Grazie a Sandro Magister per questa approfondita analisi della giustizia vaticana sotto Francesco. Una vera Corea del Nord: "A chi obietta che “prima sedes a nemine iudicatur”, ossia che il papa “non è giudicato da nessuno” (canone 1404 del Codice di diritto canonico), Cavana replica che tale principio “è da ritenersi compiutamente vigente solo nell’ambito delle prerogative spirituali e disciplinari, divinamente fondate, proprie del pontefice in quanto capo della Chiesa cattolica”, ma non nella comunità internazionale, dove egli gode unicamente “delle immunità personali proprie di un capo di Stato come pure di quelle riconosciute alla Santa Sede”".
QUI Franca Giansoldati su Il Messaggero: "Vaticano, canonisti in rivolta: «Nel tribunale del Papa non c'è giusto processo». E si allunga lo spettro della Corte Europea".
QUI Nicole Winfield di Associated Press: "Sono arrivate le prime analisi giuridiche esterne del “processo del secolo” del Vaticano, e sono critiche".
Luigi C.
18-3-24
“Bisogna avere coraggio mentre si è impegnati per assicurare il giusto svolgimento dei processi e si è sottoposti a critiche”, ha detto lo scorso 2 marzo papa Francesco nell’inaugurare il nuovo anno giudiziario del tribunale dello Stato della Città del Vaticano.Perché le critiche davvero non sono mancate, anzi, in questi giorni di marzo sono piovute come un diluvio, e da parte di giuristi e canonisti dei più autorevoli, secondo i quali in quello che è stato denominato in Vaticano il “processo del secolo” – la cui prima tornata è finita a dicembre con una raffica di condanne tra cui per la prima volta quella di un cardinale – “non solo non è stato garantito il giusto processo, ma si sono perpetrate violazioni gravissime del diritto, persino di quello divino”.
L’ultimo di questi interventi critici è un imponente saggio di 180 pagine pubblicato oggi su “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (una rivista specialistica i cui singoli articoli sono previamente sottoposti alla valutazione di esperti) col titolo “Il ‘processo del secolo’ in Vaticano e le violazioni dei diritti”, a firma di Geraldina Boni, docente di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Bologna e dal 2011 consulente del pontificio consiglio per i testi legislativi.
Il saggio è offerto alla lettura di tutti nel sito della rivista. Ma per avvertirne fin da subito l’origine e la portata, è utile leggere la “Annotazione preliminare” con cui la professoressa Boni lo introduce, riprodotta qui di seguito:
“Questo lavoro nasce come parere ‘pro veritate’ a sostegno dell’appello alla sentenza del Tribunale vaticano, datata 16 dicembre 2023, predisposto dagli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, che patrocinano il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
“È stata Sua Eminenza a contattarmi personalmente e a sollecitarmi affinché assumessi questo incarico. Ma, dopo aver letto tutti gli atti processuali, a spingermi a tale impegno non è stata la reverenza nei confronti del cardinale (che peraltro non ho mai incontrato), e neppure la convinzione progressivamente da me maturata della sua totale innocenza: ma la preoccupazione per la giustizia, quella stessa che mi spinge alla pubblicazione.
“Per questo dedico il presente lavoro – nella cui stesura mi hanno validamente affiancato Manuel Ganarin e Alberto Tomer – al mio maestro, il professor Giuseppe Dalla Torre e al caro professor Piero Antonio Bonnet, a lungo presidente, il primo, e giudice, il secondo, del Tribunale vaticano, colpiti entrambi da una morte precoce: che pur li ha preservati dall’assistere a vicende processuali che li avrebbero amareggiati.
“Non ci si inoltrerà in alcun modo in questioni sul merito delle accuse: la difesa predisposta dagli avvocati contesta dettagliatamente ed eccellentemente tutte le imputazioni addebitate al cardinale Becciu. Le ragioni di diritto sviluppate, tuttavia, presuppongono e si basano sugli atti processuali, come non può non essere: arrivando a conclusioni che inficiano radicalmente la validità di questo processo”.
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Ma già un paio di settimane prima del saggio di Geraldina Boni è uscito, sempre su “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, un altro intervento critico, anch’esso molto severo, del sistema giudiziario vaticano visto all’opera nel cosiddetto “processo del secolo”.
Il titolo è “Osservazioni sul processo vaticano contro il cardinale Becciu e altri imputati”. E l’autore è Paolo Cavana, professore di diritto canonico ed ecclesiastico alla Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma e anche lui discepolo di Giuseppe Dalla Torre. Il suo intento dichiarato è di esporre “alcune osservazioni del punto di vista strettamente giuridico” riguardanti i principi di diritto internazionale ai quali la Santa Sede ha aderito, ma risultati gravemente contraddetti nello svolgimento del processo.
L’esito finale dell’analisi è una bocciatura senza appello. E vale ripercorrerne qui i passaggi.
