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martedì 5 novembre 2024

Magister. "Tutto, tranne che sinodale. La strana Chiesa voluta da papa Francesco" - #sinodo #sinodalità

Grazie a Sandro Magister per questa analisi sul Sinodo appena terminato. 
Una gestione della Chiesa sempre più somigliante alla Corea del Nord.
"E [Francesco] infatti impose il segreto sugli interventi in aula, dei quali veniva reso pubblico solo un generico elenco dei temi toccati, senza dire i nomi dei rispettivi intervenuti [...] E come discuterne? Non più in assemblee plenarie, e nemmeno in circoli linguistici, ma in decine di tavoli di una dozzina di persone ciascuno, in un’aula delle udienze allestita come per una grande cena di gala (vedi foto). Sempre col vincolo del segreto su ciò che ciascuno diceva o ascoltava nel rispettivo tavolo. È difficile immaginare un sinodo più disgregato e imbavagliato di così, l’esatto contrario della tanto decantata nuova sinodalità".
Luigi C.


4-11-24

Tre anni di discussioni senza fine, coronati da un documento che finale non è. È questo il sinodo voluto e modellato da papa Francesco con l’apparente proposito di rifondare la Chiesa come Chiesa di popolo, di tutti i battezzati.
Quale sarà il seguito è difficile pronosticare. Francesco ha espunto da quest’ultimo sinodo tutte le questioni su cui le divisioni erano forti, delegandole a dieci commissioni che andranno avanti a discuterne fino alla prossima primavera. Dopo di che deciderà lui il da farsi.
Ma quel che è certo è che intanto egli ha modificato radicalmente la forma dei sinodi.

Nati con Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II col proposito di attuare una guida più collegiale della Chiesa, con i vescovi periodicamente chiamati a consulto dal successore di Pietro, i sinodi sono stati fino a tutto il pontificato di Benedetto XVI momenti rivelatori degli orientamenti della gerarchia della Chiesa sulle questioni di volta in volta poste in esame.

Come in Concilio, le discussioni avvenivano quasi sempre in assemblea plenaria, dove tutti potevano parlare a tutti e ascoltare tutti. Il sinodo era a porte chiuse, ma ogni giorno “L’Osservatore Romano” pubblicava le sintesi di tutti gli interventi con i nomi dei rispettivi oratori, e per i giornalisti accreditati si tenevano dei briefing in varie lingue nei quali dei testimoni incaricati fornivano ulteriori informazioni sul dibattito avvenuto nelle ore precedenti. Ciascun vescovo era libero di rendere pubblico il testo integrale del suo intervento in aula e di riferire ciò che voleva degli interventi ascoltati.

Certo, i sinodi erano puramente consultivi e il solo a trarre delle conclusioni normative era il papa con l’esortazione postinodale che pubblicava qualche mese dopo la fine dei lavori.

Ma quello che un vescovo diceva in aula poteva comunque avere una notevole risonanza nell’opinione pubblica, dentro e fuori la Chiesa. Fortissima, ad esempio, fu l’eco che ebbe l’intervento del cardinale Carlo Maria Martini. gesuita, insigne biblista e arcivescovo di Milano, pronunciato in aula il 7 ottobre del 1999, in un sinodo riguardante la Chiesa in Europa.

Il cardinale disse di aver fatto un sogno: “un confronto universale tra i vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee. Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del vangelo e dell’eucarestia. Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”.

Per affrontare questi temi, proseguì il cardinale Martini, “forse neppure un sinodo potrebbe essere sufficiente. Alcuni di questi nodi necessitano probabilmente di uno strumento collegiale più universale e autorevole, dove essi possano essere affrontati con libertà, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell’umanità intera”.

Vi fu chi lesse in queste parole l’auspicio di un nuovo Concilio. In ogni caso, quell’intervento del cardinale Martini coglieva nel vivo, individuando i temi su cui la Chiesa si sarebbe divisa nei decenni successivi e oggi più che mai, non solo in Germania, dove il locale “cammino sinodale” ha spinto lo scontro ai limiti della rottura, ma nella stessa Chiesa universale, nell’ultimo come nei precedenti sinodi convocati da papa Francesco.

Nel primo sinodo da lui convocato in due sessioni, nel 2014 e nel 2015, sul tema della famiglia, Francesco aveva un suo obiettivo evidente, la liberalizzazione della comunione eucaristica ai divorziati risposati. Finalizzò a questo scopo un preliminare concistoro di tutti i cardinali, nel febbraio del 2014, ma incontrando da subito così forti e autorevoli opposizioni da indurlo a mettere a freno, nel sinodo, la trasparenza della discussione.

