Grazie a Roberto de Mattei per questa acuta analisi.
Luigi C.
Roberto de Mattei, 30-10-24
Il Sinodo che si è chiuso il 27 ottobre in Vaticano è sembrato come un tentativo di papa Francesco di spegnere il fuoco appiccato dai vescovi tedeschi con il loro “camino sinodale” avviato nel gennaio del 2020. L’ambizioso traguardo che i vescovi progressisti, non solo tedeschi, si proponevano era quello di fare, nel 2024, un decisivo passo avanti rispetto al Sinodo panamazzonico del 2019, ottenendo l’ordinazione diaconale delle donne, il matrimonio, a determinate condizioni, dei preti, l’implementazione dell’agenda LGBT e l’attribuzione di autorità dottrinale alle conferenze episcopali. Nulla di tutto questo è presente nel Documento finale approvato il 26 ottobre. Un documento che ha scontentato tutti e che ha fatto scrivere al vaticanista Andrea Gagliarducci che «non ci sono né vincitori né vinti» (“Aci Stampa”, 26 ottobre 2024).
Ma il Documento sinodale spegnerà davvero l’incendio o piuttosto lo alimenterà? Papa Francesco ha rinunciato alla esortazione post-sinodale, dicendo di voler «consegnare il documento finale al santo popolo fedele di Dio». «Nel documento –ha aggiunto – ci sono già indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti. (…) La chiesa sinodale per la missione, ora, ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino».
Dunque il Sinodo è chiuso ma il processo sinodale continua.
E’ logico immaginare che l’ala ultra-progressista della Chiesa si senta investita del compito di realizzare nei fatti le aperture verbali del Sinodo, anche perché Francesco lascia di fatto ai vescovi la possibilità di interpretare liberamente il documento. Già due cardinali-arcivescovi americani, Robert McElroy di San Diego e Blaise Cupich di Chicago, come ci informa Michael Haynes su “LifeSiteNews” del 28 ottobre, hanno annunziato di voler procedere nel «riformare la struttura della Chiesa statunitense in linea con la sinodalità», ma che cosa sia la sinodalità nessuno lo ha finora capito. Il Documento finale ribadisce che «la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa» (n. 28), ma afferma anche che «la competenza decisionale del Vescovo di Roma è inalienabile» (n. 92) e che «il Vescovo di Roma, principio e fondamento di unità della Chiesa (cfr. LG 23), è il garante della sinodalità» (n. 131).
Il professor Alberto Melloni, che è uno dei più profondi conoscitori del mondo progressista, al quale appartiene, non nasconde la sua delusione per il fatto che il Sinodo non sia stato un Vaticano III. «Il doppio sinodo bergogliano poteva, doveva essere il punto di caduta della svolta dottrinale» impressa alla chiesa dal Vaticano II e invece «tramonta senza traumi e senza frutti». Per Melloni potrebbe aprirsi «una crisi verticale, drammatica, con suoni cinquecenteschi e conseguenze imprevedibilmente tragiche» (“Corriere della Sera, 23 ottobre 2024).
Melloni non spiega quale possa essere questo scenario drammatico. Non è chiaro se la “crisi verticale” a cui allude riguardi il rapporto tra i vertici della Chiesa e la base, o se si riferisca piuttosto a una frattura interna all’episcopato. Il processo rivoluzionario, in ogni caso, rallenta ma non si ferma. Accanto al fuoco che il documento finale del Sinodo tenta invano di spegnere esiste però un altro fuoco: quello dell’Amore divino, che ha il suo simbolo nel Sacro Cuore di Gesù, «fornace di ardente carità». Ed è proprio al culto del Sacro Cuore che papa Francesco ha dedicato la sua quarta enciclica, Dilexit nos, pubblicata il 24 ottobre, tre giorni prima della conclusione dell’assemblea sinodale.
