Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di mons. Salvatore Joseph Cordileone, Arcivescovo metropolita di San Francisco, pubblicato sul mensile First Things il 5 maggio.
L’alto prelato indica chiaramente l'origine delle attuali divisioni liturgiche alla fine degli anni Sessanta: «il punto critico che ha concretizzato il senso di rottura nella tradizione liturgica è stata la decisione, senza precedenti nella storia, di convocare un comitato di studiosi per riscrivere radicalmente la liturgia e imporla a tutto il mondo cattolico in modo verticistico» e riflette sulla necessità che – soprattutto con il nuovo Pontificato – si ponga fine alla guerra liturgica che contrappone la Santa Messa tradizionale con il nuovo Ordo, proponendo alcuni possibili percorsi per raggiungere questo obiettivo all’interno della Chiesa cattolica.
L.V.
I ricordi sono ancora vividi, anche se è passato molto tempo. Essendo nato nel 1956, sono abbastanza vecchio da ricordare l’epoca confusa e tumultuosa dei «cambiamenti» che seguirono il Concilio Vaticano II, in particolare per quanto riguarda la Messa. Una coppia di anziani del mio quartiere rifletteva ad alta voce con me, che allora ero un adolescente, che era come se il padre non fosse in casa e i bambini giocassero come volevano.
Non dovrebbe quindi sorprendere che l’intero insegnamento della Chiesa, dalla morale all’esercizio dell’autorità alle verità dogmatiche della fede, fosse messo in discussione e persino negato apertamente, con un conseguente crollo delle vocazioni religiose. La vecchia massima lex orandi, lex credendi (alla quale alcuni hanno aggiunto lex vivendi) si dimostra sempre vera. L’era delle «guerre liturgiche» non riguardava la riorganizzazione degli ornamenti; in un momento di confusione e dissenso in tutti i settori della vita della Chiesa, era fondamentale per tutto ciò che accadeva.
In un momento recente del passato sembrava che fossimo giunti a una pacifica convivenza con quelle che Papa Benedetto XVI definiva le due forme del rito romano, dopo aver emanato la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum. Tuttavia, dopo la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e le restrizioni ancora più severe imposte dal Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti sulla celebrazione del rito secondo il Missale Romanum del 1962, le guerre liturgiche sono riprese. Sebbene la liturgia non fosse al centro dell’attenzione dei Cardinali nel Conclave che ha eletto papa Francesco dopo le dimissioni di Papa Benedetto XVI, sarà senza dubbio un tema centrale in quello prossimo.
Tra tutte le questioni che la Chiesa deve affrontare in questo momento, nessuna è più importante del modo in cui rendiamo culto a Dio. Dio ci ha creati per adorarlo. Il culto divino, se vuole davvero meritare questo nome, si basa sul senso del sacro, che a sua volta scaturisce dalla visione sacramentale della realtà: la realtà fisica media e rende presente la realtà spirituale e trascendente che sta al di là di essa. Se perdiamo questo, perdiamo tutto.
E ci sono state delle perdite. È innegabile che la perdita molto evidente del senso del sacro nel nostro modo di adorare sia una causa fondamentale (anche se non l’unica) della massiccia disaffezione dei giovani dalla Chiesa. Secondo uno studio del centro studi Pew Research Center del 2015 (QUI), il 40 per cento degli adulti che dichiarano di essere stati educati nella fede cattolica ha lasciato la Chiesa. E la situazione non sta migliorando. Un sondaggio del 2023 (QUI) su 5.600 persone ha rilevato che «i Cattolici hanno registrato il più forte calo di affiliazione tra tutti i gruppi religiosi».
È chiaro che non sono abbastanza i giovani che incontrano Gesù nell’Eucaristia, altrimenti non lo abbandonerebbero per altre esperienze religiose o perderebbero completamente la fede in Dio. Ed è altrettanto chiaro che la fame di tradizione tra la prossima generazione di Cattolici che rimangono è palpabile.
