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giovedì 29 agosto 2024

Perché per amare la “povertà” bisogna amare la “bellezza”? - #poverta #bellezza


Contro i pauperisti di oggi.
Luigi C.


C’è una differenza tra cura dell’essenza ed essenzialismo, tra cura della povertà e pauperismo, tra rispetto della forma e formalismo.

San Francesco d’Assisi –che di povertà se ne intendeva: chi più di lui?- pur obbligando i suoi frati alla massima povertà, voleva che nelle chiese vi fossero oggetti preziosi. Nella Prima Lettera ai custodi scrive: “Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Signore Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il Santissimo Corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione.” E un chiaro segno è rimasto. Se si va venerare il corpo di santa Chiara, prima di arrivare alla sua tomba (almeno un tempo era così) si possono ammirare alcuni paramenti liturgici che santa Chiara in persona e altre clarisse contemporanee di san Francesco cucivano per i sacerdoti dell’Ordine. Ebbene, questi paramenti sono abbelliti con oro zecchino, perché così voleva il Santo di Assisi. E ciò non certo per sciocca o inopportuna ostentazione, o –peggio- per togliere qualcosa ai poveri, ma per un altro e ben più importante motivo. San Francesco, pur non essendo sacerdote, pur non essendo teologo, nella sua sapienza santa sapeva bene cosa accade nella Messa e quindi anche la straordinarietà, la portata misterica della Messa stessa, laddove le categorie del tempo e dello spazio vengono trascese e la dimensione dell’ordinarietà sublimata nell’Eterno. Ogni Messa è la ri-attualizzazione vera (anche se incruenta) del Sacrificio di Cristo sulla Croce, quell’unico Sacrificio accaduto in quell’anno preciso e in quel giorno preciso sul Calvario.

Non sottolineare il Mistero con la giusta forma è impoverire il Mistero stesso. Pretendere poi di esprimere lo straordinario con l’ordinario, cioè con una forma costante nella quotidianità, è appiattire lo straordinario stesso. Se nei secoli la Chiesa avesse fatto così, non avremmo avuto la Cappella Sistina, la Pietà di Michelangelo, Giotto, Cimabue … e la lista sarebbe lunghissima.

Ma –potrebbe obiettare qualcuno- un uso un po’ troppo accentuato della bellezza porterebbe a distogliere risorse utili per alleviare l’indigenza umana. Non è così. Se si porta un cagnolino dinanzi alla Pietà di Michelangelo, starebbe lì indifferente, e poi con ogni probabilità alzerebbe la zampa … Un uomo no. L’uomo –ogni uomo: ricco o povero, colto o ignorante- dinanzi alla bellezza si commuove, sente che c’è qualcosa di se stesso che ne viene coinvolto: è la sensibilità. Non è un caso che la parola “sensibilità” scaturisca da “senso”. Ciò che si sperimenta, plasma l’interiorità umana. Ciò che si vede, muove o può muovere l’intimo dell’uomo. Da qui si capisce perché l’arte è utile. Si tratta di un’utilità indiretta, ma che c’è. L’uomo, contemplando la Bellezza, affina la propria sensibilità e, divenendo più sensibile, riesce a compatire maggiormente e molto più efficacemente le sofferenze altrui.

E poi: se pensiamo a Dio, se mettiamo Dio al primo posto, se offriamo a Dio cose belle, Dio certamente penserà a tutti, poveri e ricchi.

Ritenere che il bello sia superfluo è come ritenere che all’uomo basti mangiare; e per giunta mangiare solo per riempire il proprio ventre. Ritenere che il bello sia superfluo è negare un passaggio straordinario del Vangelo allorquando il povero e analfabeta Pietro, colui che doveva stare ore ed ore sulla barca per pescare qualcosa e sfamare la famiglia, si rivolge a Gesù che sta per andarsene, lo blocca e gli dice: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Giovanni 6). Anche Pietro, nella sua povertà, nella sua semplicità culturale, in un momento in cui ancora non aveva capito nulla del mistero di Cristo (si è prima della Pentecoste), coglie la necessità della dimensione dell’Eterno, una necessità molto più grande del portare a casa i pesci pescati.

La ricerca della bellezza è universale. Il bisogno di significare il Mistero con la bellezza è altrettanto universale.

La semplicità in alcune circostanze occorre. E’ necessaria per la vita di tutti i giorni, per significare la quotidianità, ma non può rimanere sola. Occorre qualcosa di più.

Occorre la poesia della bellezza!

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