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giovedì 5 settembre 2024

Crisi demografica, immigrazione e carità cristiana #300denari

Cari amici del blog 300 denari, 
abbiamo già avuto modo di approfondire, dati alla mano, la grave crisi demografica che attanaglia l’Italia (e, sebbene con una leggera minore incidenza, l’Europa) nonché le rilevanti conseguenze economico-sociali che ciò potrà comportare entro il 2050 (abbandono territoriale, minore domanda interna e minori investimenti, minore fabbisogno abitativo e riduzione del valore del patrimonio immobiliare, minore accumulazione del risparmio, ecc…).

Ritorniamo sul tema, sollecitati dalle riflessioni (reperibile qui per esteso) del Governatore della Banca d’Italia, dott. Fabio Panetta, alla 45° edizione del “Meeting per l’amicizia tra i popoli” il quale ha anch’egli ricordato che «le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani. Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici» (in nota si precisa che «oggi in Europa ci sono circa tre persone in età lavorativa per ogni anziano, mentre nel 2050 ve ne saranno meno di due»). Tra le varie proposte per contrastare le conseguenze della denatalità, quella che ha ricevuto maggiori attenzioni da parte della stampa, v’è l’adozione di «misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari» le quali «costituiscono una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura. L’ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all’interno dell’Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l’integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro».

La soluzione proposta (condivisa in passato anche negli ambienti Vaticani) appare di corto respiro in quanto si occupa di (provare a) curare i “sintomi esteriori” della malattia (i.e. la denatalità) senza in alcun modo indagarne le cause prossime e remote. Il vero interrogativo da porsi è: perché, sebbene si viva in una “Società Signorile di Massa” (cit. Luca Ricolfi), larga parte della popolazione (più o meno giovane) ritiene non necessario e superfluo mettere al mondo figli?

Una riposta compiuta meriterebbe una trattazione che trascende la natura e la finalità del presente post. Ad ogni buon conto, non è revocabile in dubbio che l’attuale “glaciazione demografica” origina non tanto da possibili difficoltà economiche (approfondimenti qui), bensì costituisce il naturale compimento nell’odierno Occidente di un percorso culturale-antropologico mortifero fondato sulla deificazione dell’“autodeterminazione individuale” (espressione ricorrente per giustificare dall’aborto fino all’eutanasia) che, rinnegando un senso dell’esistere trascendente (ciascun essere umano è figlio di Dio e deve concorre alla realizzazione del Suo progetto), finisce per connotare (anche) la famiglia e la genitorialità come meri “desideri” (o, più correttamente, “capricci”) privati, rispetto ai quali la collettività versa in uno stato di assoluta soggezione.

Ciò ha comportato (oramai da diversi decenni) un’evidente deresponsabilizzazione individuale con l’effetto di poter credere che vivere in una condizione “signorile” sia un diritto acquisito (garantito dallo stato) e che l’ordinata procreazione di figli sia del tutto irrilevante sul piano del benessere sociale sia inter-generazionale che intra-generazionale. Tuttavia, come stiamo sperimentando, così non è.

Il tentativo di far ricorso a fenomeni migratori “organizzati” per (provare ad) attenuare gli effetti economici di tale processo culturale-antropologico, dovrebbe stimolare alcuni interrogativi che nel dibattito quotidiano vengono spesso pretermessi:
(i) è corretto provare a scaricare le esternalità economiche negative di tale processo culturale-antropologico su soggetti e società (si pensi all’Est Europa, all’Africa o al Sud America) che ad esso non hanno aderito (o, talvolta, hanno espressamente osteggiato)?
(ii) perché milioni di persone (spesso giovani) dovrebbero abbandonare i loro territori e i loro cari per venire a lavorare in Italia (o in Europa)?
(iii) favorire l’immigrazione di milioni di persone verso una nazione (o un continente) che convintamente e militantemente ha abbracciato la strada del “suicidio demografico” al solo fine di permettere ai senili residenti un perdurante benessere economico, è veramente conforme a carità Cristiana? Non sarebbe invece cristianamente doveroso favorire la crescita economica di quelle nazioni e continenti in cui tali giovani già abitano?
(iv) se non si inverte la rotta sul piano culturale-antropologico, l’accoglienza di immigrati (indipendentemente dalla valutazione di altre questioni) è veramente la soluzione (o una delle principali soluzioni) per risolvere i problemi economici causati dalla denatalità?
Come noto, la gestione dei fenomeni migratori suscita ampi dibatti anche in ambito cattolico. Segnaliamo il recente scritto di Davide Rondoni per Tempi (disponibile qui) il quale si chiede se anche oggi: “per combattere la miseria terribile delle migrazioni è meglio andare in mare con seguito di giornalisti, o seguire la linea secolare dei missionari che andavano a creare sviluppo e civiltà in terre difficili?


Filippo
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