E infatti impose il segreto sugli interventi in aula, dei quali veniva reso pubblico solo un generico elenco dei temi toccati, senza dire i nomi dei rispettivi intervenuti.

La notizia della vivacità dello scontro pro o contro la comunione ai divorziati risposati trapelò comunque all’esterno. E questo indusse il papa a risolvere la questione, nell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”, in modo ambiguo, con un paio di note a piè di pagina che alcuni episcopati interpretarono come autorizzazione a dare la comunione mentre altri rimasero contrari, salvo poi dire, in una sua lettera autografa all’episcopato argentino successivamente elevata al rango di magistero, che l’interpretazione giusta era la prima.

Nel successivo sinodo sull’Amazzonia tenuto nel 2019, la questione più dibattuta fu l’accesso al sacerdozio di uomini sposati, che Francesco aveva dato segno più volte di voler sperimentare, ma che alla fine bocciò, con grande disappunto dei vescovi che la sostenevano.

E poi è stata la volta del sinodo sulla sinodalità, tema, quest’ultimo, che Francesco è riuscito ad anteporre alle questioni che inizialmente si erano presa la scena sull’onda del “cammino sinodale” di Germania: dall’omosessualità al sacerdozio femminile, dalla fine del celibato del clero alla democratizzazione del governo della Chiesa.

Tolte tali questioni dall’agenda e affidate dal papa a commissioni da lui create “ad hoc” e dall’incerto futuro, al sinodo non è rimasto che discutere su come fare della Chiesa una Chiesa sinodale.

E come discuterne? Non più in assemblee plenarie, e nemmeno in circoli linguistici, ma in decine di tavoli di una dozzina di persone ciascuno, in un’aula delle udienze allestita come per una grande cena di gala (vedi foto). Sempre col vincolo del segreto su ciò che ciascuno diceva o ascoltava nel rispettivo tavolo.

È difficile immaginare un sinodo più disgregato e imbavagliato di così, l’esatto contrario della tanto decantata nuova sinodalità.

Ma c’è di più. Perché tra una sessione sinodale e l’altra, e proprio su una questione sottratta alla discussione dei convocati, è stato il papa a decidere in solitudine, con un editto emesso da quel suo “alter ego” messo alla testa del dicastero per la dottrina della fede, il cardinale argentino Victor Manuel Fernández.

Con la dichiarazione “Fiducia supplicans” Francesco ha autorizzato la benedizione delle unioni omosessuali. Col risultato di sollevare un’imponente ondata di contestazioni e di rifiuti, specie tra i vescovi dell’unico continente nel quale la Chiesa cattolica è in crescita, l’Africa.

Un’altra solitaria intromissione del papa in una questione disputata è avvenuta sull’ordinazione delle donne al diaconato. In un’intervista a una rete televisiva americana, Francesco ha fatto capire che con lui papa tali ordinazioni non si faranno.

Anche qui sollevando diffuse proteste che hanno trovato espressione anche nel sinodo dello scorso ottobre, al punto da provocare una nuova discesa in campo del papa tramite il fido Fernández, con la temporanea sospensione di tutte le regole del segreto che imbavagliavano il sinodo.

Fernández ha preso la parola il 21 ottobre, in una delle rare giornate in cui il sinodo era riunito in assemblea plenaria. Ha giustificato per ragioni di salute l’assenza sua e del segretario della sezione dottrinale del suo dicastero da un precedente incontro in sinodo sullo stesso argomento e ha ribadito che per il papa “la questione del diaconato femminile non è matura”, mentre ben più importante per lui è la questione generale del ruolo delle donne nella Chiesa.

Il testo integrale dell’intervento di Fernández è stato reso pubblico, unico caso in un mese di discussioni sotto segreto, ed è stato dato appuntamento per un ulteriore incontro in sinodo sullo stesso argomento, che effettivamente si è svolto nel pomeriggio del 24 ottobre, per un’ora e mezza, con un centinaio di presenti a interloquire con il cardinale.

Anche qui con uno strappo alla regola del segreto, perché dell’incontro è stata diffusa l’intera registrazione audio, con le domande rivolte al cardinale, tutte più o meno polemiche, e le sue risposte qua e là imbarazzate.

Insomma, in un mese di sinodo questo è stato l’unico momento che ha avuto una risonanza esterna degna di nota, e tutto per una solitaria, antisinodale presa di posizione del papa, accompagnata dalla temporanea rottura – riguardante solo tale intervento – di ogni vincolo di segreto da lui imposto all’assise.

Un’anomalia che si è ripercossa anche nel documento finale, dove l’unico paragrafo che ha registrato un significativo numero di voti contrari (97 no contro 258 sì) è stato quello in cui c’era scritto che sulla questione delle donne diacono “occorre proseguire il discernimento”.