I principi di diritto internazionale assunti dal professor Cavana come misura della valutazione sono principalmente quelli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ai quali la Santa Sede ha aderito nel 2009 firmando con l’Unione europea la convenzione monetaria che l’autorizzava ad adottare l’euro come moneta ufficiale, e prima ancora quelli da essa fatti propri con la firma nel 1975 dell’Atto finale della conferenza di Helsinki, che a sua volta rimandava alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
A chi obietta che “prima sedes a nemine iudicatur”, ossia che il papa “non è giudicato da nessuno” (canone 1404 del Codice di diritto canonico), Cavana replica che tale principio “è da ritenersi compiutamente vigente solo nell’ambito delle prerogative spirituali e disciplinari, divinamente fondate, proprie del pontefice in quanto capo della Chiesa cattolica”, ma non nella comunità internazionale, dove egli gode unicamente “delle immunità personali proprie di un capo di Stato come pure di quelle riconosciute alla Santa Sede”.
E nemmeno vale far leva sulla potestà assoluta di governo, sia legislativa che esecutiva che giudiziaria, attribuita al papa “in forza del ‘munus’ petrino anche sullo Stato della Città del Vaticano”, come recita il preambolo della Legge fondamentale di tale Stato, emanata da Francesco lo scorso 13 maggio.
Cavana obietta che “la pretesa di mantenere immutati anche in ambito temporale gli attributi e le potestà che al papa competono in forza della sua sovranità spirituale di origine divina, dando vita a una forma di Stato teocratico e assolutista, ha comportato nella storia un prezzo altissimo per la Chiesa e per la sua missione di evangelizzazione, che non a caso ha indotto i pontefici, dal Concilio Vaticano II in poi, a vedere nella fine del potere temporale dei papi un evento provvidenziale. […] In ogni caso, una simile concezione assolutista del potere del papa in ambito temporale, risalente a un contesto storico ed ecclesiale assai diverso dall’attuale, appare oggi incompatibile con i principi, sottoscritti anche dalla Santa Sede, dello stato di diritto o ‘rule of law’ e, in ambito giudiziario, con quelli del giusto processo”.
Sono due, in particolare, i punti del sistema giudiziario vaticano su cui più si concentra la critica del professor Cavana.
Il primo ha a che fare con l’indipendenza dei giudici, “a motivo del carattere pervasivo dei poteri del pontefice”.
Scrive Cavana:
“Al riguardo la legislazione vigente dello Stato della Città del Vaticano prevede che i magistrati dipendono gerarchicamente dal sommo pontefice, che li nomina liberamente, designando ciascuno al proprio ufficio, e può revocarli ‘ad libitum’: non godono quindi della così detta inamovibilità, che costituisce una garanzia di indipendenza ampiamente recepita negli ordinamenti contemporanei.
“Inoltre, prima di assumere le loro funzioni, tutti i magistrati vaticani sono tenuti a prestare giuramento con la seguente formula: ‘Giuro di essere fedele e obbediente al sommo pontefice’. Infine, con disposizione risalente al 1929 e sempre confermata, la legislazione vaticana tuttora prevede che ‘il sommo pontefice, in qualunque causa civile o penale e in qualsiasi stato della medesima, può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare istanza’ (art. 21, secondo comma, Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano), in potenziale contrasto con il principio del ‘tribunale indipendente e imparziale costituito per legge’ (art. 6, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo).
“Sul piano normativo vi sono quindi una serie di elementi che potrebbero far dubitare dell’effettiva indipendenza dei giudici vaticani rispetto al potere sovrano. D’altra parte occorre riconoscere che fino al pontificato di Benedetto XVI, e per prassi costante, il soggetto sovrano, ossia il pontefice, non era mai intervenuto nell’ambito di processi in corso davanti ai giudici vaticani, né risulta abbia mai esercitato quelle facoltà speciali pur riconosciutegli astrattamente dalla legislazione vaticana”.
E siamo al secondo punto critico: i “plurimi interventi”, tecnicamente chiamati “rescripta”, con i quali papa Francesco ha modificato in corso d’opera lo svolgimento del processo, “ampliando le facoltà e i poteri del promotore di giustizia, organo dell’accusa, a scapito della sfera di libertà degli imputati”.
Cavana specifica che tali provvedimenti papali sono stati “adottati senza essere stati mai pubblicati, in contrasto con il principio di legalità, che impone la previa pubblicazione degli atti aventi forza di legge prima della loro entrata in vigore sia nell’ordinamento vaticano che in quello canonico, né comunicati alle parti e rimasti segreti fino alla loro produzione in giudizio da parte del promotore di giustizia, avvenuta – su esplicita richiesta del Tribunale – solo molto tempo dopo la loro emanazione e il loro utilizzo (quasi due anni dai primi rescritti e più di un anno dall’ultimo), e sottratti per tutto il corso del processo al vaglio di giurisdizioni esterne”.
