Post in evidenza

Messainlatino ha vinto la causa contro Google!

Il piccolo Davide-MiL ha fiondato Googlia, si parva licet componere magnis . (Per inciso: è significativo che l'aggettivo 'filisteo...

giovedì 24 luglio 2025

Fede e Demerito: perché solo la Fede può salvarci dai consumi che ci distruggono #300denari

Le nuove tentazioni
Dall’inizio del nuovo millennio, il nostro mercato è stato invaso da una moltitudine di beni potenzialmente dannosi: il telefono cellulare, la pornografia, i videogiochi che ci sottraggono ore preziose, i social media che promettono connessione ma generano isolamento. Accanto a queste sirene digitali, troviamo i vecchi nemici in forme nuove: lo zucchero che si traveste da nutrimento, i dolciumi, il cibo spazzatura, l’alcol, il gioco d’azzardo e altro ancora. Ciò che accomuna questi beni è il fatto che il consumatore si rende conto troppo tardi di avervi investito tempo e denaro eccessivi. Quei beni il cui beneficio risulta inferiore al loro costo nel lungo periodo sono detti beni di demerito.

La distruzione dell’ordine antico
La cosiddetta “rivoluzione sessuale” degli anni Sessanta ha rappresentato la sistematica distruzione delle strutture tradizionali che per secoli avevano retto il tessuto sociale. La famiglia, fondamento della civiltà, è stata dichiarata obsoleta. Le corporazioni professionali, che garantivano non solo formazione e impiego ma anche fraternità e persino opportunità matrimoniali, sono state spazzate via come pratiche restrittive. La religione è stata in particolare oggetto di attacco.
Cosa è rimasto, quando la polvere si è posata? L’individuo, nudo e solo, esposto alle forze brutali del mercato e della società, privo di rifugi o orientamento. È davvero sorprendente che tale creatura, dinanzi a malattia, delusione e morte, cerchi conforto in qualunque piacere immediato le si presenti? L’ansia generata da questa distruzione spinge uomini e donne a cercare consolazione nell’alcol, nella droga, nell’abbraccio fugace di sconosciuti.

Il fallimento dell’informazione
L’economia ortodossa sostiene che i beni di demerito persistano a causa di un “fallimento informativo”. Secondo questa visione, se i consumatori conoscessero davvero le conseguenze delle loro scelte, si comporterebbero diversamente. Il fumatore, si dice, smetterebbe se comprendesse davvero il rischio di contrarre un cancro. Il goloso ridurrebbe il proprio appetito se cogliesse appieno le implicazioni dell’obesità.
Dopo anni di consumo, quando il consumatore si ammala o si ritrova con un’aspettativa di vita accorciata, può anche pentirsi delle sue scelte. Se avesse conosciuto il costo reale, forse avrebbe mangiato in modo più sano, fatto dieci minuti di esercizio al giorno, scelto la mela invece della torta.
Trattare i beni di demerito come semplice fallimento informativo significa confondere il sintomo con la malattia. Il vero fallimento non è solo cognitivo, ma spirituale.

L’immagine speculare: i beni di merito
I beni di merito rappresentano lo specchio opposto di questa tragedia: sono quei beni il cui valore viene sistematicamente sottostimato dai consumatori. Quando sopraggiunge la malattia, la vecchiaia o la fragilità fisica, ci pentiamo di non aver investito di più nella salute, nell’istruzione, nel nostro futuro. Il contributo al fondo pensione—soli tre euro al giorno—sembra trascurabile quando si è giovani e forti. Ma chi trascura questo risparmio può ritrovarsi negli anni della decadenza a vivere con amarezza, consapevole che un sacrificio così modesto, moltiplicato per quarant’anni, avrebbe trasformato la vecchiaia in una stagione almeno tollerabile.

La fede come bene di merito supremo
Ma esiste un bene di merito che sovrasta tutti gli altri: la fede. Dinanzi al Giudice Eterno, i rancori e le liti terrene appariranno futili. Dopo la morte, i perdoni non concessi ci sembreranno ridicolmente facili da offrire.
La fede non è soltanto il massimo dei beni di merito: è anche la cura a tutti i beni di demerito. Già in questa vita possiamo guardare indietro e riconoscere che la forza delle tentazioni derivava soprattutto dalla debolezza della nostra fede.
Se dieci anni fa avessimo saputo ciò che sappiamo oggi, il nostro comportamento sarebbe stato diverso. Esistono infiniti gesti, quasi privi di costo, dei quali conoscevamo il beneficio e che tuttavia abbiamo omesso. Il valore dei beni di merito sembra troppo lontano per controbilanciare la noia del momento presente. Come osserva San Paolo: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono». Possedere qualcosa con certezza: questa è la fede.
San Giacomo è altrettanto chiaro, nel capitolo 2 della sua Lettera: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: ‘Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi’, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? La fede, se non ha opere, è morta in se stessa».
Per questo, l’approccio cattolico consiste nell’offrire sollievo, consapevole che la condanna, senza assistenza, è solo crudeltà travestita da morale.

