Post in evidenza

Il Pontificio Ateneo S. Anselmo prende le distanze dal prof. Grillo "anti eucaristico"? Da un comunicato parrebbe di sì

Era ora!  Tanto tuonò che piovve. Pioggerellina, per ora, ma anche i temporali spesso sono preceduti solo da qualche goccia. E speriamo che ...

lunedì 16 giugno 2025

Cupich, il cardinale dei padroni bianchi


La "chiesa in uscita" del card. Cupich parla dei clandestini come ai propri maggiordomi.
"Il problema di fondo non è che si difendano gli immigrati. È che vengono strumentalizzati, moralizzati e giustificati nella misura in cui servono alle esigenze del sistema. Non una parola sul loro diritto a una vita dignitosa nella loro terra, né sulle cause strutturali della migrazione. Solo un'apologia sentimentale dell'utilitarismo umanitario".
Luigi C.

Infovaticana, Jaime Gurpegui, 15 giugno 2025

Durante la celebrazione a Chicago per il nuovo Papa Leone XIV, il cardinale Blase Cupich ha ricevuto l'ovazione più entusiasta non per una difesa della fede, della liturgia o del Vangelo... ma per un argomento degno di un proprietario terriero del sud del XIX secolo: che gli immigrati privi di documenti sono qui “non per invasione, ma per invito”, per raccogliere i nostri prodotti alimentari, pulire le nostre case, potare i nostri giardini e prendersi cura dei nostri bambini e dei nostri anziani.
Sì, proprio così, con questa chiarezza. Come chi ringrazia il maggiordomo e la tata filippina per aver tenuto in ordine la villa mentre lui scrive encicliche sulla dignità umana.

Cupich non si accontenta di sottolineare – correttamente – che la legislazione sull'immigrazione è fallimentare e necessita di una riforma. Va oltre: usa questo fallimento come scusa per esigere che i cristiani accolgano l'immigrazione illegale non per carità, ma per utilità domestica. Che raccolgano la nostra frutta, puliscano i nostri hotel e si prendano cura dei nostri anziani, come nella migliore tradizione coloniale in tonaca.

Il tutto avvolto in una retorica pseudo-spirituale sul «vivere come autentiche persone a immagine di Dio», che è proprio ciò che non è permesso agli immigrati se vengono ridotti a servitù funzionale. Perché se uno è qui per fare i lavori che i cittadini non vogliono fare, allora non è qui come fratello, ma come servo.

Questo tipo di discorso è particolarmente sinistro perché riveste con un linguaggio evangelico una forma velata di neo-schiavitù soft: “sono legati a noi da decenni”, dice Cupich, come se parlare di legame giustificasse lo sfruttamento silenzioso. Michelle Boorstein, giornalista del Washington Post, celebra questo tipo di frasi come se fossero epifanie morali. Forse lo sono... per chi non ha mai dovuto cambiare i pannolini altrui per meno del salario minimo.

Il problema di fondo non è che si difendano gli immigrati. È che vengono strumentalizzati, moralizzati e giustificati nella misura in cui servono alle esigenze del sistema. Non una parola sul loro diritto a una vita dignitosa nella loro terra, né sulle cause strutturali della migrazione. Solo un'apologia sentimentale dell'utilitarismo umanitario.

E poi ci chiediamo perché il discorso sociale della Chiesa non convince più nemmeno i cattolici.