Continuiamo il nostro percorso sulla bellezza dell'arte sacra cristiana il giorno della festa di S. Giuseppe.
Luigi C.
Schola Palatina, Sara Magister | 21 Marzo 2023
San Giuseppe è uno dei massimi exempla di saggezza, giustizia, obbedienza e fedeltà: alla parola del Signore, alla sua consorte, al suo compito paterno. Ma la sua silente umiltà lo ha per lungo tempo penalizzato, sia nell’esegesi che nella raffigurazione artistica. Nell’ambito dell’iconografia medioevale-bizantina, infatti, è raro trovare un’immagine di san Giuseppe, che ne esalti il suo vero ruolo, viceversa fondamentale nella cura e nella crescita umana di Gesù, mentre è più frequentemente relegato a quello di semplice spettatore, peraltro passivo, e molto in là con gli anni.
Tale iconografia fu aspramente criticata già da san Gerolamo e ancor più in dettaglio da san Bernardino da Siena (+ 1444), uno dei primi a rivalutare la figura del padre putativo di Gesù: «Gli sciocchi dipintori el dipingono vecchio malinconioso e colla mano alla gota, che era tutto el contrario, allegro di cuore, di mente e di viso, veggendosi in tanta grazia di Dio».
E infatti, con il Rinascimento italiano e specialmente a seguito della Controriforma, la figura del santo venne progressivamente riabilitata, divenendo un modello esemplare di virtù e di offerta umile e silenziosa della sua vita al Signore. Fino a quando i papi Pio IX e Pio XII lo proclamarono rispettivamente patrono della Chiesa universale e dei lavoratori.
Nel Cinque e Seicento i suoi maggiori sostenitori furono in particolare i Carmelitani e Santa Teresa d’Avila. È proprio per un convento carmelitano, quello di Metz, in Francia, che fu realizzata attorno al 1642 la tela del pittore francese Georges de La Tour (1593-1652). Il tema trattato è quello del ruolo di Giuseppe come educatore “umano” del piccolo Gesù, insistendo sulla sua lunga permanenza nella bottega da falegname (o meglio da carpentiere), perché proprio questo era il suo mestiere, come si evince dai Vangeli, mestiere che trasmetterà al figlio adottivo, insieme all’educazione religiosa ebraica.
Una scena di vita quotidiana
Gesù fanciullo tiene in mano una candela, per illuminare la notte lavorativa di Giuseppe, mentre questi sta forando con un succhiello una grande trave di legno. A un primo impatto la scena sembra uno spaccato di vita quotidiana delle classi artigiane, ove il figlio di un falegname comincia ad apprendere i segreti del mestiere del padre, con il semplice osservare quello che sta facendo.
Ma Georges de La Tour in realtà gioca sulle apparenze e il suo iperrealismo non si ferma a quello che semplicemente vediamo, perché suggerisce un’altra realtà, quella del Mistero, che traspare in ogni dettaglio della scena. Cosa sta succedendo qui, veramente? E che tipo di relazione c’è tra il padre e il figlio?
Una luce metafisica
Un dato è certo: ad essere qui protagonista non è il “padre”, ma il bambino. A essere in piena luce non è il volto di Giuseppe, ma quello di Cristo. Questi sembra anzi brillare di luce propria, piuttosto che riflessa.
La Tour modula la luce con effetti di eccelso virtuosismo, come nella mano trasparente di Gesù o come nelle onde di luce che assecondano quelle del truciolo di legno a terra. Ma il forte contrasto di luce e ombra, in realtà, non segue in tutto le leggi naturali e, se è memore della scuola di Caravaggio e della grande tradizione fiamminga, ne eredita dal primo anche il significato di luce metafisica.
Probabilmente l’artista francese, figlio di fornai ma divenuto pittore del Re a Parigi, non aveva mai avuto modo di vedere un quadro di Caravaggio dal vivo, tuttavia ne aveva avuto l’eco tramite i suoi seguaci fiamminghi. Al contrario di questi, tuttavia, La Tour insiste sull’azione salvifica e positiva della luce, ponendola a riscatto dall’angoscia delle tenebre.
Ed è proprio la luce di La Tour a manifestare il Mistero e la vera identità di Gesù, in quel silenzio sospeso che l’artista orchestra sapientemente, anche con una solida struttura compositiva geometrica.
Qui è la risposta a quella domanda che la gente sconcertata si farà nell’ascoltare Gesù giovinetto nella sinagoga: «Da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è egli forse il figlio del carpentiere?» (Mt 13,54-55). Nella tela di La Tour, infatti, i ruoli che implicano la trasmissione del sapere dal padre al figlio sono invertiti: è il Figlio qui a essere luce del mondo ed è lui la vera Sapienza.
Con gli occhi commossi
San Giuseppe guarda il Cristo negli occhi, con gli occhi lucidi di un anziano, ma anche umidi di commozione. Egli sa che Chi ha davanti non ha bisogno di insegnamenti, ma sa anche che è stato chiamato a prendersi cura del Bambino. E lo fa con dedizione, mettendogli a disposizione quello che egli stesso ha imparato. Serve Gesù con rispetto e il suo fare ricurvo sopra l’attrezzo da lavoro sembra piuttosto un inchinarsi. Il legno su cui sta lavorando potrebbe alludere alla croce salvifica.
Gesù lo ricambia con sguardo sereno e il suo gesto non serve solo a proteggere la fiamma della candela, ma anche a benedire Giuseppe nell’atto del suo lavoro. Ed a benedire chiunque altro voglia rispondere alla chiamata di prendersi davvero cura delle persone affidategli, come ogni buon padre e come san Giuseppe.
FONTE: Radici Cristiane n. 141
FONTE IMMAGINE: Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/) - Autore: Philippe Lelong