Grazie ad Investigatore Biblico per questa analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.
13-3-25
Nel cammino degli Atti degli Apostoli, giunti al capitolo ottavo, ci troviamo di fronte a un passaggio che potrebbe sembrare secondario, e che invece rivela, a chi si dispone all’ascolto, la forza segreta del Vangelo che si diffonde anche nei momenti di prova. La persecuzione che si abbatte sulla Chiesa nascente a Gerusalemme costringe molti fratelli a fuggire. Ma non è una diaspora di paura; è un seminare che porta frutto. Luca annota che «quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola» (At 8,4 CEI 2008).
Se ci fermiamo un momento ad ascoltare, percepiamo qui un’incongruenza rispetto alla precedente versione CEI del 1974, che invece traduce: «Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio». L’aggiunta di quel «di Dio» sembra, a prima vista, un dettaglio di poco conto. E tuttavia, il cuore del credente e dello studioso non può non interrogarsi: è solo una sfumatura o vi è in gioco qualcosa di più profondo?
Per rispondere a questa domanda, è necessario tornare a quella disciplina paziente e rigorosa che è la scienza dei manoscritti, la filologia sacra, che ci insegna ad accogliere con rispetto la storia viva della trasmissione della Parola. I codici antichi della tradizione greca ci testimoniano in modo concorde la presenza del termine «τοῦ Θεοῦ» — «di Dio». Il testo recita infatti: «οἱ μὲν οὖν διασπαρέντες διῆλθον εὐαγγελιζόμενοι τὸν λόγον τοῦ Θεοῦ» (hoi mén oûn diasparéntes diêlthon euangelizómenoi tòn lógon tou Theoû).
È una lezione che ci viene offerta dai più antichi e autorevoli testimoni manoscritti: il Codex Sinaiticus (א), il Codex Alexandrinus (A), e il Codex Vaticanus (B). Questi codici, risalenti ai secoli IV e V, sono veri e propri monumenti della fede, custoditi e tramandati dalla Chiesa con devozione e rispetto per la verità della Parola. Essi riportano concordemente l’espressione completa «Parola di Dio».
San Girolamo, nel suo immane lavoro di traduzione della Bibbia in latino — la Vulgata —, si affidò proprio a questi codici antichi, o ad altri simili, che egli ebbe la possibilità di consultare in Palestina, presso i monasteri che conservavano fedelmente le Scritture. Non è un caso che la sua versione latina traduca con precisione: «evangelizantes Verbum Dei». In lui troviamo un esempio di sapienza che si fa obbedienza al testo, di scienza che si mette a servizio della fede.
Alla luce di questa storia veneranda, ci si può chiedere per quale ragione la versione CEI del 2008 abbia scelto di omettere «di Dio». Forse, in un intento di semplificazione del testo, o per aderire a una critica testuale che in alcuni casi propone varianti più brevi. Vi sono, infatti, manoscritti minori che attestano la lezione senza «τοῦ Θεοῦ». Tuttavia, questi testimoni sono più recenti e meno rappresentativi rispetto ai grandi codici della tradizione ecclesiale.
La questione non è solo filologica. È anche teologica e pastorale. Il riferimento esplicito a Dio non è un’aggiunta accessoria, ma il cuore stesso di ciò che i discepoli annunciavano: non una parola umana, non un discorso fra i tanti, ma la Parola di Dio, il Vangelo che salva. Omettere questo riferimento rischia di oscurare la sorgente dell’annuncio apostolico.
Il cristiano che si pone in ascolto della Parola è chiamato a custodire la fedeltà. Questa fedeltà non è una rigidità sterile, ma l’umile consapevolezza che la Scrittura è dono ricevuto e trasmesso, non da manipolare secondo criteri umani, ma da accogliere nella sua integrità. «Noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore» (2Cor 4,5): la Parola che annunciamo è sua.
Alla luce di questo cammino, possiamo auspicare che anche le traduzioni moderne recuperino il senso profondo di questa fedeltà, che non è solo rispetto per la lettera, ma anche attenzione all’anima del testo sacro. Così che la Parola di Dio continui a risuonare chiara e luminosa, come risuonava sulle labbra dei discepoli dispersi eppure missionari, testimoni della speranza che non delude.