L'amico Renzo Puccetti ci ha mandato alcune riflessioni sul pazzesco post che ha scritto sul suo profilo Facebook (QUI) Don Maurizio Patriciello, 3 giorni fa, a proposito della benedizione Gaya.
Sacerdote benemerito per la sua opera anti camorra, ma completamente "scentrato" in tema di sodomia. Un piccolo esempio dell'aberrante testo: "La fede, la preghiera, la conoscenza biblica, il Magistero della Chiesa non hanno una risposta soddisfacente alla domanda che non osiamo fare: «Se Dio, maschio e femmina li creò, perché ci sono – oggi come ieri - tanti fratelli e sorelle omosessuali?» Allora, se ci sono, non possono essere ignorati, non possono più essere emarginati, non possono essere negletti, non possono essere considerati credenti di serie B. A loro, come a chiunque, va annunciato il vangelo della misericordia. Possono, se vogliono, diventare santi come ogni uomo o donna sulla terra. Possono accogliere ed essere accolti, amare ed essere amati. Benedire ed essere benedetti. Senza paura, senza infingimento, senza ipocrisia, senza orgogli o imbarazzi. Con tantissima umiltà, sapendo che Dio, dov’ è carità e amore, non può non esserci".
Allora anche anche le persone che praticano i peggiori vizi e azioni sono nate così e devono seguire i loro istinti senza doversi pentire e cercare di non peccare più? Meglio che si vada a rileggere il Catechismo della Chiesa Cattolica, La Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa. Accogliere il peccatore sì, ma accettare il peccato, no.
Preghiamo per lui ma combattiamolo per quanto scrive.
Luigi C.
Renzo Puccetti, 9-6-25
Don Patriciello è un apprezzato sacerdote che opera nel difficile contesto di Caivano, minacciato dalla criminalità organizzata e per questo costretto a vivere sotto scorta. Diverse volte la sua voce si è levata per difendere la vita dei nascituri dall'aborto e quella dei sofferenti dall'eutanasia.
È dunque con sorpresa e dolore che ho letto un suo post riguardo la benedizione delle coppie omosessuali in cui mi pare di cogliere una serie di gravi errori che minano in maniera fatale la comprensione della questione e più in generale la ricezione degli assoluti morali negativi, cioè di quelle azioni che semper et pro semper costituiscono un male (intrinsece mala).
Don Patriciello esordisce descrivendo la realtà del nascondimento della propria condizione da parte di molte persone omosessuali, un atteggiamento verso il quale si percepisce un atteggiamento critico da parte del sacerdote che sorprende. Se gli atti omosessuali sono infatti azioni peccaminose, non si comprende il motivo per cui chi le commette dovrebbe esibirle. E' proprio del movimento omosessualista rivendicare non solo l'inclinazione, ma anche la pratica omosessuale con "orgoglio" dedicando ad esso un intero mese di manifestazioni pubbliche. L'impressione è poi rafforzata quando il sacerdote campano descrive quelli che vivono apertamente la loro condizione come "coraggiosi".
Beh, a dirla tutta, nell'occidente secolarizzato i coraggiosi sembrano essere diventati coloro che continuano a proclamare gli atti omosessuali come intrinsecamente disordinati. Sono costoro a rischiare l'isolamento sociale, la pubblica riprovazione, che vengono multati, perdono il lavoro e si vedono chiudere le attività con cui sostenevano la famiglia. Alcune di queste storie le ho raccontate nel mio libro dedicato alla questione, "Leggender Metropolitane, Edizioni Studio Domenicano".
Don Patriciello dice che, mentre gli omosessuali credenti peccavano, si confessavano e venivano perdonati, nella società "il riconoscimento dei loro diritti andava avanti". Di quale riconoscimento e di quali diritti parla? Della possibilità di sposarsi con l'istituto dell'unione civile o del matrimonio vero e proprio? Di potere fabbricare un figlio con l'acquisto di gameti o il noleggio di uteri? Il diritto di entrare nelle scuole per insegnare ai bambini e ai ragazzi il sesso sodomitico come una tra le possibili varietà disponibili? Sono davvero questi reali diritti? Eppure il diritto a non essere aggrediti e ingiustamente discriminati non era mancante prima che i "nuovi diritti" esondassero.
Se queste sono le prime fragilità del discorso del sacerdote, ve ne sono altre che ne minano irrimediabilmente l'affidabilità.
Ponendo la dottrina in contrapposizione alla prassi pastorale verso l'uomo, non riesce ad evitare di finire "in un vicolo cieco". E se la parola di Dio può risultare troppo pesante per l'uomo, rimanda agli esegeti per la sua interpretazione, sollevando il dubbio che essa possa essere non a sufficienza "lineare". In realtà, a riguardo dell'immoralità degli atti omosessuali, la scrittura è chiara e univoca, come ha dimostrato l'opera del professor Gagnon "The Bible and Homosexual Practice: Text and Hermeneutics" e, in maniera molto più vincolante per un cattolico, il Magistero della Chiesa.
