Poche ore, un ultimo appello
Alle 15:30 di oggi si aprirà il Conclave più numeroso e
complesso che la Chiesa ricordi. Un mondo instabile e una cristianità ferita
attendono il nuovo successore di Pietro.
Lo stesso cardinale Burke non ha esitato a definire “grave”
la situazione attuale. Ma come sempre nella storia della Chiesa, le grandi
crisi esigono risposte fondate sulla preghiera, sulla Verità e sul coraggio.
Molti cardinali, da Müller a Stella, fino a Ruini, invocano
un papato capace di fare chiarezza, radicato nella fede e nella Tradizione, al
servizio della verità che la Chiesa di Roma è chiamata a custodire. A questa
richiesta si unisce anche il popolo cattolico, che attende non un compromesso
col mondo, ma una guida salda, fedele a Cristo.
Il popolo di Dio, disorientato da incertezze e ambiguità,
guarda ora ai cardinali con l’appello più essenziale: scegliere un papa
cattolico, che parli con limpidezza e confermi i fratelli nella fede. Perché,
come ammoniva Dante nel Paradiso,
“Non disse Cristo
al suo primo convento:
‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
ma diede lor verace fondamento.” [1]
Serve oggi un fondamento vero, non parole vuote. Serve un pastore, non un amministratore. Serve coraggio, non equilibrio mondano.
Come nella guerra di Vandea, quando Charette fu costretto ad
uscire da sotto il letto dai suoi stessi sudditi, perché un capo era necessario
e il nemico alle porte, così oggi la Chiesa ha bisogno di uomini pronti a
combattere per essa, spes contra spem, con fede e sacrificio.
Tra gli esempi luminosi di laici zelanti, spicca quello di
Dante Alighieri. Nella primavera del 1314, durante il conclave di Carpentras
che doveva eleggere il successore di Clemente V, il papa che aveva trasferito
la sede da Roma ad Avignone, Dante, pur da laico, intervenne con forza nella
crisi ecclesiale. Scrisse la sua Epistola ai cardinali italiani,
rivolgendosi in particolare al cardinale Napoleone Orsini, con parole di
profonda passione e dolore:
“Roma [...] siamo costretti a piangerla vedova e
abbandonata.” [2]
E ancora, con profetica lucidità:
“Ma, o padri, non crediate che io sia una fenice nel
mondo intero; tutti infatti le cose che io grido mormorano o sussurrano o
pensano o sognano, e non dichiarano quello che hanno veduto.” [2]
E infine, il suo grido più alto, in nome della Sposa di
Cristo, di Roma, dell’Italia e dell’intera umanità:
“Invero si riparerà, sebbene non si potrà impedire che un
vergognoso segno deturpi la Sede Apostolica fino al fuoco [...] se tutti
concordi [...] vi batterete virilmente [...] affinché l'obbrobrio dei Guasconi
[...] per tutti i secoli futuri sia ai posteri di esempio.”
Primo tra i poeti, ultimo tra i fedeli, Dante ci ricorda che
nei momenti più oscuri, la voce di chi ama la verità può scuotere anche le
pietre. E forse oggi, più che mai, è tempo che quella voce venga ascoltata.
Note
[1] Dante Alighieri, Paradiso, XXIX, 109-111.
[2] Dante Alighieri, Epistola ai cardinali italiani, 1314, in occasione
del conclave di Carpentras.