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lunedì 10 marzo 2025

Mons. Vincent Jordy, Arcivescovo metropolita di Tours: ignoranza e disprezzo

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1172 bis pubblicata da Paix Liturgique l’8 marzo, in cui, si riporta l’articolo di Jean-Pierre Maugendre, pubblicato il 28 febbraio sul sito Renaissance Catholique (QUI).
L’autore analizza la figura di mons. Vincent Jordy, prendendo spunto da una intervista rilasciata dallo stesso Arcivescovo sulla Santa Messa tradizionale, piena di errori fattuali e di giudizi avventati sul «fenomeno tradizionalista», dalla quale emerge una visione ideologica; ma mons. Jordy è uno dei due Vescovi responsabili delle relazioni con le comunità tradizionaliste in Francia!

L.V.


Mons. Vincent Jordy, Arcivescovo metropolita di Tours, è un uomo importante. Vicepresidente della Conférence des Evêques de France, è, insieme a mons. Dominique Julien Claude Marie Lebrun, Arcivescovo metropolita di Rouen, uno dei due Vescovi responsabili delle relazioni con le comunità tradizionaliste, sia clericali che laiche. In questa veste, incontra regolarmente i Superiori delle comunità ex-Ecclesia Dei presenti in Francia. Per quanto riguarda i laici, si è tenuto un unico incontro, senza alcun seguito, con i rappresentanti l’Union Lex Orandi il 24 febbraio 2023 [QUI: N.d.T.]. «L’ascolto del popolo di Dio» non sembra essere una delle principali priorità pastorali di mons. Jordy.

I fatti sono i fatti

Con il titolo Messes en latin sous surveillance [Messe in latino sotto sorveglianza: N.d.T.], mons. Vincent Jordy ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Nouvelle République du Centre-Ouest il 26 febbraio 2025, come supplemento a un articolo sulle scuole cattoliche senza contratto: Quand le traditionalisme fait école [QUI: N.d.T.]. Innanzitutto, siamo terrorizzati dal numero di errori fattuali, dichiarati con disinvoltura da un Vescovo che dovrebbe conoscere la materia di cui si occupa. Ad esempio, mons. Jordy afferma che la Fraternità sacerdotale San Pio X «non è riconosciuta da Roma». Come spiegare allora che papa Francesco ha concesso ai sacerdoti della Fraternità sacerdotale San Pio X la facoltà di confessare (lettera del 1º settembre 2015 e lettera apostolica Misericordia et misera del 20 novembre 2016) [QUIQUI: N.d.T.] e poi di celebrare matrimoni (4 aprile 2017, lettera firmata dal card. Gerhard Ludwig Müller, Presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei») [QUI: N.d.T.]. La giornalista Mariella Esvant, fidandosi della parola dei Vescovi, ripete la stessa assurdità: «La Fraternità sacerdotale San Pio X, in contrasto con la Chiesa cattolica». Per minimizzare l’impatto del movimento tradizionalista, mons. Jordy osserva perfidamente: «La Fraternità sacerdotale di San Pietro ha ordinato solo 150 sacerdoti dalla sua creazione (nel 1988)». Si dà il caso che la Fraternità sacerdotale di San Pietro abbia oggi 386 sacerdoti, contro i dodici della sua fondazione. Mons. Jordy ce l’ha con la matematica quanto con i testi papali? Infine, da specialista della storia della Chiesa, l’Arcivescovo metropolita di Tours osserva: «Il movimento fondamentalista è stato creato mons. Marcel Lefebvre, in opposizione alle riforme del Concilio Vaticano II». Si tratta di una sintesi audace e offensiva della situazione di tutti quei sacerdoti, suore e laici che, senza aspettare mons. Lefebvre, si sono stupiti e persino ribellati a certe innovazioni conciliari e post-conciliari. Vanno citati don Georges de Nantes, padre Roger-Thomas Calmel O.P., don Victor-Alain Berto, don Raymond Dulac, Jean Madiran, Louis Salleron, madre Anne-Marie Simoulin ecc. Che mons. Lefebvre sia diventato la figura di riferimento del movimento tradizionalista è indiscutibile, che ne sia stato il creatore è un errore di fatto. Va notato che mons. Jordy, in un amalgama non innocente, non risponde alla domanda postagli sulla differenza tra «fondamentalisti» e «tradizionalisti». In realtà, a quanto pare, nella mente di mons. Jordy, entrambi sono nello stesso sacco… da buttare fuori un giorno o l’altro, come egli stesso chiarisce: «Il mio predecessore aveva fatto appello alla Fraternità sacerdotale di San Pietro. Io nomino il sacerdote, ma posso anche ringraziarlo, come è stato fatto a Digione e a Grenoble». E, come premio, le minacce!

