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domenica 24 marzo 2024

Perché l’uomo medievale non poteva fare a meno della Bellezza?

La bellezza salverà il mondo.
Luigi C.


da "Dove lo sguardo trova quiete", di Corrado Gnerre

I medievali non solo amavano la bellezza, ma la ritenevano in un certo qual modo necessaria. Pensiamo alle cattedrali gotiche. Le guglie venivano fatte benissimo fino alla cima, adornate di disegni e di decorazioni che nessun uomo avrebbe mai potuto ammirare, ma solo viste da Dio e … dai piccioni.
Un particolare, questo, che solitamente non viene messo in risalto, ma che è di grande importanza per capire come i medievali intendessero la bellezza. Per loro, infatti, la bellezza non era qualcosa che necessitava di esser vista, ma qualcosa che necessitava e basta. Ci spieghiamo meglio. I medievali non pensavano che a dover decidere se la bellezza fosse tale o meno dovesse essere il giudizio dell’uomo, ma che la bellezza fosse tale in quanto bellezza, indipendentemente dall’osservazione e dal giudizio dell’uomo.
Questa mentalità si coglie anche in un altro elemento: i medievali non avrebbero mai concepito l’idea del “museo”, che invece, non a caso, nacque con il razionalismo del XVIII secolo. La bellezza -pensava l’uomo medievale- è talmente necessaria che deve essere nella realtà, nella vita, non può essere separata dalla quotidianità, bensì in un certo qual modo deve “informare” (nel senso letterale di “dare forma”) l’esistere di ognuno.

Alla base dell’idea moderna di “museo” vi è invece la convinzione che la bellezza sia un prodotto di una particolare elaborazione intellettuale del soggetto, un’elaborazione pensata partendo da un distacco dalla vita, come se il vero artista dovesse necessariamente alienarsi, staccarsi, emanciparsi dal vivere per immergersi in una sorta di delirio dell’immaginazione in cui la costruzione puramente intellettuale svolgerebbe un ruolo non solo protagonistico ma anche esclusivo. Insomma, l’arte staccata dal vivere quotidiano, relegata in una sorta di “riserva” per farsi vedere e sottoporsi ad un giudizio di un’élite.

Insomma, nella cristianità medioevale vi era l’obbligo di fare cose belle; anche le cose utili dovevano essere belle; e la stessa bellezza aveva una sua utilità.

E a proposito di quanto si pretendesse che le cose venissero fatte bene non tanto per gli altri, né tantomeno per se stessi, ma per la bellezza in sé, il poeta Charles Peguy, nel suo Il denaro, ci ha lasciato queste belle parole: “Abbiamo conosciuto un onore del lavoro identico a quello che nel Medio Evo governava le braccia e i cuori. Proprio lo stesso, conservato intatto nell’intimo. Abbiamo conosciuto l’accuratezza spinta sino alla perfezione, compatta nell’insieme, compatta nel più minuto dettaglio … Ho veduto, durante la mia infanzia, impagliare seggiole con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali … La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso … Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé in sé nella sua stessa natura.” E Van Loon, celebre storico delle idee, scrive nel suo famoso Le arti: “(…) un francese o un italiano del Duecento o del Trecento avrebbe scosso il capo perplesso, se qualcuno avesse espresso seri dubbi circa l’utilità di esser circondati da cose belle.” San Tommaso d’Aquino -colui che è il vertice del pensiero medioevale- scrive: “(…)belle sono le cose , anche fatte bene dall’uomo, che, anche soltanto viste e sentite, comunque cognite, danno gioia.” E già sant’Agostino aveva sentenziato nel De musica: “Che altro si può amare se non le cose belle?”