
Preghiamo il santo Dottore della Chiesa Gregorio Magno, liturgo e teologo, alla Vigilia della sua Festa (III Classe, Bianco).
Luigi C.
Schola Palatina, Roberto de Mattei | 29 Maggio 2024
San Gregorio Magno nacque a Roma verso il 540 da una famiglia dell’aristocrazie senatoria, forse quella degli Anicii (de senatoribus primis, la definisce Gregorio di Tours), fu eletto Papa e morì a Roma il 12 marzo 604. Santo e Dottore della Chiesa, fu l’unico Papa, con Leone I, a ricevere la qualifica di Grande.
La sua formazione culturale è di tradizione romana, soprattutto classica e giuridica, indispensabile per occupare, nel 573, la carica di praefectus urbis.
Verso il 575, abbandonò gli onori e le ricchezze della sua famiglia per darsi alla vita religiosa. Gregorio di Tours racconta che mentre prima lo si vedeva per le vie di Roma vestito di toga e di porpora, ornata di gemme, ora si scorgeva coperto dell’umile abito monastico. Il suo monastero fu la casa paterna, sul Clivus Scauri, alle pendici del Monte Celio, che intitolò all’apostolo Andrea.
Ne fondò poi altri sei nei suoi poderi in Sicilia. La regola adottata era quella di san Benedetto. Fu apprezzato dal Papa Pelagio II che, nel 579, lo inviò come suo rappresentante a Costantinopoli, presso l’Imperatore Tiberio II. Gregorio visse sei anni nella capitale bizantina, allargando il cerchio delle sue relazioni ed esperienze.
Pontefice romano
Tornato a Roma come abate nel suo monastero, fu eletto all’unanimità Papa dal clero e dal popolo romano. La cerimonia di consacrazione avvenne il 3 ottobre 590. La sua prima omelia, nella Basilica di San Pietro, traccia un quadro impressionante della situazione dell’Italia, in cui sembrava adempiersi la profezia di san Giovanni (Apoc. 18) sulla devastazione del quarto impero: quello romano, dopo gli assiri, i persiani ed i greci.
Nello spazio di meno di mezzo secolo Roma è devastata dalla guerra, dalla fame, dalla peste. «Dovunque vediamo lutti, dovunque sentiamo gemiti. Distrutte le città, abbattute le fortezze, devastate le campagne, la terra è stata ridotta a un deserto. Non è rimasto nessuno a coltivare i campi, quasi nessun abitante nelle città; e tuttavia anche questi piccoli resti del genere umano sono colpiti continuamente ogni giorno. E i flagelli della giustizia celeste non hanno termine, poiché neppure in mezzo ai flagelli si emendano le colpe. Vediamo alcuni deportati come schiavi, alcuni mutilati, altri uccisi (…) Ma noi vediamo com’è ridotta Roma stessa, che un tempo sembrava la dominatrice del mondo».
Piangendo e meditando sulla decadenza di Roma, sant’Agostino aveva scritto: “Roma non è perduta, se non si perdono i romani”. Romano è il nuovo Papa, che si accinge ad assumere un compito immane. L’epitaffio di Consul Dei che fu apposto, sul suo sarcofago, simboleggia le caratteristiche della sua personalità: la romanità e la fede cristiana.
La cura più immediata di Gregorio fu di assicurare una amministrazione efficiente dei Patrimoni della Chiesa (patrimonium Petri) non solo al fine di aiutare concretamente la popolazione romana, minacciata dalla carestia, ma anche perché la Chiesa iniziava ad assumersi responsabilità pubbliche che esigevano ingenti mezzi materiali.
Dobbiamo ricordare inoltre che a partire dal V secolo, in un periodo in cui mancava un’amministrazione imperiale continuativa ed efficiente, la Chiesa cominciò ad occuparsi delle vedove, degli orfani, dei minori e dei prigionieri. Il Laterano si assunse il compito di organizzare gli spettacoli pubblici e di gestire servizi urbani quali il rifornimento idrico, la sanità pubblica o la nettezza urbana.
L’evangelizzazione dell’Inghilterra e del mondo germanico
Per Gregorio la missione primaria della Chiesa fu l’azione evangelizzatrice secondo il mandato del suo Fondatore: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le genti» (Mc. 16,15). Il significato di questa universalità è quello di un annuncio di fede inviato, nella sua integrità e totalità a tutto il mondo, a tutti i popoli, per la durata di tutta la storia.
