Grazie ad Investigatore Biblico per queste nuove analisi sui "tagli" nella liturgia NOM.
Luigi C.
29-8-25
La seconda lettura della liturgia di domenica 31 agosto 2025 ci propone un brano della Lettera agli Ebrei (12,18-19.22-24a).
“Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. (OMISSIONE vv. 20 e 21)
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova”. (Liturgia del giorno 31 Agosto 2025 – XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – sito ufficiale della CEI – Chiesacattolica.it).
L’autore della lettera traccia un suggestivo contrasto: da una parte il Sinai, con il fuoco ardente, le tenebre, la tempesta, lo squillo di tromba e le parole che incutevano spavento; dall’altra il monte Sion, la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, la festa degli angeli e l’assemblea dei primogeniti, lo sguardo al Dio giudice e infine a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova. È un testo che vuole aiutare la comunità a comprendere la differenza tra l’antica rivelazione, avvolta dal tremore, e la nuova, caratterizzata dalla vicinanza fiduciosa al Signore attraverso Cristo.
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che la comprensione di questa pagina è stata resa meno chiara da un taglio incomprensibile nel testo proclamato in chiesa. Mancano infatti i versetti 20 e 21, che così recitano: «Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo». Senza queste frasi, il contrasto che l’autore intende stabilire tra Sinai e Sion risulta attenuato, quasi smorzato, e la forza drammatica della contrapposizione rischia di sfuggire all’ascoltatore.
Perché sono stati omessi questi versetti? Non vi è una motivazione che regga né sul piano esegetico né su quello pastorale. Proprio il richiamo alla paura di Mosè, alla distanza invalicabile e alla santità tremenda di Dio, serve a mostrare la grandezza del dono di Cristo. Solo se si percepisce fino in fondo lo spavento dell’antica teofania, si può davvero comprendere la gioia della nuova alleanza: non più un Dio che incute terrore, ma un Dio che ci accoglie in festa nella sua città. L’intensità dell’incontro con il Risorto non si coglie se non passando attraverso la percezione della distanza che ci separava da Lui.
Da un punto di vista biblico-teologico, dunque, questi versetti sono fondamentali. Essi ci ricordano che la santità di Dio è realtà che provoca tremore, che nessun uomo può banalizzare. E proprio perché l’uomo è incapace di avvicinarsi senza paura, il Figlio si è fatto nostro mediatore: Egli ha abbattuto il muro, ha attraversato la distanza, ci ha introdotti nella festa celeste. Tagliare quei versetti significa impoverire il messaggio, ridurre la tensione drammatica, quasi anestetizzare la potenza del contrasto.
È difficile non muovere una critica ai liturgisti che hanno operato questa scelta. In nome forse di una lettura più snella o più facilmente comprensibile, si è privato il testo della sua profondità. Ma la Parola di Dio non va addomesticata. La sua forza consiste proprio nello spingerci a confrontarci con l’inquietudine, con il mistero che ci sovrasta, con la distanza che ci mette in crisi, prima di aprirci alla gioia dell’incontro.
Ecco perché sarebbe stato importante lasciare intatti i versetti. Solo così la comunità avrebbe potuto cogliere il dinamismo teologico voluto dall’autore della lettera: dal timore al gaudio, dal tremore alla festa, dall’impossibilità di avvicinarsi al dono dell’accesso libero al Padre per mezzo di Gesù. Tagliarli significa togliere un passaggio essenziale alla fede: il credente rischia di fermarsi alla consolazione, dimenticando che essa nasce dall’aver attraversato il buio del timore.
