Proponiamo ai nostri lettori le meditazioni liturgiche sul mercoledì delle ceneri tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger, monumentale opera apparsa per la prima volta in Francia nel 1841-66 e in Italia verso la metà degli anni Cinquanta.
L.V.
MERCOLEDÌ DELLE CENERI
L’appello del profeta
Ieri il mondo si agitava nei piaceri e gli stessi cristiani si abbandonavano ai leciti divertimenti; ma questa mattina ha squillato la sacra tromba di cui parla il profeta Gioele¹ per annunciare l’apertura solenne del digiuno quaresimale, il tempo dell’espiazione, l’imminente avvicinarsi dei grandi anniversari della nostra salvezza. Destiamoci, cristiani, e prepariamoci a combattere le battaglie del Signore.
L’armatura spirituale
Ricordiamoci, però, che nella lotta dello spirito contro la carne dobbiamo essere armati: ecco perché la santa Chiesa ci raccoglie nei suoi templi per iniziarci alla milizia spirituale. San Paolo ce ne ha già fatto conoscere i dettagli della difesa con queste parole: «Siate dunque saldi, cingendo il vostro fianco con la verità, vestiti della corazza della giustizia, avendo i piedi calzati in preparazione al Vangelo di pace. Prendete soprattutto lo scudo della fede, l’elmo della saldezza e la spada dello spirito, cioè la Parola di Dio»². Il principe degli apostoli aggiunge: «Avendo Cristo patito nella carne, armatevi anche voi dello stesso pensiero»³.
Ricordandoci oggi la Chiesa questi apostolici insegnamenti, ne aggiunge un altro non meno eloquente, obbligandoci a risalire al giorno della prevaricazione, che rese necessarie quelle lotte che stiamo per intraprendere e le espiazioni attraverso le quali dobbiamo passare.
I nemici da combattere
Noi siamo assaliti da due sorta di nemici: le passioni dentro il nostro cuore, il demonio fuori; entrambi disordini che derivano dalla superbia. L’uomo si rifiutò d’obbedire a Dio; ciò nonostante egli lo risparmiò, ma alla dura condizione di subire la morte: «Uomo, disse, tu sei polvere, ed in polvere ritornerai»⁴. Ah! Perché dimenticammo quell’avvertimento? A Dio bastò solo premunirci contro noi stessi; compresi del nostro niente, non avremmo mai dovuto infrangere la sua legge. Se ora vogliamo perseverare nel bene al quale ci ha ricondotti la sua grazia, dobbiamo umiliarci, accettare la sentenza e considerare la vita come un viaggio più o meno breve che termina alla tomba. Sotto questa luce tutto diventa nuovo, ogni cosa si schiarisce. Nell’immensa sua bontà, Dio, che si compiacque di riversare tutto il suo amore su di noi, esseri condannati alla morte, ci appare ancora più ammirabile. Nelle brevissime ore della nostra esistenza, l’ingratitudine e l’insolenza con cui ci scagliammo contro di lui ci sembrano sempre più degne del nostro disprezzo, e più legittima e salutare la riparazione che ora ci è possibile e che egli si degna di accettare.
L’imposizione delle ceneri
A questo pensava la santa Chiesa, quando fu indotta ad anticipare di quattro giorni il digiuno quaresimale e ad aprire questo sacro tempo cospargendo di cenere la fronte colpevole dei suoi figli e ripetendo a ciascuno di loro le parole con cui il Signore li condannava alla morte.
Come segno d’umiliazione e penitenza, però, l’uso delle ceneri è molto anteriore a quella istituzione. Infatti lo troviamo praticato fin nell’Antico Testamento. Perfino Giobbe, che apparteneva alla gentilità, copriva di cenere la sua carne dilaniata dalla mano di Dio, per implorare così la sua misericordia⁵. Più tardi il salmista, nell’ardente contrizione del suo cuore, mescolava cenere nel pane che mangiava⁶. Analoghi esempi abbondano nei Libri storici e nei profeti dell’Antico Testamento. Si avvertiva anche allora il rapporto esistente tra la polvere di una materia bruciata e l’uomo peccatore, il corpo del quale sarà disfatto in polvere sotto il fuoco della giustizia divina. Per salvare almeno l’anima, il peccatore ricorreva alla cenere e, nel riconoscere quella triste fraternità con essa, si sentiva più al riparo dalla collera di colui che resiste ai superbi e perdona agli umili.
I pubblici penitenti
L’uso liturgico delle ceneri al mercoledì di Quinquagesima non sembra che in origine sia stato imposto a tutti i fedeli, ma solo ai colpevoli di certi peccati soggetti alla pubblica penitenza della Chiesa. In questo giorno, prima della Messa, essi si presentavano in chiesa dove stava raccolto tutto il popolo, i sacerdoti ricevevano la confessione dei loro peccati, quindi li vestivano di cilizi e spargevano sulle loro teste la cenere. Dopo questa cerimonia, il clero ed il popolo si prostravano a terra, mentre ad alta voce venivano recitati i sette salmi penitenziali. Successivamente aveva luogo la processione, durante la quale i penitenti camminavano a piedi scalzi. Di ritorno, erano solennemente cacciati fuori dalla chiesa dal Vescovo, che diceva loro: «Vi scacciamo fuori dal recinto della chiesa a causa dei vostri peccati e delitti, come fu scacciato fuori dal Paradiso il primo uomo, Adamo, a causa della sua trasgressione». Poi il clero cantava diversi responsori tratti dalla Genesi, dov’erano ricordate le parole del Signore che condannava l’uomo ai sudori e al lavoro sulla terra, ormai maledetta a causa sua. Quindi venivano chiuse le porte della chiesa, affinché i penitenti non ne passassero più le soglie fino al giovedì santo, giorno nel quale ricevevano solennemente l’assoluzione.
