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sabato 22 giugno 2024

Le immagini sacre dopo il Concilio di Trento

La grande arte sacra cattolica.
Luigi C.



Dopo la profonda crisi iconoclasta dei secoli VIII e IX, l’espressione artistica religiosa in territorio europeo fu nuovamente colpita dalla Riforma protestante, che indusse la Chiesa di Roma ad aprire nel 1545, nella città di Trento, un concilio per affrontare tutte le questioni dibattute in quegli anni. Tra le molte gravi controversie, la Chiesa dovette controbattere la condanna dell’uso delle immagini avanzata dai protestanti, nuovi iconoclasti del XVI secolo, eppure allo stesso tempo ebbe bisogno di regolamentare la creazione e l’uso delle arti figurative.
Perciò nel corso della XXIV sessione del 3 dicembre 1563, alla vigilia della definitiva chiusura dei lavori, fu approvato il nuovo decreto sulle immagini sacre che evidenziava soprattutto il ruolo pedagogico delle stesse nei confronti dei fedeli. La Chiesa cattolica indicò chiaramente in quell’occasione l’importanza dell’arte nella vita religiosa, nella tradizione cultuale e in definitiva nella guida spirituale delle anime.

Oggi, a distanza di 450 anni dalla pubblicazione dei decreti tridentini, nella stessa città del concilio cinquecentesco, è allestita fino al prossimo settembre una mostra nel Museo Diocesano, in cui la selezione delle opere d’arte, curata da Domizio Cattoi e Domenica Primerano, esprime proprio quel fine edificante che l’arte da sempre onora all’interno della tradizione cattolica. L’idea, che supporta un’iniziativa di questo tipo, prende le mosse dall’inventariazione di tutte le opere e immagini sacre presenti nelle chiese della Diocesi Tridentina, che ha fornito una ricca base di dati, utile per osservare l’evolversi dell’arte religiosa su quella porzione di territorio.

Questo approccio di studio regionale, già auspicato negli anni Sessanta del secolo scorso dallo studioso Paolo Prodi, contrasta l’andamento delle indagini dei decenni precedenti in cui tendenzialmente si concepiva la Controriforma come un evento culturale monolitico e privo delle essenziali sfumature che ogni ambito territoriale comprendeva. In quest’ottica, gli studi di raggio ridotto, concentrati sulle singole Diocesi, permettono di approfondire l’impatto vero prodotto sulla società e sugli artisti dal decreto tridentino della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei santi e delle sacre immagini. La mostra in questione diviene così una sorta di progetto pilota, che probabilmente sarà esteso dalla Associazione Musei Ecclesiastici italiani anche alle altre regioni e Diocesi.

I temi della mostra

Il percorso espositivo si apre con due sezioni introduttive a carattere storico-documentario: le varie edizioni della Bibbia, dalla prima pubblicazione illustrata in Italia (1489) alla Bibbia cosiddetta “Sistina” (1590), si aggiungono al novero dei più noti trattati post-conciliari sulle immagini oltre che all’edizione a stampa dei decreti, realizzata nel 1564. Questi documenti concorrono a spiegare alcune delle principali questioni affrontate in quei primi anni dai riformatori cattolici e di conseguenza le loro applicazioni da parte di artisti e committenti. La presenza delle Sacre Scritture sia in latino che in lingua volgare, tedesca o italiana, sottolinea la posizione di Lutero sulla necessaria traduzione del testo sacro. Con la decisione conciliare di rigettare ogni altra versione della Bibbia che non fosse la Vulgata latina, si ratificava implicitamente la grande responsabilità delle immagini al servizio della storia sacra.

Alla luce di tali considerazioni le opere d’arte possono essere lette con il filtro di grandi trattatisti quali Giovanni Andrea Gilio, Carlo Borromeo, Gabriele Paleotti, Jan van der Meulen (meglio conosciuto come Molanus) e più avanti anche Federico Borromeo, i quali indicarono le regole di un vero e proprio linguaggio visivo, affinché il prezioso patrimonio culturale della Chiesa fosse tramandato attraverso le arti figurative.

Le opere, che si susseguono in mostra, sono le testimonianze degli effetti che tale impostazione ebbe nel concreto della realizzazione artistica. Alle grandi stampe che riproducono due dei più controversi terreni di scontro in materia di raffigurazioni congrue con i dettami tridentini, ossia il Giudizio Universale di Michelangelo e la Cena in casa di Levi di Paolo Veronese, si aggiungono opere di artisti attivi nel territorio di Trento che applicarono in modi differenti e non sempre organici il nuovo codice espressivo. Tuttavia la “vestizione degli ignudi” del Giudizio, attuata da Pio IV alla morte di Michelangelo nel 1564, e il processo cui fu sottoposto Veronese, per la suo poco ortodossa com­po­sizione, furono eventi esemplari per gli artisti a venire.

Il principato vescovile di Trento – avamposto del Cattolicesimo per la sua prossimità con i territori, in cui era esploso il protestantesimo – si concentrò sul ruolo edificante delle immagini, mettendo in evidenza alcuni temi principali: la Crocifissione ne è il primo esempio. Essa viene estrapolata dal contesto narrativo, per divenire elemento fortemente iconico, un simbolo austero in grado di assumere in sé tutti gli insegnamenti utili alla devozione.

La scena diventa dunque più intima, nel tentativo di instaurare una rinnovata vicinanza con il fedele, irrigidendo tuttavia la necessaria gerarchia tra uomo e divinità. Lo stesso è riscontrabile nelle raffigurazioni di Maria, che ricopre insieme a Cristo il delicato ruolo di mediazione tra i Cieli e il mondo terreno, ruolo negatole categoricamente dai protestanti. Il culto della Madre di Dio venne esaltato, sia attraverso il racconto figurato degli episodi della sua vita terrena, sia nell’affermazione di Maria quale baluardo contro l’eresia: ad esempio, sono frequenti le composizioni che vedono la Madonna del Rosario apparire nell’alto dei cieli durante il trionfo della Lega Santa sulla flotta ottomana nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571).

Altro soggetto ampiamente riscoperto e diffusosi in epoca controriformata fu la rappresentazione dei santi, in osservanza del decreto tridentino che indicava proprio nel loro culto, avversato dai riformati, un mezzo per avvicinarsi al Signore. Vennero descritte le loro vite, le loro gesta, i sacrifici compiuti, l’abnegazione; furono riscoperte figure di santi della tradizione e al contempo furono promosse nuove beatificazioni e canonizzazioni (come quella di Carlo Borromeo), affinché ispirassero le genti. I santi costituivano gli exempla per l’innalzamento dell’anima dei devoti.

Immagini sacre: dalle chiese alle stampe

Queste immagini, oltre a trovarsi nelle chiese, circolavano anche in forma di stampe, diffondendosi rapidamente e in modo capillare, quali immagini devozionali, cui venivano spesso aggiunte nelle iscrizioni le preghiere e i passi delle Sacre Scritture. Il Concilio aveva chiarito che la raffigurazione artistica venerata dai fedeli nei luoghi di culto altro non era che un tramite e non in se stessa oggetto di adorazione. Allo stesso modo ogni copia, come quadretti o incisioni, delle opere presenti nelle chiese, diveniva solo un ricordo per il devoto; un modo per conservare viva la preghiera.

Infine, oltre alle opere direttamente connesse con il motivo devozionale, sono presenti composizioni dall’articolazione più complessa, inerenti alcuni problemi dibattuti in campo dottrinale, come ad esempio il tema dell’Eucaristia, della penitenza e del purgatorio.

Oggi la mostra del Museo diocesano di Trento ha il merito di condensare alcune delle più importanti problematiche discusse in epoca post-conciliare, di raccontarle attraverso la produzione artistica, riportando anche allo scoperto cicli figurativi poco conosciuti e di grande interesse presenti nel territorio circostante, nonché i santuari dell’Inviolata a Riva del Garda e della Madonna Lauretana a Castel Madruzzo e Villazzano, che godranno così di nuova attenzione da parte degli studiosi e dei fedeli.