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mercoledì 7 maggio 2025

Rifare l’unità della Chiesa. Confirma fratres tuos (Lc. 22, 32)

Vi proponiamo – nella traduzione curata dall’autore – la lettera 1202 pubblicata da Paix Liturgique il 5 maggio, in cui si riporta un articolo di don Claude Barthe, liturgista e cappellano del Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum, pubblicato il 3 maggio sul sito Res Novae (QUI).

L.V.


Ancora prima che si aprano le Congregazioni generali del pre-conclave, la Città eterna è entrata in uno stato di intensa eccitazione. La questione è di sapere se i 135 cardinali elettori, di cui circa l’80 per cento sono stati nominati da papa Francesco, faranno ascendere al Pontificato un uomo che manterrà la sua linea di governo o al contrario un Cardinale di compromesso, il quale terrà conto, in misura maggiore o minore secondo la proporzione delle forze in campo, delle lamentele dei conservatori.

Se ci si fermasse qui, il ristabilimento dell’unità perduta non sarebbe all’ordine del giorno. Nel «rifare unità» nella Chiesa tutti i Papi del post-Concilio Vaticano II hanno in definitiva fallito: tanto i Papi «di restaurazione», San Giovanni Paolo II e soprattutto Papa Benedetto XVI, quanto il papa «di progresso» Francesco. Fallirà, in questo, anche un Papa di progresso moderato.

Sì, perché il problema di fondo è totalmente diverso. Il problema di fondo è magisteriale, e più precisamente consiste nel mancato esercizio del magistero come tale. L’aspetto più visibile di questa deficienza consiste nell’omissione della condanna dell’eresia. Da ciò deriva uno scisma latente, cosa in un certo senso peggiore di uno scisma visibile, perché i fedeli di Cristo non sono più in grado di individuare il confine tra la fede e l’errore.

Oggi, di fatto, l’autorità rifiuta di fungere da strumento di unità, almeno di unità nel senso classico, ovvero di unità nella fede. Essa si presenta al contrario come amministratrice di un certo consenso nella diversità. Il suo ruolo è piuttosto quello di federare che di unire, dal momento che i princìpi dell’ecumenismo e della libertà religiosa trovano campo di applicazione all’interno stesso del corpo ecclesiale.

Da una cinquantina d’anni, salvo casi rari o marginali, nessuna sentenza di esclusione dalla Chiesa per eresia è stata spiccata da parte delle istanze gerarchiche, episcopali o romane. Ci sono stati effettivamente, nel passato, dei periodi di diffusione massiva di errori, se non così gravi almeno drammatici. Ma oggi la diversità non si manifesta in clamorose lacerazioni: fedeli, sacerdoti, Cardinali e Papi possono pronunciare affermazioni divergenti su punti di fede o di morale un tempo considerati come fondamentali (il rispetto dovuto unicamente alla religione di Cristo o l’indissolubilità del matrimonio, per esempio) pur continuando tutti a essere considerati cattolici. Questo stato di cose è evidentemente disastroso per la missione della Chiesa, ma è anche disastroso in prima battuta – e una cosa spiega l’altra – per la stessa identità dei Cattolici.

La sinodalità, come tutti gli obiettivi del pontificato di papa Francesco (liberalizzazione della morale, estirpazione della liturgia antica) ha avuto per così dire il vantaggio di svelare, portandole all’estremo, le linee di faglia del progetto conciliare. La sinodalità viene a dare compimento alla collegialità. La collegialità, che si esprime in modo particolare con il Sinodo dei Vescovi, voleva imitare per quanto possibile – le assemblee del Sinodo sono solo consultive – il parlamentarismo della democrazia liberale. La sinodalità di papa Francesco prova a ricalcare, ancora una volta in modo lontano, una sorta di suffragio universale di cui è l’insieme del Popolo di Dio a essere beneficiario. Allo stesso modo in cui, nelle democrazie moderne, le leggi dello Stato non si concepiscono più come applicazioni concrete della legge naturale ma come espressioni della volontà generale, così l’insegnamento pastorale non si attribuisce più il preciso scopo di far conoscere il contenuto della Rivelazione, ma quello di interpretare il messaggio evangelico mettendosi all’ascolto dell’umanità presente, pur attuando una certa perequazione rispetto alla dottrina anteriore.

«Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?» (Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?). È la domanda che sarà presto rivolta nella Cappella Sistina al nuovo eletto: domanda che avrà per oggetto la sovrana autorità cristica concessa al Pontefice che succede a San Pietro per confermare i suoi fratelli.

2 commenti:

  1. Condivido tutto quanto e mi complimento per l'esposizione.

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  2. Un intervento pieno di speranza e specchiato amore per la Chiesa, i suoi membri ed il sommo Pontefice.

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