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sabato 27 luglio 2024

Processo don Rugolo insabbiato dalla Curia. Un “affare Rupnik” bis?

Un altro scandalo coperto, col beneplacito del Vaticano? 
Ringraziamo Franca Giansoldati de Il Messaggero (25/7/2024) per averci segnalato il suo articolo (sotto) su questo che sembra un “caso Rupnik bis” per il modo in cui é stato gestito, nel tentativo di “insabbiarlo”. 
Si tratta del processo a don Rugolo (condannato solo in primo grado dal Tribunale di Enna) e delle responsabilità della Curia (condannata anch’essa al risarcimento) perché non se ne parlasse. O peggio, per proteggerlo. 
A destra e in calce al post la foto dell’ intervista di  Domenico Agasso de La Stampa (26/7/24) al mons. Gisana (che non era il Vescovo di Piazza Armerina ai tempi dei presunti fatti e che appena insediato dispose un’ investigativo e poi  dispose il trasferimento del sacerdote).
Sempre in calce un trafiletto da Il Corriere a firma di Lara Sirignano.
Quello che sgomenta di più è che sembra che dal Vaticano fosse arrivato l’ordine di proteggere il sacerdote (qui un articolo di Korazym del 25/7/2024 sul punto).
Ricordiamo che la stragrande maggioranza dei nostri sacerdoti sono esemplari educatori e molto bene fanno alla società anche in realtà complicate.
Roberto 

Qui l’articolo di F. Giansoldati: 

Il “processo a don Rugolo” – dal nome del prete siciliano condannato in primo grado per violenza sessuale aggravata su minori - è destinato a fare da spartiacque e aprire una breccia poiché i magistrati italiani hanno individuato anche le coperture del suo vescovo, monsignor Rosario Gisana, il quale ben consapevole di quello che stava accadendo ha cercato di coprire il religioso. Lui stesso, del resto, in una intercettazione aveva ammesso: «Ho insabbiato». Gisana, nel dicembre scorso, era stato elogiato a sorpresa dal Papa e durante una udienza aveva cercato di fare quadrato: «Bravo, questo vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un bravo vescovo».

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IL CASO

Di fatto è la prima volta che una Procura evidenzia con grande forza la responsabilità di una diocesi: «Appare sussistere la corresponsabilità della curia nella persona del vescovo il quale, evidentemente aveva autorizzato padre Rugolo, in qualità di figura di riferimento della sua associazione ad operare all'interno della chiesa, consentendogli in tal modo, con la piena compiacenza della diocesi, di creare occasioni di incontro e di frequentazione con i giovani adolescenti (…) dall'istruttoria sono emersi elementi chiari e univoci a sostegno di una condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Gisana che rendono legittima la condanna al risarcimento del danno della curia, nella sua qualità di responsabile civile, per i pregiudizi cagionati dagli abusi sessuali perpetrati da padre Rugolo». Questo passaggio fondamentale è contenuto nelle motivazioni della sentenza di condanna al prete di Enna che sono state appena diffuse.

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La vicenda giudiziaria affrontata a porte chiuse in tribunale è affiorata a più riprese nelle cronache, mostrando spesso particolari scabrosi, e una omertà di fondo ingiustificata a cui va aggiunto persino l'ostinato silenzio della Cei e del Vaticano: in tutto questo tempo non hanno mai preso posizione, né tantomeno ipotizzato sanzioni. Quanto al sacerdote, da un punto di vista canonico, non sembra sia stato ancora ridotto allo stato laicale. Per certi versi questa brutta storia rientra nella cosiddetta "anomalia italiana" rispetto a quello che da tempo accade in Francia, in Germania, in Austria o negli Stati Uniti dove non c'è più posto per chi insabbia. 

