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giovedì 29 maggio 2025

Il falso dio dei tassi zero: come le banche centrali stanno affondando le famiglie #300denari

Case irraggiungibili, lavoro svalutato, ricchi sempre più ricchi: il disastro delle banche centrali e il tradimento della destinazione universale dei beni è sotto gli occhi di tutti.
Non basta parlare di equità o solidarietà. Bisogna capire come funziona davvero il denaro.
Ci hanno detto che i tassi di interesse bassi aiutano le famiglie. In realtà, le stanno affondando. Il denaro a costo zero non è gratis: lo pagano i giovani, i poveri, chi lavora. Vediamo perché.

Un caso di studio
Il Giappone degli anni ’90 offre uno dei primi e più chiari esempi dei danni causati da politiche monetarie eccessivamente espansive, in particolare dall’uso di tassi d’interesse artificialmente bassi. In seguito agli accordi di Plaza del 1985, il Giappone fu costretto a rivalutare la propria valuta. Questo cambiamento provocò un rallentamento delle esportazioni, che fino ad allora erano state il principale motore della crescita economica giapponese. Per compensare questo calo, la Banca del Giappone ridusse i tassi d’interesse nel tentativo di stimolare i consumi interni e compensare la diminuzione delle esportazioni. Tuttavia, questa decisione portò alla creazione di una massiccia bolla immobiliare che esplose nel 1991. Il Giappone non si riprese mai completamente da questo shock economico. Un tempo pronto a sfidare gli Stati Uniti come potenza economica, alla fine degli anni ’90 il Giappone era stato superato dalla Germania come terza economia mondiale.

Politica monetaria espansiva: privilegiare la speculazione rispetto alla produttività
Tra il 2001 e il 2020, le banche centrali hanno adottato politiche monetarie espansive che hanno favorito la speculazione finanziaria a scapito dell’attività economica produttiva. Queste politiche hanno creato un contesto in cui aziende mal gestite potevano acquisire concorrenti più innovativi semplicemente grazie all’accesso a finanziamenti economici e artificialmente sovvenzionati. Questa dinamica è in netto contrasto con i principi della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), che promuovono sistemi economici al servizio dell’intera umanità, specialmente dei più vulnerabili.

Il Giappone degli anni ’80: sfide strutturali e “Zaitech
Negli anni ’80, il mercato interno giapponese faticava ad assorbire la capacità produttiva in eccesso del Paese. La soluzione più logica — aumentare sostanzialmente i salari — avrebbe consentito alle famiglie giapponesi di acquistare i beni che esse stesse producevano. Tuttavia, salari più alti avrebbero anche reso le esportazioni giapponesi più costose, aggravando i problemi derivanti dagli accordi di Plaza.
In risposta, molte aziende giapponesi cercarono metodi alternativi per mantenere i profitti e pagare i dividendi in un contesto di stagnazione economica. Nacque così lo “zaitech”, una strategia finanziaria speculativa in cui le imprese prendevano denaro in prestito a tassi bassissimi e lo investivano in asset invece che in attività produttive. Invece di rischiare lanciando nuovi prodotti o servizi, molte imprese prendevano prestiti a tasso quasi zero e li riversavano nel mercato immobiliare.
Poiché l’immobiliare è un bene necessario, la domanda rimaneva sostenuta nonostante l’aumento dei prezzi. Con l’esplosione dei prezzi delle proprietà, le famiglie furono costrette a ridurre la spesa discrezionale — beni di lusso, automobili, vacanze, abbigliamento di marca — per potersi permettere una casa.