L’emanazione da parte del papa di tali provvedimenti, aggiunge Cavana, “ha potenzialmente arrecato un grave ‘vulnus’ all’indipendenza e alla stessa imparzialità dei giudici. Infatti, tenendo conto del quadro normativo sopra richiamato, ovvero del giuramento di fedeltà che i magistrati vaticani sono tenuti a prestare al pontefice e dei poteri che a questi compete su di essi, tra cui quello di nomina e di revoca ‘ad libitum’, è evidente che tali ‘rescripta’ erano in grado non solo di condizionare fortemente la valutazione dei giudici circa la loro legittimità e quella dei poteri da essi conferiti al promotore di giustizia ma anche di esercitare su di essi una forte pressione in ordine allo stesso esito del processo”.
Non solo. La giustificazione data in aula a tali provvedimenti da parte dei giudici del tribunale vaticano ha teorizzato “una concezione assolutista del potere sovrano che non trova più alcun riscontro negli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei, rispettosi dei diritti umani e di civiltà giuridica avanzata, in quanto annulla ogni divisione o separazione dei poteri e priva i giudici di ogni pretesa indipendenza rispetto al soggetto sovrano, al quale viene riconosciuto il potere incondizionato di modificare ‘ad libitum’ le norme del singolo processo in corso anche a scapito dei diritti degli imputati, annullando di fatto ogni garanzia stabilita per legge”.
Con in più la conseguenza di “incrinare la sostanziale affidabilità di cui ha goduto fino a oggi la giurisdizione dello Stato della Città del Vaticano a livello internazionale”.
In particolare, avverte Cavana, non è affatto sicuro che la sentenza penale emessa dal Tribunale vaticano al termine di un processo siffatto venga riconosciuta come valida in Italia, vista l’incompatibilità di tale processo con le garanzie che devono essere assicurate alla difesa, a norma della Costituzione italiana.
E altrettanto può accadere in campo internazionale. Cavana cita una passata sentenza della Corte europea di Strasburgo nella quale l’Italia è stata condannata per aver resa esecutiva una sentenza della Rota romana senza prima verificare “che nel quadro della procedura canonica la ricorrente avesse beneficiato di un giusto processo”. Il caso riguardava un processo canonico di nullità matrimoniale svolto in forma abbreviata come consentito da papa Francesco, nel quale la Corte europea aveva ravvisato carente “la tutela del fondamentale diritto alla difesa”.
Scrive Cavana in conclusione del suo saggio:
“È chiaro che la posta in gioco nel processo contro il cardinale Becciu e altri non riguarda più soltanto la sorte degli imputati, la loro onorabilità e libertà, che meritano peraltro la massima attenzione e tutela, ma la stessa credibilità e coerenza della Santa Sede, cioè la sua capacità e volontà di attuare concretamente e in prima persona, ossia nell’ambito del piccolo Stato di cui il papa è sovrano, quei principi di civiltà cui essa non soltanto ha aderito sul piano internazionale, impegnandosi a osservarli, ma che proclama di difendere e di promuovere come parte della dottrina sociale della Chiesa”.
E ancora:
“La sua stessa missione di pace rischierebbe di risultare indebolita e meno efficace se principi fondamentali, come quello dello stato di diritto o ‘rule of law’, che costituisce una condizione essenziale per assicurare la giustizia e la pace tra le persone e i popoli, risultassero disattesi o contraddetti nella pratica giudiziaria e di governo dello Stato vaticano”.
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Nell’autobiografia di papa Francesco che uscirà domani, 19 marzo, in più lingue e in decine di paesi per i tipi di HarperCollins, egli lamenta che nella Chiesa c’è ancora “chi vorrebbe rimanere fermo ai tempi del papa re”.
Ma se l’indipendenza dei giudici – come ha messo in evidenza il professor Cavana – “è il principio fondativo dello stato di diritto o ‘rule of law’, riconosciuto anche dalla dottrina sociale della Chiesa”, proprio al monarca assoluto Francesco va addebitato di averla ridotta in macerie.
“Ne era ben consapevole – scrive ancora Cavana – Benedetto XVI, il quale, in relazione al processo promosso e già concluso nei confronti del suo cameriere personale, che aveva trafugato una gran quantità di documenti dalla sua abitazione nel palazzo apostolico, ebbe a dichiarare: ‘Per me era importante che proprio in Vaticano fosse garantita l’indipendenza della giustizia, che il monarca non dicesse: adesso me ne occupo io. In uno stato di diritto la giustizia deve fare il suo corso. Il monarca, poi, può concedere la grazia. Ma questa è un’altra storia’”.
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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
Questa è l’attuale home page del suo blog Settimo Cielo, con gli ultimi articoli in lingua italiana: settimocielo.be
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