Estensione del rito liturgico
Dopo il XII secolo, la penitenza pubblica cominciò a cadere in disuso; ma l’uso d’imporre in questo giorno le ceneri a tutti i fedeli divenne sempre più generale e prese posto tra le cerimonie essenziali della liturgia romana. È difficile dire esattamente in quale epoca si produsse tale evoluzione. Sappiamo solo che nel concilio di Benevento (1091) Urbano II ne fece un obbligo a tutti i fedeli. L’attuale cerimonia è descritta negli Ordines del XII secolo; le antifone, i responsori e le preghiere della benedizione delle ceneri erano già in uso tra l’VIII e il X secolo.
Una volta i cristiani si avvicinavano a piedi nudi a ricevere l’ammonimento sul niente dell’uomo e, ancora nel XII secolo, lo stesso Papa, per recarsi da Sant’ Anastasia a Santa Sabina, dov’è la Stazione, faceva tutto il percorso senza calzatura, come pure i cardinali che l’accompagnavano. Poi la Chiesa mitigò questo rigore esteriore; ma continuò a dare valore ai sentimenti interni che deve produrre in noi un rito così espressivo.
Come abbiamo or ora detto, la Stazione odierna è a Roma, in Santa Sabina, sul colle Aventino, aprendosi così sotto gli auspici di questa santa martire la penitenza quaresimale.
La sacra funzione incomincia con la benedizione delle ceneri, ottenute dalle palme benedette l’anno prima nella domenica che precede la Pasqua. La nuova benedizione ch’esse ricevono in questa circostanza ha lo scopo di renderle più degne del mistero di contrizione e di umiltà che stanno a significare.
MESSA
EPISTOLA (Gl 2, 12-19) – Ecco, dice il Signore, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libazione per il Signore vostro Dio. Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un’adunanza solenne. Radunate il popolo, indite un’assemblea, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio e alla derisione delle genti». Perché si dovrebbe dire tra i popoli: «Dov’è il loro Dio?». Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo. Il Signore ha risposto al suo popolo: «Ecco, io vi mando il grano, il vino nuovo e l’olio e ne avrete a sazietà; non farò più di voi il ludibrio delle genti».
Efficacia del digiuno
Questo magnifico passo del profeta ci rivela l’importanza che il Signore dà all’espiazione fatta col digiuno. Quando l’uomo contrito dei propri peccati affligge la sua carne, Dio si commuove, come lo dimostra l’esempio di Ninive. Il Signore perdonò a una città infedele, perché i suoi abitanti imploravano pietà con l’abito della penitenza. Che non farà allora in favore del suo popolo, se questo saprà unire all’immolazione del corpo il sacrificio del cuore?
Affrontiamo dunque coraggiosamente la via della penitenza; e se l’affievolimento della fede e del timor di Dio sembra far cadere intorno a noi pratiche antiche quanto il cristianesimo, guardiamoci dal non esagerare in un rilassamento così pregiudizievole al complesso dei costumi cristiani. Riflettiamo soprattutto ai nostri obblighi personali verso la giustizia divina, la quale ci rimetterà i peccati e le pene meritate, in misura che ci mostreremo premurosi d’offrirle la soddisfazione cui ha diritto.
VANGELO (Mt 6, 16-21) – In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, dove i ladri non scassinano e non rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
La gioia della Quaresima
Nostro Signore non vuole che i cristiani accolgano il digiuno espiatorio con un’aria triste e lugubre. Anzi, persuasi che è tanto pericoloso differire i conti con la giustizia, si devono consolare e mostrarsi allegri all’avvicinarsi di quel tempo sì salutare, perché sanno in anticipo che, se saranno fedeli alle prescrizioni della Chiesa, il peso del loro fardello si alleggerirà.
Queste soddisfazioni, oggi tanto mitigate dall’indulgenza della Chiesa, se offerte a Dio con quelle del Redentore e fecondate da quella comunione di opere propiziatorie che unisce in un solo fascio le opere sante di tutti i membri della Chiesa militante, purificheranno le loro anime e le faranno degne di partecipare alle purissime gioie della Pasqua. Perciò, non dobbiamo essere tristi perché digiuniamo, ma perché abbiamo, col peccato, reso necessario il digiuno.
Il Signore, poi, ci dà un altro consiglio, che la Chiesa ci ricorderà spesso nel corso dei quaranta giorni: quello di aggiungere l’elemosina alle privazioni del corpo. Vuole che tesorizziamo, ma per il cielo. Abbiamo bisogno di intercessori: li dobbiamo cercare tra i poveri. Ogni giorno di Quaresima, eccetto le domeniche, prima di congedare l’assemblea dei fedeli, il Sacerdote recita per loro una preghiera particolare, sempre preceduta dall’esortazione del diacono: «Umiliate le vostre teste dinanzi a Dio». La preghiera è una formula di benedizione, implorante il pegno della protezione celeste sui fedeli che ritornano alle ordinarie occupazioni⁷.
PREGHIAMO
Riguarda placato, o Signore, il popolo prostrato dinanzi a te e, dopo averlo ristorato col dono divino, confortalo sempre con celesti aiuti.
¹ Vedi l’Epistola della Messa.
² Ef 6, 14-17.
³ 1Pt 4,1.
⁴ Gen 3, 19.
⁵ Cfr. Gb 16, 16.
⁶ Sal 101 (102), 10.
⁷ Cfr. C. Callewaert, Sacris erudiri, p. 694.
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