Nel 2023, Stephen Cranney e Stephen Bullivant, sociologo della religione, hanno condotto un sondaggio tra i Cattolici e hanno scoperto che la metà di loro ha espresso interesse a partecipare a una Santa Messa tradizionale. […]Forse in modo controintuitivo, questo ritorno alla tradizione sembra essere guidato dai giovani Cattolici, che costituiscono una percentuale sproporzionata dei devoti della Santa Messa tradizionale. Secondo un recente sondaggio […] il 44 per cento dei Cattolici che partecipavano al rito tradizionale almeno una volta al mese aveva meno di 45 anni, rispetto al solo 20 per cento degli altri membri di quelle Parrocchie.
Questo mi sembra vero. La maggior parte dei giovani cattolici devoti che incontro crescono con la tipica liturgia domenicale parrocchiale, scoprendo solo più tardi la bellezza del nostro autentico patrimonio liturgico cattolico. La loro reazione? Stupore misto a rabbia. Mi dicono – e questa è una citazione letterale, parola per parola – «Sono stato privato del mio diritto di nascita cattolico».
Lo scopo di papa Francesco nel pubblicare la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes era quello di unire la Chiesa in un’unica forma di culto. Bisogna ammettere che avere due forme di Messa per la Chiesa universale è anomalo nella storia della Chiesa. In realtà, però, non esistono semplicemente due «forme» di Messa, ma tutta una varietà di forme dovute al fatto che i sacerdoti si prendono la libertà di fare le cose a modo loro, violando le norme liturgiche – una chiara vulnerabilità dell’ordine della Messa attualmente in vigore, che rischia di recare grave danno alle anime.
Ora abbiamo forme estremamente divergenti del rito romano. Recentemente è diventato virale un video di un sacerdote tedesco che rappava durante la Messa (QUI). D’altra parte, ad esempio, c’è la Mass of the Americas [Messa delle Americhe: N.d.T.], che ho celebrato come Santa Messa tradizionale pontificale nella Basilica of the National Shrine of the Immaculate Conception di Washington D.C., nel novembre 2019 (QUI).
Molti Cattolici buoni e devoti, sconvolti dalla confusione liturgica, danno la colpa al «Concilio Vaticano II». Ci vorrebbe un altro articolo per spiegare cosa si intende con questo termine, ma per ora è necessario distinguere tre livelli su cui il Concilio Vaticano II ha operato e continua ad operare:
- i sedici documenti del Concilio Vaticano II stessi;
- i documenti sulla loro attuazione, che hanno tra loro diversi livelli di autorità (il Romano Pontefice, i Dicasteri della Santa Sede, le Conferenze episcopali nazionali e i singoli Vescovi nelle loro Diocesi);
- il modo in cui il Concilio Vaticano II è stato effettivamente attuato nelle nostre Parrocchie e nelle altre comunità di fede.
I problemi emersi dopo il Concilio Vaticano II risiedono proprio a questi livelli inferiori, che hanno approfittato di alcune ambiguità presenti nei sedici documenti invece di leggerli in continuità con la tradizione che li ha preceduti. Ad esempio, il movimento per rinnovare e rivitalizzare la sacra liturgia aveva guadagnato slancio per decenni prima del Concilio Vaticano II, e quindi la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium deve essere letta come un ulteriore impulso e una direzione a questo movimento, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione attiva dell’assemblea, e non come una divergenza da esso.
Il punto critico che ha concretizzato il senso di rottura nella tradizione liturgica è stata la decisione, senza precedenti nella storia, di convocare un comitato di studiosi per riscrivere radicalmente la liturgia e imporla a tutto il mondo cattolico in modo verticistico. Ancora una volta, sono abbastanza vecchio da ricordare quando ciò accadde e da ricordare la resistenza dei Cattolici più anziani nei banchi. Ma a quei tempi i Cattolici erano più obbedienti ai loro pastori e accettavano i cambiamenti che non gradivano, anche quelli che sembravano contraddire ciò che era stato loro insegnato sulla fede cattolica per tutta la vita.
