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sabato 8 luglio 2023

L'inclusione che esclude le croci. Ancora sulla vicenda del CAI

Dagli amici di Campari & de Maistre sulla vicenda delle croci sulle nostre cime.
QUIQUI e QUI MiL.
Luigi

di Samuele Pinna

Un mio caro amico – almeno da parte mia –, il quale evidentemente non tiene conto del mio stato d’animo, mi ha girato poco fa una curiosa notizia intitolata: Montagna, il Cai: “Stop alle croci sulle vette, sono anacronistiche e divisive” . Sono rimasto sorpreso perché ho conosciuto il famoso club da bambino quando frequentavo l’oratorio. Non solo, una volta divenuto prete, l’ho quasi sempre incontrato in tutte le parrocchie in cui sono stato e, manco a dirlo, il presidente era sempre un credente praticante.
Avevo così coltivato una certa simpatia per il Cai, sebbene abbia sempre preferito il mare alla montagna. Questa divagazione biografica non ha nulla a che vedere con le motivazioni che il Cai riporta a riguardo delle croci sulle vette , perché in poche parole – riporto il sottotitolo – l’associazione alpinistica le considera inadatte a “un presente caratterizzato da dialogo interculturale e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali”. E qualcuno già le rimuove . Ora, sulle nuove esigenze paesaggistico-ambientali non sono informato, ma sul dialogo interculturale non capisco come il togliere qualcosa che ha segnato una cultura possa infastidire un dialogo sulla cultura stessa. Non capisco, cioè, come si possa conversare sulla cultura avendo cancellato la propria, perché mi domando: di cosa si discorrerebbe? Del nulla?

A questo punto, bisognerebbe prendere a picconate le varie cappelle disseminate sui percorsi di montagna, minare le chiese (non solo montane, ma anche quelle di città, ovviamente per essere inclusivi), bruciare in pubblica piazza componimenti anacronistici e divisivi come la Divina Commedia o I promessi sposi(perché non portano al suddetto dialogo interculturale), scrostare gli affreschi di Giotto e tagliare le tele di un Raffaello o di un Caravaggio, e ancora distruggere le composizioni musicali di Bach o di Mozart. Ma questo sarebbe uno scempio che nessun sano di mente metterebbe in pratica. Guareschi nei racconti di Don Camillo faceva dire al suo sindaco comunista con un italiano approssimativo, ma ricco di sostanza: «l’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla terra ma sul cemento».

Intuisco che “inclusività” è un termine che forse non vuole dire “cancellare il passato”, ergo seminare sul cemento. Voler eliminare parte della propria storia, perché non piace più, non è molto sensato e significa in fondo sradicare le proprie radici col rischio di cadere dai rami su cui si è appollaiati a causa del cedimento della pianta. Se così fosse, “inclusività” è un vocabolo che non mi piace e dovrebbe piacere poco a tutti. Sempre Giovannino suggerirebbe di rispondere a questa provocazione ideologica con l’umorismo, che è costretto a ridurre ogni cosa all’osso , per riuscire (più o meno bene) a fare lunghi discorsi con pochissime parole, usando magari la forma della storiella che dice senza dire.

Ecco, questa notizia mi ha fatto venire in mente la storia di quell’ospite che prima di mettersi seduto per la cena aveva espresso tutto il suo sdegno a riguardo del modello del televisore che si trovava in soggiorno. Sicché, il premuroso proprietario di casa se ne era disfatto subito con profondo compiacimento, sebbene fosse legato affettivamente all’apparecchio elettronico (perché era di sua nonna), buttandolo immediatamente giù dalla finestra. Fortuna volle che finì proprio sulla cappotta dell’automobile del suo invitato.

Quintino Sella, ora pro nobis.