La teologia cattolica del Sacro Cuore è stata magnificamente esposta da Leone XIII, con l’enciclica Annum Sacrum, del 25 maggio 1889, da Pio XI con l’enciclica Miserentissimus redemptor dell’8 maggio 1928 e da Pio XII con l’enciclica Haurietis Aquas del 15 maggio 1956. Papa Francesco si richiama esplicitamente al Magistero di questi Papi: «Alcuni miei predecessori hanno fatto riferimento al Cuore di Cristo e con espressioni molto differenti hanno invitato a unirsi a Lui. Alla fine del XIX secolo, Leone XIII ci invitava a consacrarci a Lui e nella sua proposta univa al tempo stesso l’invito all’unione con Cristo e l’ammirazione per lo splendore del suo amore infinito. Circa trent’anni dopo, Pio XI presentò questa devozione come un compendio dell’esperienza di fede cristiana. Inoltre, Pio XII ha affermato che il culto del Sacro Cuore esprime in modo eccellente, come una sintesi sublime, il nostro culto a Gesù Cristo» (n. 79).
Francesco ripete con Pio XII, che «la devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana (…) tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo» (n. 83) e fonda su Pio XIil concetto teologico di riparazione per i peccati del mondo (nn. 153-156), «in quanto i peccati e i delitti degli uomini, in qualsiasi tempo commessi, furono la causa per la quale il Figlio di Dio fosse dato a morte» (n. 155). Seguono lunghe citazioni di grandi santi, quali san Francesco di Sales (nn. 114-118), santa Margherita Maria Alacoque (nn. 119-124), san Claudio de la Colombière (nn. 125-128), san Charles de Foucauld (nn. 130-132), santa Teresa di Gesù Bambino (nn. 133-142). Francesco conclude: «Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità» (n. 219).
Il documento finale del Sinodo e l’enciclica Dilexit nos sembrano provenire da due pianeti diversi, ma la contraddizione è stata e resta la cifra di questo pontificato. Sarebbe un esercizio inutile quello di cercare del buono nel Documento sinodale o del cattivo nell’enciclica papale. Come deve regolarsi il cattolico di fronte a due documenti tanto contrastanti? Il buon senso suggerisce questo:
Ignorare il Documento finale del Sinodo, che oltretutto non ha alcun valore normativo. La lettura di questo testo può solo confondere le idee ai fedeli fin troppo disorientati.
Rispondere positivamente all’appello al Sacro Cuore di Gesù, attraverso le pratiche che Franceso raccomanda. «La proposta della Comunione eucaristica il primo venerdì di ogni mese, anche oggi farebbe molto bene, perché in mezzo al vortice del mondo attuale e alla nostra ossessione per il tempo libero, il consumo e il divertimento, i telefonini e i social media, dimentichiamo di nutrire la nostra vita con la forza dell’Eucaristia» (n. 84). «Allo stesso modo, nessuno deve sentirsi obbligato a fare un’ora di adorazione il giovedì. Ma come non raccomandarla? Quando qualcuno vive questa pratica con fervore insieme a tanti fratelli e sorelle e trova nell’Eucaristia tutto l’amore del Cuore di Cristo, “adora insieme con la Chiesa il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col Cuore del Verbo Incarnato il genere umano”»(n. 85).
Ricordare che la devozione al Sacro Cuore di Gesù è inseparabile da quella al Cuore Immacolato di Maria, che la Madonna stessa ha raccomandato a Fatima. Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario dell’enciclica Ad Coeli Reginam dell’11 ottobre 1954, in cui Pio XII estese il culto del Cuore Immacolato di Maria a tutta la Chiesa, ordinando di rinnovare ogni anno la consacrazione del genere umano al Cuore Immacolato di Maria.
La Madonna, il 10 dicembre 1925, mostrando a suor Lucia il Suo Cuore coronato di spine, senza che nessuno faccia nulla per riparare i peccati chiese di essere consolata attraverso la devozione dei primi sabati del mese. La «devozione della consolazione» è uno dei cardini dell’enciclica di papa Francesco, che chiede di «recuperare questa espressione dell’esperienza spirituale sviluppata attorno al Cuore di Cristo: il desiderio interiore di dargli consolazione» (n. 152).
A chi praticherà questa devozione, attraverso i primi venerdì e i primi sabati del mese, la Madonna assicura la grazia della perseveranza finale. Una grazia preziosissima nei tempi di confusione che attraversiamo.
VIVA BERGOGLIO
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