Giudizi avventati

Mons. Vincent Jordy spiega lo sviluppo del movimento tradizionalista nel dipartimento Indre e Loira con la crisi del Covid 19: «C’era una sorta di ansia tra la gente, un ritiro in isolamento. Era anche un modo per manifestare contro lo Stato». È quantomeno sorprendente che non si faccia cenno, nemmeno sotto forma di ipotesi, alla possibilità di una motivazione religiosa da parte delle persone che scoprirono, durante il confino, chiese in cui gli ordini di sospensione del culto erano senza dubbio applicati meno rigorosamente che in altri luoghi. Che un Cattolico possa semplicemente cercare un luogo dove celebrare la Messa non sembra far parte dell’universo mentale di mons. Jordy. Nella sua gentilezza, l’Arcivescovo metropolita di Tours tollerava la celebrazione del vecchio rito. Tuttavia, chiarisce: «Le omelie non sono monitorate, ma ricevo un feedback. Sono molto attento». Il lettore, ansioso, vorrebbe saperne di più. Non sarà che le verità della fede vengono messe in discussione, che le eresie vengono propagate e diffuse liberamente? Ma no! La difesa della fede non è una delle preoccupazioni di mons. Jordy. Ciò che gli interessa sono «le posizioni sociali […] e politiche». Il problema è «uno zoccolo duro che è ancorato a una scelta di società che ci riporta al 1950 e secondo la quale il Cristianesimo deve essere ricreato». Parte della nostra tragedia è che questo nucleo duro è semplicemente fedele all’insegnamento costante della Chiesa da due millenni e, in particolare, alla lettera enciclica Quas primas sulla regalità di Cristo di Papa Pio XI  (11 dicembre 1925). Come reagirà mons. Jordy quando, in occasione del centenario di questa lettera enciclica, il prossimo dicembre, gli verrà detto che un sacerdote ha osato citare delle parole molto scorrette, anche se sigillate dal Pontefice: «mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. […] D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali […]. Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli»?

Dovendo trovare una ragione apparentemente razionale per questo «fenomeno tradizionalista», mons. Vincent Jordy ne ha una: «Queste persone hanno soldi, conoscenze e know-how». Che rispondano a una sete di sacro, a un bisogno di certezze, a una conversione miracolosa o a un desiderio di mettere radici non sembra essere venuto in mente ai Vescovi. In realtà, è probabile che nulla distoglierà mons. Jordy dal suo cammino. Forse era a lui che pensava il futuro card. François-Xavier Bustillo O.F.M.Conv., Vescovo di Ajaccio, citando papa Francesco quando scriveva: «l’ideologia ha il potere di inquinare la visione della realtà. Predica il semplicismo e cancella la complessità. L’ideologia non ha cuore […] l’ideologia è un comportamento selettivo e intollerante […] se i miei atteggiamenti sono duri, intransigenti e violenti, l’ideologia segna una vittoria sulla fede» (La vocation du prêtre face aux crises) [La vocazione del sacerdote di fronte alle crisi: N.d.T.] [QUI: N.d.T.]. Nella sua intervista mons. Jordy omette di sottolineare che nei confronti dei tradizionalisti sta portando avanti una rigida politica di apartheid e di confinamento della «riserva indiana. Nell’Arcidiocesi di Tours, ad esempio, è impossibile sposarsi o far celebrare un battesimo o una Santa Messa secondo il rito tradizionale al di fuori dei luoghi in cui la Messa viene abitualmente celebrata. Questo porta i richiedenti a cercare un’altra Diocesi, a rivolgersi alla Fraternità sacerdotale San Pio X o a far celebrare la Santa Messa in una sala comunale a cento metri da una chiesa che è… vuota.

Sembra che nelle discussioni, nei negoziati e nelle contrattazioni sia una buona idea mettere faccia a faccia persone che provano una certa empatia verso l’altro, per favorire gli scambi e consentire possibili convergenze e conclusioni felici. Leggendo questa intervista, sembra che ci si possa legittimamente chiedere se mons. Vincent Jordy sia la persona giusta per conoscere e accogliere, o addirittura (siamo pazzi!) amare, i fedeli e i sacerdoti attaccati ai metodi tradizionali di insegnamento della fede. Per il momento, la sua immagine è più quella di un funzionario ecclesiastico zelante ma limitato.

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