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sabato 25 novembre 2023

Tolkien, il viaggio verso Isengard continua #tolkien

Ancora sul nostro amato Tolkien (QUI MiL sul Nostro).
"La sua visione della politica piò essere considerata tomista. La sua concezione dell’uomo è agostiniana. La sua filosofia è medievale, nel senso che non concepisce la separazione tra l’etica dello stato e l’etica personale. Tolkien è un cattolico".
QUI Marcello Veneziani.
E andiamo alla mostra di Roma sul Nostro, inaugurata nei giorni scorsi a Roma.
Luigi C.

TOLKIEN A 50 ANNI DALLA MORTE: IL VIAGGIO VERSO ISENGARD CONTINUA

SET 9, 2023, Centro Studi Livatino

Cinquanta anni fa, il 2 settembre, John Ronald Reuel Tolkien, moriva. Tolkien non è semplicemente un ripetitore di cose già dette o di epopee epiche già narrate. Egli trae dall’armadio dell’epica e delle tradizioni europee elementi, motivi, personaggi su cui innesta intuizioni personalissime e una grandiosa capacità di rivisitazione di storie e significati. Non a caso, sin dall’uscita dell’opera, ciò che ha affascinato e interessato i lettori de Il Signore degli Anelli è l’operazione “umana, troppo umana”, ma basilare, della reductio ad unum. L’opera di Tolkien è anzitutto un autentico manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della Modernità. Per scoprirlo, bisogna necessariamente ricorrere alla sana filosofia; vale a dire a quella filosofia per la quale la metafisica non costituisce un impedimento, ma la via privilegiata per accedere alla realtà. Tra i più deleteri errori ed orrori della Modernità, infatti, vi è sicuramente quello di aver negato il diritto di esistenza alla metafisica e di aver dichiarato guerra al mito e alla fiaba. Ciò assume particolare rilevanza per quel che concerne la costruzione di un immaginario nel quale i valori di una civiltà possano riflettersi ed incarnarsi.

Il 2 settembre è stato il cinquantesimo anniversario della morte di J.R.R. Tolkien (1892-1973) cantore dell’umano, così profondamente umano, da toccare le corde più vere e profonde dell’uomo che si aprono all’Assoluto.

Nasce nel 1892 in Sudafrica da genitori inglesi: Arthur Reuel Tolkien e Mabel Suffield. Rientrato in patria con la madre, rimane orfano di padre all’età di 3 anni. Mabel si preoccupa della crescita e dell’educazione sua e del fratello Hilary, dall’aspetto scolastico e linguistico fino a quello religioso.

È così che, come racconta lo stesso Tolkien, una mattina li portò in una chiesa cattolica per la messa.

Senza ripercorrere l’intera vita dell’autore de “Il Signore degli Anelli”, il giovane crebbe, frequentò le scuole, si innamorò, si sposò con Edith Bratt e andò in guerra (la Prima). Fu marito, padre, professore, nonno e scrittore.

Tolkien non fu un conservatore nel senso moderno del termine, né un tradizionalista guenoniano. Detestò il nazismo e il socialismo, come tutte le ideologie totalitarie. Sicuramente non fu fascista, e criticò aspramente la democrazia liberale.

La sua visione della politica piò essere considerata tomista. La sua concezione dell’uomo è agostiniana. La sua filosofia è medievale, nel senso che non concepisce la separazione tra l’etica dello stato e l’etica personale. Tolkien è un cattolico.

Tra i numerosissimi riferimenti alla Fede, nel romanzo sono presenti tre mastodontiche figure, tre salvatori che – ognuno a suo modo – sconfiggono la morte e rappresentano in alcuni aspetti Gesù Cristo.

Il primo è Gandalf, che muore e risorge mentre guida la Compagnia. Il secondo è Aragorn: il “Re senza corona” si avventura nel regno dei morti, “discende agli inferi”, per offrire la possibilità di riscatto ai traditori, e torna in battaglia come condottiero. La terza figura è quella di Frodo.

Lo hobbit riceve l’Anello a 33 anni, e il viaggio della Compagnia ha inizio con la sua partenza da Gran Burrone il 25 dicembre. Portando l’Anello, Frodo si fa in un certo senso agnello sacrificale dell’impresa, combattendo una battaglia spirituale per la salvezza di tutti.

