Post in evidenza

AGGIORNAMENTO del programma del 13º Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum #sumpont2024

Cari amici, a pochi giorni dall ’inizio de l  13º Pellegrinaggio  Populus Summorum Pontificum   a Roma da venerdì 25 a domenica 27 ottobre  ...

lunedì 4 settembre 2023

Jean-Marie Guénois: "Papa Francesco e l'Asia, una passione gesuitica che imbarazza il Vaticano"



Un'interessante analisi del vaticanista di Le Figaro.
"Tuttavia, con l'accordo del 2018, Francesco aveva dato tutte le garanzie possibili per non scontentare il regime comunista cinese e aprire la strada a Pechino: rifiuto di incontrare il Dalai Lama a Roma nel 2014; totale silenzio da parte di Francesco - pur essendo il Papa dei diritti umani - sulla presa di potere controllata di Hong Kong e durante le rivolte del 2019-2020; nomina di un gesuita conciliante con Pechino come arcivescovo di Hong Kong nel 2019; completo abbandono del cardinale Zen, ex arcivescovo di Hong Kong, prima e durante il suo processo nel 2022 - a 91 anni, è stato arrestato per il suo sostegno alle rivolte anticinesi. Francesco è arrivato al punto di rifiutargli l'udienza che Zen aveva richiesto durante una visita a Roma nel settembre 2020".
Luigi

(Jean-Marie Guénois, Le Figaro), Il Sismografo, 2-9-23

(Jean-Marie Guénois, Le Figaro) ANALISI - Con la sua visita in Mongolia, Papa Francesco riaccende le ferite di un continente diviso tra Roma e il regime comunista. -- La Cina doveva essere il grande progetto del pontificato, ma potrebbe rivelarsi un amaro fallimento per Francesco. La sua visita di questo fine settimana in Mongolia, un Paese grande tre volte la Francia e situato tra Russia e Cina, fa parte di un lento processo di avvicinamento all'impero cinese iniziato con la sua elezione nel 2013.

Oltre alla Mongolia, il Papa avrà visitato sei Paesi vicini o confinanti con la Cina che sono stati così gentili da invitarlo: Corea del Sud, Giappone, Filippine, Birmania e Kazakistan. Francesco non ha mai nascosto il suo sogno di essere un giorno il primo Papa della storia a essere invitato a Pechino. Non per la sua gloria, ma per il futuro della Chiesa cattolica in Cina. Questo Paese è una passione dei gesuiti.

Chi potrebbe biasimare questo figlio di Sant'Ignazio di Loyola per essere parte di questo asse missionario della Compagnia di Gesù? Lo scorso maggio, il Papa non ha forse lodato le virtù del gesuita italiano Matteo Ricci (1552-1610), che vorrebbe vedere beatificato, sottolineandone la "pazienza", la "perseveranza", la "fede" e soprattutto il "metodo"? Ricci, scienziato di grido, attese diciotto anni in Cina, nutrendosi di un lungo dialogo intellettuale con le personalità di spicco del Paese, che gli permise di diventare il primo missionario cattolico autorizzato a vivere nella Cina imperiale.

Questo investimento pastorale fallì il giorno in cui il Vaticano rifiutò di tradurre la liturgia latina in cinese. Un errore storico che la Chiesa sta ancora pagando a distanza di cinque secoli, anche se i cinesi non hanno mai abbassato la guardia nei confronti di questa religione occidentale. I missionari cattolici tornarono nel XIX secolo con un certo successo, ma i loro sforzi furono nuovamente interrotti nel 1949, quando Mao Tse-tung salì al potere.

Due Chiese cattoliche

Da qui la creazione di due Chiese cattoliche. Una di silenzio, di resistenza, di clandestinità, di fedeltà a Roma. L'altra ufficiale, riconosciuta ma controllata dal regime comunista. Nel 2007, in una "Lettera ai cattolici cinesi", Benedetto XVI ha invitato questa Chiesa segreta a uscire dalle catacombe e a cercare di riconciliarsi con la Chiesa ufficiale. Ma senza risultati tangibili.

Riprendendo la fiaccola, nel 2018 Francesco ha voluto spingersi oltre, proponendo alle autorità cinesi un accordo assolutamente inedito sulla nomina congiunta dei vescovi da parte del Vaticano e di Pechino. Il problema è che all'inizio l'accordo ha funzionato relativamente bene, con sei vescovi nominati insieme. Ma dopo il rinnovo dell'accordo nel 2022, Pechino ha ripreso il controllo nominando già due vescovi senza consultare il Vaticano.

Un'altra spina nel fianco del regime è che una decina di vescovi - ex vescovi clandestini -, pur essendo riconosciuti dall'accordo bilaterale, sono sotto stretta sorveglianza da parte del regime. Altri tredici vescovi clandestini sono agli arresti, privati della libertà, e di altri quattro vescovi clandestini non si hanno notizie. Infine, otto vescovi clandestini sono autorizzati ad agire solo come sacerdoti. Questi vescovi "clandestini" sono clandestini perché sono sempre rimasti fedeli a Roma a costo di sacrificare la propria vita.

Sia il Papa che il Vaticano sono più che imbarazzati. Tanto più che il viaggio in Mongolia difficilmente migliorerà la situazione, visto che il buddismo tibetano che il Papa incontra in Mongolia è braccato da Pechino.

Tuttavia, con l'accordo del 2018, Francesco aveva dato tutte le garanzie possibili per non scontentare il regime comunista cinese e aprire la strada a Pechino: rifiuto di incontrare il Dalai Lama a Roma nel 2014; totale silenzio da parte di Francesco - pur essendo il Papa dei diritti umani - sulla presa di potere controllata di Hong Kong e durante le rivolte del 2019-2020; nomina di un gesuita conciliante con Pechino come arcivescovo di Hong Kong nel 2019; completo abbandono del cardinale Zen, ex arcivescovo di Hong Kong, prima e durante il suo processo nel 2022 - a 91 anni, è stato arrestato per il suo sostegno alle rivolte anticinesi. Francesco è arrivato al punto di rifiutargli l'udienza che Zen aveva richiesto durante una visita a Roma nel settembre 2020.

1 commento:

  1. Addirittura pubblicate Le Figaro…niente, la rivoluzione mondana dei tradizionalisti è compiuta.

    RispondiElimina