Il vero colpevole: la noia
Se i beni di demerito derivassero davvero dal fallimento informativo, perché allora le campagne pubblicitarie non riescono a ridurne il consumo? Perché le scritte minacciose sui pacchetti di sigarette non svuotano i tabaccai? La risposta è scomoda ma evidente: il vero motore del consumo di beni di demerito non è l’ignoranza, ma la noia.
I consumatori sono perfettamente consapevoli dei danni; ciò che manca loro è la forza – conferita dalla fede (sia essa soprannaturale o semplicemente fiducia nel futuro materiale) – per resistere alla schiacciante noia della vita quotidiana. L’esistenza moderna, fatta di ripetizioni senza senso e compiti insignificanti, crea un vuoto che queste gratificazioni artificiali si affrettano a colmare.

La divisione del lavoro e i suoi scontenti
Questa noia è figlia della struttura stessa della vita economica moderna. La divisione del lavoro ha prodotto un mondo in cui la maggior parte delle persone svolge attività che sarebbero risultate incomprensibili ai nostri antenati. L’artigiano medievale, nonostante le difficoltà, poteva vedere il frutto del suo lavoro dall’inizio alla fine. Il lavoratore contemporaneo assembla componenti in fabbrica o smista carte in ufficio, senza mai vedere il risultato del suo operato.

L’imperativo morale
Non spetta a coloro che hanno generato questa noia fare la morale a chi ne subisce le conseguenze. Politici e giornalisti non hanno alcuna autorità per condannare chi si difende dalla depressione. Alfred de Vigny, in Servitude et grandeur militaires, pur attribuendo erroneamente la colpa della rivoluzione industriale ai Borbone, anticipò ciò che sarebbe stato il XIX secolo: «Appartengo a quella generazione nata con il secolo, nutrita dai bollettini dell’Imperatore, che aveva sempre davanti agli occhi una spada nuda e venne a prenderla proprio quando la Francia la rimetteva nel fodero dei Borbone». La guerra fu solo il primo mestiere distrutto dalla rivoluzione industriale. Essa sarebbe diventata un affare ancora più mortale, mietendo milioni di vite di soldati-merce. Ma la divisione del lavoro avrebbe divorato anche le anime di milioni di operai, forzati in industrie nascenti mentre le loro vite tradizionali venivano spazzate via.
A un livello più profondo, molti di questi “lavori inutili” sono il frutto di una politica monetaria lassista. Quando il denaro è a buon mercato e il credito abbonda, le risorse vengono mal allocate. Grandi aziende inefficienti acquistano le concorrenti più creative. Il denaro facile permette alle imprese di riacquistare le proprie azioni, purché riescano a ottenere anche solo un profitto dell’1%.
Senza la concorrenza delle piccole imprese, nascono interi settori che non rispondono ad alcun bisogno umano reale. Le persone si ritrovano impiegate in compiti che non apportano alcun beneficio al benessere umano, intrappolate in un ciclo di lavoro privo di senso che le spinge a cercare significato nei piaceri nocivi.
Non si vuole negare ogni merito all’attuale organizzazione produttiva. Essa ha sollevato milioni dalla povertà. Ma se dobbiamo sopportare governi e banche centrali, allora che almeno siano neutrali. Oggi, invece, soffocano concorrenza e creatività.
Eliminare le banche centrali sarà doloroso: l’intera economia è dipendente da esse. Potrebbe voler dire sacrificare un’altra generazione, senza alcuna garanzia di successo. La stampa di moneta è uno dei peggiori beni di demerito istituzionalizzati. Eppure, ciò che è stato distrutto non si ricostruisce semplicemente tornando indietro. Potrebbe essere perduto per sempre. Le civiltà non sono eterne, specialmente quelle che cercano attivamente di suicidarsi.


François-Marie Tardo-Dino
Ti piace 300 Denari? Seguici su Telegram, Instagram, Facebook o X!

2 commenti: