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venerdì 28 giugno 2024

Francesco superstar sul teatro del mondo, un po’ meno nella Chiesa

Grazie a Sandro Magister per queste utilissime riflessioni: "Tra gli osservatori, il vaticanista statunitense John Allen ha fatto notare la contraddizione tra il prevedibile ridimensionamento del primato papale qualora si arrivasse a una rappacificazione tra le confessioni cristiane e invece il persistente, anzi, l’accresciuto trionfo dell’immagine del papa sulla scena planetaria: “la singola più preziosa risorsa che la cristianità ha a sua disposizione”. Sì, ma al prezzo di assimilarsi al mondo?".
Luigi C.

25-6-24
Il primato di Pietro e dei suoi successori è una delle grandi questioni irrisolte che dividono cattolici, protestanti e ortodossi.
Lo scorso 13 giugno il dicastero per l’unità dei cristiani presieduto dal cardinale Kurt Koch ha reso pubblico un documento di studio che traccia il bilancio dei trent’anni di dialogo ecumenico che hanno fatto seguito all’enciclica di Giovanni Paolo II “Ut unum sint” del 1995, col suo appello a trovare “insieme” le forme in cui il ministero del vescovo di Roma “possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”.
Il momento attuale non è certo dei più pacifici, nei rapporti tra le diverse confessioni cristiane, specie tra Occidente ed Oriente.
Intanto, però, c’è un primato del papa non “ad intra” ma “ad extra”, non dentro la Chiesa e le Chiese ma per un pubblico esterno sul grande teatro del mondo, che sta vivendo una stagione tutta particolare.
Di questo singolare “spectaculum” mondano papa Francesco ha dato un saggio straordinario già poche ore dopo la pubblicazione del dotto documento teologico sul primato papale.

Per valutare l’accaduto basta ripercorrere l’intensissima agenda papale del 14 giugno, una giornata mozzafiato per un uomo di 87 anni dalla salute malferma.

Il preludio è andato in scena di prima mattina, quando Francesco ha accolto in Vaticano, nella Sala Clementina, un centinaio di attori comici di quindici paesi del mondo, tra i quali una dozzina degli Stati Uniti, alcuni di grandissima notorietà, con Whoopi Goldberg in prima fila.

Il papa ha tenuto loro un discorso di elogio del sorriso. Ha concluso chiedendo di pregare per lui “a favore e non contro”, come da qualche tempo dice sempre più spesso. E poi li ha salutati ad uno ad uno.

L’elemento curioso di questa udienza è che nessuno dei convenuti ha saputo dare una spiegazione del perché avesse ricevuto quell’invito dal Vaticano, per l’esattezza dal dicastero per la cultura presieduto dal cardinale José Tolentino de Mendonça. L’invito era stato una sorpresa per tutti. Tra loro non mancavano dei fieri anticlericali e l’accolta non era certo simile a quella di una messa della domenica. Eppure all’invito hanno detto sì in massa. Tutto e solo a motivo del papa.

Difficile individuare chi d’altri, al mondo, gode di una simile capacità attrattiva, offrendo in cambio non tanto un discorso d’ufficio e una stretta di mano di pochi secondi, ma semplicemente la propria persona, ossia il proprio essere papa.

Francesco lo sa. E pensa anche che sulla scena del mondo ciò basti, che non è sempre tenuto a dare altro da sé che già non appartenga al linguaggio del mondo. Basta il suo essere papa, col suo potere d’immagine modellato da secoli di storia.

Quanto all’apprezzamento di Francesco per un paio di attori comici italiani a lui congeniali, fino a quasi identificarsi con essi, è sotto gli occhi di tutti. L’anziano Lino Banfi, promosso dal papa a “nonno d’Italia” e a profeta di saggezza, è suo frequente ospite a Santa Marta e alle liturgie pontificie. E il premio Oscar Roberto Benigni può vantare due momenti d’incontro col papa entrambi rivelatori: il primo il 7 dicembre 2022, in una calorosa udienza videoregistrata nella quale gli ha illustrato una sua trasmissione tv sul Cantico di san Francesco in programma il giorno dopo, festa dell’Immacolata; il secondo il 26 maggio 2024, addirittura con l’affidamento al comico di un’omelia supplementare di venti minuti in piazza San Pietro, al termine della messa celebrata da Francesco, nella giornata mondiale dei bambini.

Tornando all’agenda di Francesco del 14 giugno, al preludio mattutino dell’incontro con i comici è seguito un intermezzo anch’esso impegnativo, con due udienze di tipica competenza del papa: al presidente della Repubblica di Cabo Verde e ai vescovi della Guinea Equatoriale in visita “ad limina”.

Dopo di che Francesco è partito in elicottero alla volta della Puglia. dove nel resort di Borgo Egnazia si teneva il G7, ossia il gruppo intergovernativo informale che riunisce le principali sette economie dei paesi avanzati: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, questa volta con in più una decina di leader di altri importanti paesi e organizzazioni internazionali.

Ed è toccato nientemeno che al papa – invitato dal capo del governo italiano Giorgia Meloni, presidente di turno del G7 – aprire nel primo pomeriggio la sessione comune dei lavori, con un discorso sull’intelligenza artificiale come “strumento affascinante e tremendo” e sui “suoi effetti sul futuro dell’umanità”.

Francesco ha letto il discorso in una versione abbreviata, offrendo ai convenuti anche il testo integrale, scritto dal francescano Paolo Benanti che è un esperto della materia di fama mondiale con un incarico alle Nazioni Unite. Ha parlato per una ventina di minuti a tutti i leader in ascolto attorno a un grande tavolo ovale. Arrivando li aveva salutati ad uno ad uno, abbracciando con particolare calore il suo connazionale argentino Javier Milei e l’indiano Narendra Modi.

Già è stata una prima assoluta questa partecipazione del papa a un G7, con l’immancabile rituale foto di gruppo con lui al centro. Ma in più Francesco ha avuto, prima e dopo il suo discorso, ben nove incontri bilaterali, nell’ordine con Kristalina Georgieva, presidente del Fondo Monetario Internazionale, con l’ucraino Volodymyr Zelensky, col francese Emmanuel Macron, col canadese Justin Trudeau, con l’indiano Narendra Modi, con il turco Recep Tayyip Erdogan, con il keniano William Samuel Ruth, col brasiliano Luis Inácio Lula da Silva, con lo statunitense Joseph Biden.

Quando Francesco è rientrato in elicottero, a Roma era calata la notte e le immagini di lui al G7 avevano già fatto il giro del mondo, non tanto per il suo discorso – costruito con competenza ma del tutto circoscritto al tema, senza alcun riferimento a Dio e alla “legge morale naturale che Egli ha iscritto nel cuore dell’uomo” (Benedetto XVI, “Caritas in veritate”) – quanto piuttosto per la sua semplice presenza tra i potenti della terra, non solo dell’Occidente ma anche di paesi chiave del “Global South” come India e Brasile. In India, il suo abbraccio con Modi è subito diventato nel confronto politico interno un punto a favore del governo contro l’opposizione.

Tra i capi delle religioni non c’è nessuno al mondo che si avvicini a questo straordinario, stellare potere d’immagine del papa, impersonato persino all’eccesso da Jorge Mario Bergoglio pur in una stagione di declino del cristianesimo e di divisioni tra le Chiese.

Per percepire lo stacco tra lui e il suo predecessore, basti solo ricordare che a Benedetto XVI fu invece impedito, per l’opposizione di una folta schiera di docenti tra i quali un futuro premio Nobel, di mettere piede nell’università “La Sapienza” di Roma, dove il 17 gennaio 2008 aveva in programma un impegnativo discorso nel solco di quello di due anni prima a Ratisbona.

Tra gli osservatori, il vaticanista statunitense John Allen ha fatto notare la contraddizione tra il prevedibile ridimensionamento del primato papale qualora si arrivasse a una rappacificazione tra le confessioni cristiane e invece il persistente, anzi, l’accresciuto trionfo dell’immagine del papa sulla scena planetaria: “la singola più preziosa risorsa che la cristianità ha a sua disposizione”. Sì, ma al prezzo di assimilarsi al mondo?