Correva l’anno 596, quando egli decise di affidare ad alcuni monaci del suo monastero del Celio, l’impresa di convertire l’Inghilterra. Il venerabile Beda ci ha lasciato un dettagliato resoconto di quell’impresa, di cui Gregorio non poteva prevedere le grandiose conseguenze: essa avrebbe aperto la strada alla missione fra i popoli della Germania.
Secondo la tradizione egli restò commosso nel vedere un gruppo di Britanni, biondi e belli come angeli sul mercato degli schiavi di Roma. In Anglia, l’isola degli angeli, il Re Etelberto di Kent aveva sposato una principessa cattolica, Berta, pronipote di Clodoveo. Solo anno dopo, nella Pentecoste dell’anno 597, il re anglosassone entrò nell’unità della Chiesa. Il re Etelberto cedette il suo palazzo reale di Canterbury al monaco Agostino che ne fece la sua sede episcopale e il centro di irradiazione del Cristianesimo in Inghilterra..
Questa conversione fu memorabile. Dopo il battesimo di Costantino e quello di Clodoveo, non c’era stato evento più importante negli annali del Cristianesimo. I popoli anglosassoni vennero a conoscere, grazie ai predicatori del Vangelo, non solo la fede cattolica, ma anche le leggi romane, che continuarono a mantenere la loro importanza universale anche nei luoghi dove lo Stato romano non era ormai altro che un nome vuoto di senso.
Il monastero benedettino di Canterbury divenne il punto di partenza di un movimento di organizzazione e unificazione religiosa e culturale che creò in Occidente un nuovo centro di civiltà cristiana, definito dallo storico inglese Christopher Dawson, «forse l’evento più importante tra l’epoca di Giustiniano e quella di Carlo Magno».
L’evangelizzazione della Britannia fu parallela a quella che Gregorio promosse preso i popoli della Gallia. Ma se l’azione missionaria presso i Britanni era diretta a infondere la fede in un popolo pagano, presso i Franchi occorreva invece risvegliare la vita cristiana che già si era diffusa tra essi un secolo prima, con la conversione di Clodoveo.
La Chiesa nei Paesi dell’antica Gallia non era mai stata infetta da eresia o scisma: i Franchi, a differenza di tutti gli altri popoli barbari, non erano caduti nell’arianesimo; ma ora erano immersi nella decadenza spirituale e morale. Il Papa si servì, per influire su di essi, della Regina Brunilde, madre del re Childeberto, ma vera reggente della politica del regno. La Francia costituì una testa di ponte per la penetrazione del Cristianesimo in Inghilterra e riconfermò il suo ruolo di alleata principale della Chiesa.
San Gregorio Magno e la sua azione contro l’eresia ariana
Situata all’estremità dell’Europa, la Spagna era l’ultimo ridotto, apparentemente inespugnabile, dell’arianesimo, professato dai re visigoti. San Leandro, vescovo di Siviglia, e poi il fratello Isidoro, anch’egli vescovo e santo, furono il grande strumento nelle mani di Gregorio per la liberazione della Spagna da questa eresia.
Quando la marea islamica superò lo stretto di Gibilterra e la Spagna visigotica crollò, un gruppo di cavalieri cristiani, formati allo spirito di san Leandro e di sant’Isidoro, formò il primo nucleo di quella che sarebbe stata la Reconquista. Anche questa epopea ebbe tra le sue cause remote l’evangelizzazione della Spagna da parte di san Gregorio.
L’arianesimo e l’idolatria minacciavano seriamente anche l’Italia. All’epoca in cui egli venne eletto Papa, l’Italia era già in gran parte sotto il dominio dei Longobardi. A Gregorio non interessava l’egemonia politica, ma quella spirituale sulla penisola. Re Autari era morto il 5 settembre 590, due giorni dopo la consacrazione di Gregorio. La vedova Teodolinda, figlia del duca di Baviera, aveva allora offerto la sua mano e la corona ad Agilulfo, duca di Torino. Gregorio ripose le sue speranze nella regina, fervente cattolica. Grazie al suo influsso, Agilulfo, sebbene ariano, fece battezzare il suo primogenito nella religione cattolica.