Molti di noi capiscono che questo è un problema che deve essere risolto. Ma non dobbiamo commettere lo stesso errore metodologico: il senso di rottura dell’unità nella liturgia non può essere sanato semplicemente imponendo dall’alto una nuova serie di regole. Al contrario, questo è il momento opportuno per riprendere la visione di Papa Benedetto XVI per sanare questa frattura, una «riconciliazione interna» delle due forme del rito romano (come egli stesso ha affermato nella sua lettera in occasione della pubblicazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970). La sua genialità con la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum è stata quella di creare una terza via per la riforma liturgica, consentendo il libero uso del Missale Romanum tradizionale, permettendo così a queste due espressioni dello stesso rito latino di influenzarsi a vicenda così che «possono arricchirsi a vicenda». E stiamo già iniziando a vedere una sorta di fertilizzazione incrociata di queste due forme di culto cattolico nelle Parrocchie che celebrano entrambe: i parrocchiani in genere sperimentano entrambe, pur mantenendo una preferenza per l’una o per l’altra. Ecco perché è un errore cercare di isolare coloro che sono devoti alla Santa Messa tradizionale, come se fossero un pericolo per la fede della stragrande maggioranza dei loro compagni cattolici.
Questo rimanda a ciò che Papa Benedetto XVI aveva previsto quando ha permesso la coesistenza delle due forme: un processo di vero arricchimento reciproco, in cui ciascuna forma influenza l’altra. E, nella mia esperienza personale, vedo come questo stia già cominciando ad accadere. Ad esempio, la predicazione durante una Santa Messa tradizionale– almeno per i sacerdoti che celebrano entrambe le forme – è solitamente incentrata sulle letture. Prima del Concilio Vaticano II, invece, la predicazione era vista più come un’azione extraliturgica, quindi come qualcosa di aggiunto alla Messa e, di conseguenza, non necessariamente correlato ai testi liturgici. È stato il Concilio Vaticano II a considerare l’omelia parte integrante della liturgia e quindi a esortare i predicatori a predicare dai testi scritturali e liturgici della Messa particolare che si celebrava. Ho anche notato che, durante le celebrazioni della Santa Messa tradizionale, sempre più persone nei banchi recitano le loro parti della Messa e cantano le risposte e i canti dell’ordinario della Messa in latino. Ciò riflette il desiderio dei fedeli di comprendere i testi e i riti della Messa e di partecipare attivamente ad essa. Sebbene questo tipo di partecipazione attiva fosse incoraggiata, e persino in crescita, ben prima del Concilio Vaticano II, ora è diventata più comune grazie all’abitudine acquisita con l’Ordine della Messa riveduto. Il punto essenziale qui è che questi cambiamenti stanno avvenendo in modo organico, non per decreto, e quindi contribuiscono a un autentico sviluppo del culto cattolico.
La lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum ha in gran parte posto fine alle guerre liturgiche nell’esperienza vissuta dai Cattolici degli Stati Uniti, un processo che Papa Benedetto XVI aveva previsto sarebbe continuato (QUI):
La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.
Gli appelli di tutti i Papi postconciliari, da San Paolo VI a papa Francesco, a correggere gli abusi liturgici e la negligenza non hanno avuto praticamente alcun effetto nella vita quotidiana dei Cattolici. È necessario fare qualcosa di più. Una familiarità con la Santa Messa tradizionale ha un grande potenziale per servire a questo scopo. Essa offre anche una via da seguire che evita l’ermeneutica della rottura, un altro aspetto sottolineato da Papa Benedetto XVI:
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.
Egli prosegue poi applicando questa logica per aiutarci a comprendere il vero significato dello sviluppo organico:
Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto.
Tale continuità nello sviluppo della liturgia emerge chiaramente dalla lettura dei documenti conciliari e postconciliari sulla liturgia alla luce della tradizione ricevuta. Ad esempio, la costituzione Sacrosanctum Concilium non dice nulla sul cambiamento dell’orientamento dell’altare. Infatti, l’attuale edizione del Missale Romanum indica al sacerdote di voltarsi e rivolgersi al popolo in tre momenti della liturgia eucaristica, presumendo chiaramente che lui e l’assemblea siano rivolti nella stessa direzione: «ad orientem», verso est (liturgico), che è la fonte della luce e simbolo della risurrezione di Cristo dai morti, che dissipa le tenebre del peccato e della morte, nonché del suo ritorno nella gloria. L’oriente è anche simbolo del Paradiso poiché, al momento della creazione, Dio pose il Giardino a oriente (Gen 2, 8).