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Monsignor Rosario Gisana, vescovo di Enna, già nel 2016 «e negli anni successivi in cui don Rugolo seguitava a perpetrare abusi sessuali ai danni di Giulio e di Paolo (i nomi sono di fantasia ndr) era pienamente consapevole del fatto che l'imputato era stato segnalato a lui per avere tenuto, nel recente passato, condotte simili con ragazzi giovanissimi». Sempre dalle motivazioni scritte dai magistrati viene aggiunto a corredo: «Questa circostanza veniva ammessa dallo stesso Gisana nel corso del suo esame, oltre ad essere emersa dalle deposizioni di diversi testimoni». 

Davanti ai giudici il vescovo aveva anche ammesso di aver parlato con don Rugolo prima ancora di incontrare i genitori della vittima e la vittima stessa. In una intercettazione telefonica Gisana, sempre nel 2016, mentre «rideva nervosamente» sui fatti, in dialetto siciliano affermava che sono cose che fanno parte del percorso. Aggiungendo che «gli omosessuali amano in maniera viscerale o odiano in maniera viscerale e che questa è una una vendetta di una persona che è stata respinta». In una altra parte ripeteva che non poteva abbandonare il suo prete, «mi dovete scusare». In una conversazione con l'imputato che chiamava “gioia mia” mostrava di essere consapevole di quello che stava accadendo: «Ora il problema non è solo tuo, il problema è anche mio perché ho insabbiato questa storia». 

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Per i magistrati il vescovo «ometteva con ogni evidenza qualsivoglia doverosa seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori, nonostante la titolarità di puntuali poteri conferiti nell'ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitava l'attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione. Sarebbe stato doveroso da parte della autorità religiosa alla guida della diocesi non solo segnalare alle autorità religiosa queste denunce secondo le procedure esistenti nel diritto canonico ma ancora prima di precludere anche in via cautelativa a Rugolo di coordinare e gestire numerosi gruppi di giovani in attività ricreativa a sfondo religioso». Nessun controllo veniva così attivato a tutela dei ragazzi e Rugolo quindi commetteva impunemente abusi «sessuali ai danni di due giovani adolescenti, consapevole di poter contare sull'appoggio dei vertici religiosi che al contrario contribuivano a rafforzare all'esterno l'immagine di padre Rugolo quale esponente di spicco del clero locale». La conclusione della magistratura è lapidaria: «L'imputato e la curia vanno condannati a rifondere alle medesime parti civili le spese di costituzione e difesa».

Un precedente nella lotta contro la pedofilia e gli abusi tra il clero destinato ad aprire una nuova fase in Italia, nell'immobilismo generale della Chiesa italiana poco propensa a imitare il percorso fatto dagli altri paesi europei.

IL PAPA

Il Papa poco prima della sentenza, nel dicembre scorso, ricevendo in vaticano una associazione religiosa siciliana, volle elogiare il vescovo di Piazza Armerina, monsignor Gisana: «Bravo, questo vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un bravo vescovo». Francesco non aveva aggiunto altro ma le sue parole avevano prodotto una certa eco proprio perchè era appena stato rinviato a processo don Rugolo. Secondo le indagini, coordinate dalla Procura e condotte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e dal Commissariato di Gela, avviate nel 2022, la vittima aveva messo al corrente il vescovo degli abusi subiti. 

MOTU PROPRIO

Un motu proprio del 2016 di Papa Francesco indica che i vescovi che sono stati ritenuti negligenti dovrebbero essere rimossi dal loro incarico. Spetta naturalmente ad una indagine canonica giudicare il loro comportamento. In pratica nel provvedimento è stato stabilito che, tra le “cause gravi” che il diritto canonico già prevede per la rimozione dall’ufficio ecclesiastico (di vescovi, eparchi o superiori maggiori), va compresa anche la negligenza rispetto ai casi di abusi sessuali. La decisione deve comunque sempre essere sottomessa all’approvazione del Pontefice.

Sotto: la Stampa:

*
Sotto: Il Corriere 


1 commento:

  1. Nel tutto, non ho capito perché vadano risarcite delle associazioni ... Risarcire e rendere giustizia alle vittime, punire l'abusatore, colpire severamente chi "ha insabbiato", si. Risarcire organizzazioni che sono nate per parassitare su queste tragedie, anche no.

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