Questa conversione e quella di molti grandi della corte fu un fatto di alta importanza, ma non produsse le conseguenze profonde di quella di Clodoveo. Agilulfo si spinse contro Roma, ma fu costretto a ritirarsi di fronte all’energico contegno del Papa, che difese la città anche dai Duchi di Spoleto e di Benevento. Finalmente, nel 598, Gregorio ottenne che tra Longobardi e Bizantini fosse stipulata una tregua, poi mutata in pace nel 609. Allora cessò la guerra in Italia per molto tempo. Teodolinda di Baviera, assieme a Berta e a Brunilde, forma il trittico delle figure femminili con cui Gregorio ebbe relazioni privilegiate, comprendendo il ruolo prezioso della donna nel nuovo mondo cristiano che nasceva.
Il primato pontificio
Le radici cristiane della civiltà occidentale hanno la loro espressione non solo nell’opera di evangelizzazione dei popoli barbari, ma anche nella teoria e nella pratica della distinzione tra i due poteri: quello spirituale e quello temporale. Un dualismo sconosciuto al mondo islamico, che a partire dal VII secolo, vivrà nella confusione dei due ordini, ma anche al cesaropapismo bizantino. L’apporto di Gregorio non fu però speculativo, ma pratico. In lui non dobbiamo cercare il teorico dei due poteri, ma colui che ne realizzò la prassi, rivendicando l’autorità del Pontefice romano, e quindi dello spazio sacrale, di fronte non solo all’Imperatore, ma anche ai nuovi regni romano-barbarici, di cui il Papa fondò la legittimità
Sono celebri le parole che scrisse al vescovo Sabiniano di Iadera (Zara) in Dalmazia e che, come osserva il padre Grisar, possono dirsi con verità la voce di tutto il suo pontificato: «Volgete i vostri passi verso questa pietra inconcussa sopra la quale il Redentore nostro volle fondare la Chiesa universale; lungi da questo termine troverete ostacoli e smarrirete la via».
Di fronte al patriarca di Costantinopoli, che si proclamava universale, egli riaffermò il primato dell’unica Chiesa di Roma, perché sede del Pontefice, successore di Pietro. Con l’adozione del titolo di Servus servorum Dei, Gregorio sottolineava il contrasto tra la propria concezione dell’umiltà cristiana e la magniloquenza dei patriarchi bizantini, ma senza rinunziare ad esaltare l’ufficio Papale (cfr. Mt. 23,11-12: Lc. 9,48). L’appellativo servus servorum Dei non costituisce la negazione del Primato pontificio, ma la spiegazione del suo fondamento.
La formula di Gregorio ricorda quella del suo predecessore Leone: «Indegno erede di san Pietro», e anticipa il Dictatus Papae di san Gregorio VII: il Papa diveniva l’erede di san Pietro per quanto riguardava il suo status giuridico e i suoi poteri oggettivi, ma non per quanto riguardava il suo status personale e i suoi meriti oggettivi. La distinzione tra l’ufficio e il detentore dell’ufficio, tra la persona pubblica del Papa e la sua persona privata, si sarebbe rivelata fondamentale nella storia del Papato.
San Gregorio Magno e l’ascesa del Papato
Bisogna attendere san Leone Magno, ma soprattutto san Gregorio Magno per vedere emergere sulla scena europea il nuovo ruolo pubblico del Papato. Gregorio non fu come sostengono alcuni storici anticattolici, il creatore dell’istituzione pontificia nel VII secolo, ma colui che la consolidò e ne affermò l’autorità e il prestigio nella scena storica del suo tempo.
Fu grazie a Gregorio Magno che la fede cattolica iniziò a diventare e poi fu, per quasi mille anni una sola cosa con l’Europa. La gerarchia della Chiesa, la sua unità e il suo senso di disciplina, la sua lingua, furono la principale istituzione civile e il collante che resse una società che si disintegrava.
Nell’orizzonte di caos del VI secolo, la Chiesa è l’unica istituzione che restò in piedi, conservando i tesori naturali della civiltà, ma soprattutto infondendo le nuove energie soprannaturali destinate a rinnovarla.
«Gregorio Magno – scrive mons. Benigni – non fu né “il primo dei pontefici”, né “l’ultimo dei romani”, ma fu il primo dei pontefici e l’ultimo degli antichi romani, che ebbe forza ed occasione di mostrare all’intero mondo civile – egli che egli mandava missionari in Britannia e corrispondeva coi monaci del monte Sinai – la grandezza della Roma papale nell’antica Roma civile, nel momento in cui questa si dileguava per sempre». L’azione di Gregorio fu, intrinsecamente religiosa. Ma proprio per questo ebbe delle conseguenze politiche e sociali di straordinaria fecondità.
FONTE: Radici Cristiane n. 65