Espulsione delle famiglie dal mercato e declino della produttività
I tassi d’interesse artificialmente bassi crearono una competizione imprevista tra famiglie e imprese per l’accesso al mercato immobiliare. Alla domanda legittima di abitazioni da parte delle famiglie e di immobili commerciali da parte delle imprese si aggiunse una domanda speculativa da parte delle aziende. Poiché le imprese potevano indebitarsi a tassi più bassi e per importi maggiori rispetto alle famiglie, finirono spesso per superarle nelle offerte, facendo aumentare i prezzi delle proprietà e di fatto escludendo le famiglie dal mercato.
Man mano che i prezzi salivano, le imprese traevano sempre più profitto dalla speculazione immobiliare anziché dalla produzione o dalla vendita di beni. Gli azionisti premiavano questo comportamento, mantenendo al loro posto manager poco creativi finché i profitti reggevano. Ciò incentivò ulteriormente il ricorso allo “zaitech”, dando origine a un circolo vizioso di speculazione a scapito dell’economia produttiva.
Anche se queste politiche venivano presentate come misure innocue per sostenere investimenti e consumi, si dimostrarono estremamente dannose. Minarono i meccanismi naturali del mercato e l’autonomia economica locale, violando il principio di sussidiarietà della DSC, secondo cui le decisioni dovrebbero essere prese al livello più locale e adeguato possibile. Centralizzando le decisioni economiche attraverso la manipolazione dei tassi d’interesse, le banche centrali hanno compromesso l’equilibrio tra innovazione e buona gestione.

L’impatto della politica monetaria espansiva su ricchezza e disuguaglianza
Il denaro è un bene universale creato dalle banche centrali a beneficio di tutti i cittadini, ma le politiche monetarie espansive hanno favorito in modo sproporzionato i ricchi. Gonfiando i prezzi degli asset, queste politiche hanno arricchito chi possedeva già capitali, rendendo però più difficile per i lavoratori accedervi. Questa dinamica ha di fatto trasferito ricchezza dai poveri ai ricchi.
Il principio della destinazione universale dei beni, alla base della DSC, insegna che le risorse della terra devono giovare a tutti. Tuttavia, le politiche monetarie espansive hanno concentrato la ricchezza nelle mani di pochi, specialmente attraverso l’inflazione nei mercati immobiliari e finanziari. Le giovani coppie e quelle con redditi modesti devono oggi affrontare enormi difficoltà per acquistare una casa, spesso impegnandosi in mutui trentennali. Invece di usare i risparmi per avviare un’attività o investire nell’innovazione, sono costrette a destinarli all’acquisto di asset già esistenti, senza creare nuovo valore.
Questo processo distorce anche le misure ufficiali dell’inflazione. Sebbene l’inflazione degli asset — come l’aumento dei prezzi degli immobili e delle azioni — non venga registrata dagli indicatori tradizionali, essa riduce significativamente il potere d’acquisto del lavoro. Lavori che potrebbero essere creati non lo sono, e idee innovative vengono soffocate prima ancora di potersi concretizzare.

La dignità del lavoro messa in crisi
La DSC sottolinea il valore del lavoro come fondamentale per la dignità umana e la realizzazione personale. Tuttavia, la tendenza delle imprese a privilegiare la speculazione finanziaria rispetto all’attività produttiva ha ridotto la creazione di posti di lavoro e contribuito alla disoccupazione di lungo periodo. Gonfiando i prezzi degli asset invece di produrre beni e servizi, le aziende hanno scollegato il profitto dal lavoro significativo. Questo mina la dignità del lavoro, riducendone il valore alla mera sussistenza, in contrasto con l’insegnamento della Chiesa che vede il lavoro come strumento di crescita personale e creatività.

Distruggere la concorrenza: la trappola del tasso zero
Le politiche a tasso zero soffocano la concorrenza. Le grandi aziende, grazie a finanziamenti praticamente gratuiti, possono acquisire facilmente concorrenti più piccoli, eliminando potenziali sfidanti nel mercato. Ciò mina il modello schumpeteriano di “distruzione creatrice”, che vede nei monopoli temporanei la giusta ricompensa per chi assume rischi e promuove l’innovazione. Senza il fattore rischio, i monopoli diventano permanenti e le autorità antitrust non riescono più a tutelare il dinamismo del mercato.
Alla fine, le politiche a tasso zero trasformano il denaro — un bene universale — in uno strumento che avvantaggia solo pochi privilegiati.