La sua morte non è fisica ma simbolica. Alla fine della storia, Frodo è costretto ad abbandonare la Terra di Mezzo; un addio che si risolve nella nuova vita ad ovest, con Bilbo, Elrond, Galadriel e Gandalf.

Esiste però un quarto personaggio ancora più rappresentativo, l’umile tra gli umili, Samvise Gamgee. Apparentemente goffo e spaesato tra la “gente alta”, è in realtà l’unico personaggio che non viene mai tentato dal potere dell’anello.

Il giardiniere di Casa Baggins sopporterà con il suo amico le fatiche di un’impresa apparentemente senza lieto fine, sostenendolo per tutta l’avventura, persino quando sarà lo stesso Frodo a ordinargli di abbandonarlo.

Ma la scena centrale è un’altra, descritta nell’ultima parte del romanzo e perfettamente rappresentata nel film di Peter Jackson. Mentre la battaglia infuria sotto l’ombra del Cancello Nero, Frodo cede alla disperazione e alla stanchezza sulle pendici del Monte Fato.

Nel cuore del male sembra non esserci speranza. Lo hobbit si accascia sulle sue ginocchia e perde i sensi. È il fedele Sam a salvarlo portandolo sulle sue spalle. “Coraggio, signor Frodo” gridò. “Non posso portare io l’Anello, ma posso trasportare voi ed esso insieme”.

Se l’anello è il peccato, la croce da portare fino alla distruzione lungo la piana del Gorgoroth (o sulle pendici del Golgota), questa diventa la frase che dà il senso al libro. Da cattolico Tolkien sapeva bene che nell’ora della prova non è possibile farcela da soli. Ci si deve affidare al nostro “Sam”. È il Salvatore, che non può portare l’anello per noi. Ma che può portare noi.[1]

Se si leggono Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit, Il Silmarillion, con quest’ottica, si può rilevare che davvero in queste opere ci sia la realtà di tutti i giorni, e Orchi, Draghi, Anelli, diventano situazioni concrete da affrontare, riconoscibili dietro il linguaggio simbolico. Non voglio parlare di una lettura allegorica, di tipo ideologico, dei suoi romanzi, che tra l’altro Tolkien odiava.

Sarebbe molto facile e banale fermarci a considerare l’Anello come il Male che deve essere distrutto, ma se questo mi aiuta a domandarmi qual è il mio Anello, qual è il Male con cui io convivo e di cui non riesco a liberarmi, ecco che Tolkien comincia ad essermi utile. Le grandi opere hanno proprio la funzione di aiutarci ad aprire domande, a rimettere in discussione quelle certezze che diamo per scontate, come, ritornando a Tolkien, “l’ovvia” ostilità fra Nani ed Elfi, messa in crisi dall’incontro con l’Altro.

È, a mio avviso, un po’ riprendere quella domanda che Dio ha fatto ad Adamo all’origine del mondo: “Adamo dove sei?”. Non è una richiesta di informazioni riguardo alla sua ubicazione, ma è un aiuto che Dio pone ad Adamo chiedendogli dove si trova, a che punto è della sua vita, è un fare il punto della situazione, per poter continuare ad andare avanti. Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l’uomo, vuole distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori. A questo punto tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda.

Indubbiamente, quando questa domanda giungerà all’orecchio, a chiunque il “cuore tremerà” … Ma il congegno gli permette di restare padrone anche di questa emozione del cuore. La voce, infatti, non giunge durante una tempesta che mette in pericolo la vita dell’uomo; è la “voce di un silenzio simile a un soffio” (Primo libro dei re 19,12), ed è facile soffocarla. finché questo avviene, la vita dell’uomo non può diventare cammino. Per quanto ampio sia il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: “Mi sono nascosto”. Qui inizia il cammino dell’uomo. Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell’uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano.[2]

Se leggo le avventure di Bilbo Baggins, come lo può fare un lettore superficiale, effettivamente Tolkien non serve a nulla, se non a far esercizio di lettura, ma se, invece, trovo il tempo per soffermarmi su alcuni passaggi, con il senso delle avventure che ci propone l’autore, e rapportarli alla mia vita, allora sì che l’opera diventa viva e un valido aiuto per il cammino da compiere.

Daniele Onori

[1] Cfr. S. Flore Tolkien? Anarchico & tomista https://www.dissipatio.it/tolkien-politico/

[2] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, 1990, pp. 21-23