In realtà non vi è nulla di più caritativo e pastorale della verità che sola rende liberi. E qui la verità è chiara, non si eredita il regno dei Cieli unendosi maschi con maschi e femmine con femmine. Ce lo dice San Paolo in un modo che più diretto non si può. Si sbagliava? Era condizionato dal contesto storico e sociale? Ma allora che lo leggiamo a fare in chiesa facendolo seguire dall'affermazione "Parola di Dio"? Sarebbe più giusto presentarlo come "Parere di Paolo". Se non bastasse, ce lo dice anche la conformazione anatomica la quale, rivelando la natura, attesta che in questa condotta c'è qualcosa che non va.
Quando don Patriciello afferma che "la fede, la preghiera, la conoscenza biblica, il Magistero della Chiesa non hanno una risposta soddisfacente alla domanda che non osiamo fare: «Se Dio, maschio e femmina li creò, perché ci sono – oggi come ieri - tanti fratelli e sorelle omosessuali?»", lascia ancora più stupiti. Posso sbagliare, ma da quel poco che mi era sembrato di avere imparato, la risposta del perché, se Dio è infinitamente buono c'è il male, viene dall'accettare, per fede, l'esistenza di quel mistero d'iniquità che ha corrotto e corrompe la creazione e che sarà completamente rivelato nel giorno del Signore.
Un altro aspetto che appare fallace è presentare la condizione omosessuale su per giù come indicato in una canzone di una paladina dell'attivismo omosessualista dal titolo "Born this way (nato così)". In realtà la letteratura scientifica attesta che quella omosessuale non è una condizione congenita e immutabile (Mock Se, et Al. Stability and change in sexual orientation identity over a 10-year period in adulthood. Arch. Sex Behav. 2012). Gli uomini che hanno figli e che ad un certo momento si "scoprono" omosessuali come possono avere generato un figlio prescindendo dalla fisiologica eccitazione verso la madre? Nel campo della pastorale si può poi imparare dall'esperienza di Luca di Tolve e apprendere che non è vero che la persona omosessuale è costretta a vivere l'esperienza omosessuale per essere se stessa.
Ma se anche fosse vero che quella omosessuale è una condizione innata, perché dovrebbe fare differenza rispetto ad altre condizioni altrettanto profondamente radicate? Per chi è nato egoista, chi ha una ipersessualità, chi è nato goloso, chi è sempre stato bugiardo, chi nasce in un contesto così radicato di delinquenzialità e illiceità, perché anche per costoro non dovrebbe essere denunciato come insufficiente "limitarsi a riproporre dall’alto una soluzione per loro difficile, se non impossibile, da attuare"? Perché anche a costoro, se si presentano con la refurtiva in mano o con la prostituta accanto, non concedere una benedizione "senza paura, senza infingimento, senza ipocrisia, senza orgogli o imbarazzi"? Anche loro potrebbero dire: "sono nato così, sono fatto così".
Nel discorso di don Patriciello non riesco a sentire risuonare la parola di Gesù: "Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro", "Sforzatevi di passare dalla porta stretta", "Vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli".
Eppure sono certo che egli queste cose le sappia bene. Certamente le persone omosessuali "possono, se vogliono, diventare sante", come egli scrive, ma possono farlo anche senza "vivere in castità la loro condizione"?
La castità non è per i mariti, le mogli, per i sacerdoti e i religiosi? Non è una chiamata rivolta a tutti gli uomini? Se la Chiesa non può "limitarsi a riproporre dall’alto una soluzione difficile" per le persone omosessuali, perché continuare a proporre la stessa virtù ai coniugi e ai consacrati?
Mi ha colpito una frase di don Patriciello che ho letto a proposito del fine vita: "Mio fratello ci ha insegnato che si può amare la vita anche nel dolore". È vero, anzi, forse nel dolore può capitare d'imparare ad amarla in maniera più profonda e nitida. Ma se questo è vero per la croce della malattia, perché non dovrebbe esserlo per un altro tipo di croce?
Spero che queste povere parole possano aiutare don Patriciello a riflettere e a riconsiderare quanto ha scritto.
Parlate di "argomenti scientifici e scienziati" (quanti sono? lo 0,00002 per cento della comunità scientifica?) e "luca di tolve" (sic.), sul quale è meglio soprassedere. Basti leggere le vicende legate alla comunità "exodus" che raccoglieva "ex gay" guariti grazie a interventi divini che dopo un po' sono tranquillamente tornati ad essere gay semplicemente perchè non erano guariti proprio da nulla.
RispondiEliminaLe comunità tradizionali sono piene di omosessuali sotto mentite spoglie, dunque dovreste ben sapere che nessuno sceglie di essere omosessuale (come ben descrive don Patricello, che evidentemente con gli omosessuali ci ha parlato confrontandosi con loro in quanto persone, non certo come malati da curare).
guardi che si deve essere confuso: a parlare di argomenti scientifici non siamo noi (di MiL) ma è il testo che abbiamo riportato.
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RispondiEliminahttps://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19861001_homosexual-persons_it.html