Un imprenditore "di Dio" nell'anniversario della sua morte.
Una bella recensione dell'amico Paolo Gulisano per le letture estive dei nostri lettori.
«Io non sono nulla. Sono solo un modesto strumento della Provvidenza. Non sono io che ho dato qualcosa, ma loro, i poveri, che hanno dato a me».
QUI sul Blog di Costanza Miriano.
Luigi
Paolo Gulisano, La Nuova Bussola Quotidiana, 2-8-23
Un industriale milanese di grande fede e intelligenza, oggi venerabile, che negli anni Sessanta lasciò tutto per partire come missionario laico in Brasile. Dove fondò ospedali, lebbrosari, scuole, conventi. Un libro ne racconta la storia.
Quarant’anni fa, nell’estate del 1983, si spegneva Marcello Candia (27 luglio 1916 – 31 agosto 1983), industriale milanese di grande fede, di grande cuore, di grande intelligenza. In quegli anni era una figura molto popolare nel mondo cattolico. Erano gli anni in cui in ambito ecclesiale stava crescendo e imponendosi una visione della Missione prevalentemente sociologica, terzomondista, orientata orizzontalmente alla promozione umana più che all’evangelizzazione.
Facevano eccezione figure come monsignor Aristide Pirovano, padre Piero Gheddo e, appunto, Marcello Candia, che mostravano con la loro opera che l’urgenza di aiutare i poveri non poteva esimersi dall’annuncio di Cristo.
La storia di Marcello Candia viene ora raccontata a tutto tondo da don Samuele Pinna, sacerdote ambrosiano di impronta biffiana, che da tempo racconta nei suoi libri storie belle, esempi di vita buona secondo il Vangelo. Nel suo volume appena uscito, Marcello Candia. Imprenditore per conto di Dio (Ancora), ci racconta e ci rende “vicina” la figura di questo grande cristiano - di cui è aperta la causa di beatificazione e già proclamato venerabile - che per i tempi difficili per la Fede in cui viviamo rappresenta un segno importante di speranza.
Marcello Candia era una persona cui importava conoscere, capire. Aveva conseguito tre lauree: in chimica, in biologia e in farmacia. Dal padre aveva ereditato le capacità imprenditoriali, mentre dalla madre la fede profonda e l'amore per il prossimo. Fin da quando era bambino, la madre lo portava con sé nella sua opera di assistenza ai poveri, nell'ambito dell’attività della Società di San Vincenzo. Mamma Bice morì prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore del figlio diciassettenne.
Dopo le sue lauree Marcello iniziò l'apprendistato nell'azienda paterna. La Seconda Guerra Mondiale lo vide chiamato alle armi e, una volta ritornato a casa, si prodigò in numerose iniziative missionarie, con l'instancabile zelo che lo accompagnerà per tutta la vita. Dopo aver aiutato molti ebrei e perseguitati politici, nel 1945 accolse i deportati che rientravano dalla Germania. Nello stesso anno collaborò alla creazione del “Villaggio della madre e del fanciullo”. Nel 1947 fondò a Milano l’Unione Medici Missionari Italiani e, successivamente, l'Associazione Laici in Aiuto delle Missioni.
Negli anni Cinquanta maturò in lui la decisione di diventare missionario laico. Nel 1961 vendette l'azienda ereditata dal padre e iniziò la costruzione di un grande ospedale a Macapá, in Brasile, sulla sponda settentrionale del Rio delle Amazzoni, dove si trasferì definitivamente nel 1965, collaborando col vescovo missionario del luogo, il già menzionato monsignor Pirovano, lombardo. L'ospedale, intitolato a san Camillo e a san Luigi, venne inaugurato ufficialmente nel 1970, e fu la prima di numerose opere, comprendenti lebbrosari, centri di accoglienza, oltre a conventi, scuole e altri ospedali: è in queste strutture che la gente bisognosa di assistenza vide la possibilità di una salvezza prima negata.
Nel 1975 il più diffuso settimanale illustrato brasiliano gli dedicò un articolo dal titolo “L’uomo più buono del Brasile”. Nello stesso anno fece dono dell'ospedale di Macapá ai Camilliani, per garantirne la continuità dopo la sua morte. Nel 1980 avvenne l'incontro con Giovanni Paolo II, durante la visita del Papa al lebbrosario di Marituba. Nel 1982 fu istituita la Fondazione Dottor Marcello Candia, tuttora operante. Nel 1983 rientrò gravemente malato dal Brasile e morì il 31 agosto a Milano, circondato dall'affetto dei familiari. Fino alla fine aveva ripetuto: «Io non sono nulla. Sono solo un modesto strumento della Provvidenza. Non sono io che ho dato qualcosa, ma loro, i poveri, che hanno dato a me».