Festeggiamo il grande Dottore della Chiesa e baluardo contro il protestantesimo sin dalla vigilia della sua Festa (III Classe, Bianco).
Luigi C.
Aurelio Porfiri, 21-12-24
Questi ultimi anni della vita ecclesiale, sono certamente serviti a riportare al centro il dibattito sulla necessaria unione di misericordia e giustizia. Per alcuni la misericordia sembra quasi divenuta una categoria a parte, come se essa avesse un senso assoluto, svincolato dalle esigenze della giustizia. In realtà non è così, in quanto la misericordia senza la giustizia non ha senso.
Un santo che mi fa riflettere su questo tema è l’olandese Pietro Canisio (1521-1597). Fu attratto in giovanissima età dalla vita contemplativa nei certosini, ma poi decise di entrare in una nuovissima congregazione religiosa, quella dei gesuiti. Fu uno dei primi 10 gesuiti ad emettere i voti. Fu studioso dei padri della Chiesa. Partecipò al concilio di Trento come teologo; ricordiamo che questo concilio fu uno dei più importanti per ciò che riguardava la riforma della Chiesa, in quel tempo assillata dalla rivoluzione iniziata dal frate agostiniano Martin Lutero.
Sant’Ignazio chiede a Pietro Canisio di essere attivo in Italia per un certo periodo, poi più lungamente in Germania, dove sarà attivo nel mondo accademico, dell’assistenza ai malati e come primo superiore di quella provincia tedesca. Gli fu offerto anche il cardinalato da papa Pio V, una offerto da lui rifiutata preferendo rimanere a servizio dei suoi fedeli come semplice prete. Sono importanti i suoi catechismi, che avranno ampissima diffusione. Verrà beatificato nel 1864 e canonizzato nel 1921, data in cui viene anche proclamato Dottore della Chiesa.
Nel sito dei gesuiti di lui viene detto:
“L’importanza di Canisio si fonda nella combinazione armoniosa, poco frequente nella sua epoca, di una sua fermezza dogmatica di principii insieme a un’attitudine di rispetto. Come missione principale, si propone il risanamento delle radici spirituali di ogni credente e del corpo della Chiesa nel suo insieme, così come la rivitalizzazione della comunità cristiana”.
Ecco, mi sembra qui vengano compendiati bene i termini della questione. Giusto è avere rispetto per tutti. San Paolo (Galati 5, 22) dice: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Caratteristica del cristiano è mantenere questa mitezza e dominio di se, ma mai perdendo di vista la fermezza nei principii, che permette di sfuggire al dominio della carne: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Galati 5, 13). San Pietro Canisio aveva compreso come fosse importante amare il peccatore ma disprezzare e respingere il peccato. In una sua preghiera per confermare la fede (reperita nel sito www.corrispondenzaromana.it) egli affermava:
“Professo con franchezza, con san Girolamo, di essere unito con chi è unito alla Cattedra di Pietro e protesto, con sant’Ambrogio, di seguire in ogni cosa quella Chiesa romana che riconosco rispettosamente, con san Cipriano, come radice e madre della Chiesa universale. Mi affido a questa Fede e dottrina che da fanciullo ho imparato, da giovane ho confermato, da adulto ho insegnato e che finora, col mio debole potere, ho difeso. A far questa professione non mi spinge altro motivo che la gloria e l’onore di Dio, la coscienza della verità, l’autorità delle Sacre Scritture canoniche, il sentimento e il consenso dei Padri della Chiesa, la testimonianza della Fede che debbo dare ai miei fratelli e infine l’eterna salvezza che aspetto in Cielo e la beatitudine promessa ai veri fedeli”.
La sua fedeltà quindi, non è semplicemente al Romano Pontefice, ma al Papa in quanto custode del deposito della fede confermato dal sentimento e dal consenso dei Padri della Chiesa a cui lui fa appello. Non un consenso umano, il consenso ad un leader, ma un consenso vissuto su un piano metastorico, soprannaturale. Piuttosto il consenso ad una istituzione che a una persona. Prosegue più avanti:
“Se accadrà che a causa di questa mia professione io venga disprezzato, maltrattato e perseguitato, lo considererò come una straordinaria grazia e favore, perché ciò significherà che Voi, mio Dio, mi date occasione di soffrire per la giustizia e perché non volete che mi siano benevoli quelle persone che, come aperti nemici della Chiesa e della verità cattolica, non possono essere vostri amici. Tuttavia perdonate loro, Signore, poiché, o perché istigati dal demonio e accecati dal luccichio di una falsa dottrina, non sanno quello che fanno, o non vogliono saperlo”.
Ecco il vero equilibrio tra giustizia e misericordia. Il santo non rifiuta la sofferenza per amore della giustizia, ma chiede a Dio Padre di usare misericordia per coloro che fossero andati per la via errata. Non si cambia la natura del peccato che rimane tale, ma si chiede di non infierire nella condanna. La preghiera così si conclude:
“Concedetemi comunque questa grazia, che in vita e in morte io renda sempre un’autorevole testimonianza della sincerità e fedeltà che debbo a Voi, alla Chiesa e alla verità, che non mi allontani mai dal vostro santo amore e che io sia in comunione con quelli che vi temono e che custodiscono i vostri precetti nella santa romana Chiesa, al cui giudizio con animo pronto e rispettoso sottometto me stesso e tutte le mie opere. Tutti i santi che, o trionfanti nel Cielo o militanti in terra, sono indissolubilmente uniti col vincolo della pace nella Chiesa cattolica, esaltino la vostra immensa bontà e preghino per me. Voi siete il principio e il fine di tutti i miei beni; a Voi sia in tutto e per tutto lode, onore e gloria sempiterna”.
Dobbiamo essere attenti nel non far divenire la Chiesa “la madre dei buoni sentimenti”; se la misericordia perde di vista la giustizia, si rinuncia ad essere sale della terra. Troppo sale fa salire la pressione, ma niente sale rende tutto insopportabilmente insipido.
Benedetto XVI, nella sua udienza del 9 febbraio 2011, parlando di San Pietro Canisio, tra l’altro diceva:
“È, questa, una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa. In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara, come ho detto, a quei tempi nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che gli derivava dalla devotio moderna e dalla mistica renana. E' caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando con il Signore: “Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi, per così dire, ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore”. E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo. Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e con la sua Chiesa”.
Ecco, questo equilibrio tra gentilezza e fermezza, prelude all’ascesa verso le vette della santità.