella prova senza scoraggiarci, è perché crediamo che dietro le mani che ci correggono c’è il volto di un Padre che ci vuole adulti nella fede.

Resta, come curiosità ma anche come ammonimento, il fatto che la traduzione CEI 2008 abbia reso “nóthoi” con “illegittimi” e non con “bastardi”, come sarebbe più letterale. San Girolamo stesso non ebbe paura di scegliere “adulterini”. Forse la scelta italiana è stata un compromesso pastorale. Ma l’effetto è che la parola, invece di ferire per guarire, viene smussata e addolcita. Il risultato è un testo meno scandaloso, certo, ma anche meno vero.

Ecco perché è un errore togliere i versetti 8-10 dal lezionario: la Parola di Dio non ha bisogno di essere protetta dalle nostre paure linguistiche. Ha bisogno, piuttosto, di essere ascoltata nella sua interezza, anche quando ferisce, perché solo così può guarire. Chi ama davvero non teme di correggere. E Dio, che ci riconosce come figli, non ha timore di parlare chiaro, chiamando le cose per nome. Sta a noi non addolcire la sua voce, ma lasciarci educare dalla verità che salva.