Data l’urgenza della questione, ho invitato alcuni Cardinali e fratelli Vescovi, insieme a eminenti teologi e leader laici, a contribuire al convegno sulla sacra liturgia Fons et Culmen (QUI), che si terrà dal 1º al 4 luglio presso il St. Patrick’s Seminary di Menlo Park (California). Sarà presente il card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, una luce splendente tra i prelati che comprendono l’importanza di recuperare il sacro nelle nostre pratiche liturgiche. Sarà presente anche il card. Sean Patrick O'Malley O.F.M.Cap., Arcivescovo emerito di Boston, che ho invitato a parlare dell’importanza che l’ordine e la bellezza della Messa possono avere per le anime e la psiche dei poveri, il cui ambiente è così spesso segnato dal caos e dalla bruttezza. Il card. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, Arcivescovo metropolita di Colombo, è da tempo un leader nel promuovere la visione di Papa Benedetto XVI e offrirà preziose intuizioni sulla sua comprensione dell’actuosa participatio (partecipazione attiva).
Sono convinto che il futuro del rinnovamento liturgico richieda l’ascolto e la risposta ai bisogni sentiti di tutto il popolo di Dio, compresi coloro che sono stati ispirati ad amare Gesù dalla bellezza e dall’ordine della Santa Messa tradizionale. Il suo sviluppo organico fin dai tempi antichi riflette le nostre profonde radici nel culto e nelle pratiche dei nostri antenati ebrei nella fede. L’altare maggiore sotto il baldacchino discende direttamente dal disegno del Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme, che ricordava la camera nuziale ebraica: la Messa è il compimento delle nozze dell’Agnello. Inoltre, dopo aver terminato le preghiere ai piedi dell’altare, il sacerdote sale all’altare maggiore con una preghiera che riconosce questa continuità delle due Alleanze: «Aufer a nobis, quǽsumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre» [Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità affinché possiamo entrare con anima pura nel Santo dei santi: N.d.T.].
Ciò che è classicamente cattolico non è nostalgico o retrogrado, ma senza tempo. È così che raggiunge lo status di classico: ha resistito alla prova del tempo e parla a tutte le epoche e culture, compresa la nostra.
Il cammino della riconciliazione interiore è l’antidoto sia all’impulso scismatico che a quello burocratico, fornendo il rimedio curativo per la rottura e un catalizzatore per il ripristino del sacro, come immaginava Papa Benedetto XVI. Ma perché ciò avvenga in modo organico, ci vorrà molto tempo, generazioni, forse anche secoli. Non possiamo sederci e tracciare il percorso; deve venire dall’esperienza vissuta delle persone. Quindi, non possiamo predeterminare quali tesori delle due forme saranno conservati e integrati in un’unica forma: le letture della Scrittura in lingua volgare dall’ambone? Il Canone recitato in silenzio? Le antiche preghiere dell’Offertorio restaurate? Il sacerdote e il popolo che recitano insieme il Pater noster e rispondono insieme prima della Comunione: «Dómine, non sum dignus» [Signore, non sono degno: N.d.T.]? Non lo sappiamo. Solo il tempo lo dirà. Ed è così che dovrebbe funzionare.
Abbiate fiducia nella saggezza del Concilio Vaticano II e non temete più la Santa Messa celebrata prima e durante il Concilio. Traiamo invece fiducia dalla tradizione. La tradizione è una protezione: offre affidabilità, prevedibilità; ci protegge dalle astuzie, dalle preferenze personali, dai gusti e dalle antipatie di chiunque sia al comando, che sia il Papa, il Vescovo, il sacerdote che celebra la Messa, i musicisti che preparano e cantano la musica durante la Messa, il coordinatore liturgico locale e così via. In altre parole, la tradizione garantisce che siamo tutti uguali, uguali servitori e osservatori della tradizione che abbiamo ricevuto, e non in balia dei giudizi arbitrari di chiunque si trovi al comando in un determinato momento e luogo.
Facciamo quindi tesoro della tradizione così come l’abbiamo ricevuta, e da essa impariamo chi siamo come popolo di Dio: collegati in modo trascendente nella comunione dei santi non solo attraverso lo spazio, ma anche attraverso il tempo, oggi e per tutta l’eternità.
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Bravo Cordileone. Speriamo venga fatto cardinale!
RispondiEliminaCor di leone, nomen est omen
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