Giustizia economica e opzione preferenziale per i poveri
Le politiche monetarie espansive hanno aggravato la disuguaglianza economica. Se la disuguaglianza è accettabile quando riflette differenze in produttività o propensione al rischio, diventa ingiusta quando perpetua semplicemente disparità esistenti di ricchezza, indipendentemente dall’impegno individuale. Papa Francesco ha più volte denunciato i pericoli dei mercati senza regole e dei sistemi economici che trascurano i bisogni dei poveri.
Sebbene i tassi bassi siano pensati per stimolare consumi e investimenti, non apportano benefici alle famiglie povere, che non possono investire nemmeno con costi di finanziamento ridotti. Al contrario, questi tassi gonfiano il valore degli asset, arricchendo chi già li possiede. Le famiglie povere, invece, devono spendere una quota sempre maggiore del proprio reddito e lavoro per accedere a beni di base come la casa o la pensione.
Ad esempio, sebbene i tassi bassi riducano il costo dei mutui, fanno anche aumentare i prezzi delle case. Negli ultimi decenni, in molte parti del mondo, i prezzi immobiliari sono triplicati o più, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, i tassi bassi spesso non migliorano l’accesso alla proprietà della casa e vanno contro il principio della DSC dell’opzione preferenziale per i poveri.

La necessità di abolire la banca centrale
Il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones chiede una nuova economia fondata su principi etici, con una regolamentazione migliore per frenare le pratiche predatorie e speculative. Tuttavia, la soluzione non è semplicemente più regolamentazione. L’eccessiva ingerenza dello Stato, comprese le politiche delle banche centrali come la stampa di moneta, è il problema. Rimuovere alla banca centrale il potere di stampare denaro permetterebbe che i cattivi gestori e le aziende mal gestite affrontino le conseguenze dei propri fallimenti, ristabilendo la responsabilità nel sistema.
Le banche commerciali hanno sempre potuto creare moneta. La novità è che le banche centrali decidono oggi chi verrà ritenuto responsabile e chi verrà salvato.
Anche se abolire le banche centrali potrebbe causare disagi e perdite di posti di lavoro nel breve termine, l’attuale regime provoca anch’esso distruzione occupazionale attraverso stagnazione, disuguaglianza e un ciclo infinito di bolle speculative e crolli, come dimostrano i cicli distruttivi vissuti in Giappone (1991), negli Stati Uniti (2008), e potenzialmente in Cina (2025).


François-Marie Tardo-Dino
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4 commenti:

  1. Cosa insegna questo articolo? Che misure apparentemente benefiche possano avere effetti devastanti sulla società.

    1. L'importanza dei meccanismi di prezzo naturali.
    Insegna che manipolare artificialmente i tassi di interesse distorce i segnali economici, impedendo l'allocazione efficiente delle risorse e favorendo comportamenti speculativi.

    2. La dimensione etica dell'economia.
    Collegando l'analisi economica alla Dottrina Sociale della Chiesa, l'articolo evidenzia come le scelte di politica monetaria abbiano profonde implicazioni morali e sociali, specialmente per i più vulnerabili.

    3. La complessità degli effetti economici.
    Dimostra che le politiche economiche hanno conseguenze spesso opposte a quelle dichiarate, richiedendo un'analisi che vada oltre le intenzioni per esaminare gli effetti reali sui diversi gruppi sociali.

    4. Il rischio della centralizzazione economica.
    Insegna che concentrare il potere monetario nelle mani di poche istituzioni può portare a distorsioni sistemiche che danneggiano il principio di sussidiarietà e l'autonomia economica locale.

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  2. Dove sarebbe tutta questa disoccupazione?
    Abbiamo interi settori che faticano a reperire manodopera; smettiamola con le litanie socialisteggianti, tanto care a CGIL e affini. Chi vuole lavorare (ma deve averne voglia), il posto lo trova.

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    1. Lavorare sì, ma vi è la dignità del lavoro e Leone XIII accusa di peccato grave il datore di lavoro che sfrutta e sottopaga il dipendente.

      Non trovano manodopera i ristoratori che pagano, senza contratto, tre euro l’ora, non chi ne paga dieci con un contratto.

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