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domenica 30 aprile 2023

Il Cristianesimo postconciliare? Un Cristianesimo di comodo e di comodità! Parola di Giovannino Guareschi e Don Camillo

«Non opporsi all'errore, significa approvarlo. Non difendere la verità, equivale a negarla»
(san Tommaso d'Aquino)

Ancora il nostro amato don Camillo.
QUI i molti post di MiL sul parroco di Brescello.
Luigi


da Ridateci don Camillo! di Corrado Gnerre, edizioni Mimep-Docete

Il cattolicesimo della crisi postconciliare ha sì le sue radici culturali, le sue influenze filosofiche, ma, sotto-sotto, non è altro che un cristianesimo di comodo e di comodità. Di comodo, perché poi alla fine in esso è Cristo che viene adattato a ciò che si pensa e non ciò che si pensa a Cristo … con un ben servito a san Paolo e al suo famoso “…non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Galati 2). Di comodità, perché in questo cattolicesimo tutto viene giustificato per rendere meno pesante la legge di Dio e la sua sequela.

Vediamo cosa ci dice a tal proposito Giovannino Guareschi.

In Don Camillo e i giovani d’oggi si racconta che Peppone, in qualità di sindaco, aveva deciso di eliminare il sagrato davanti alla chiesa con un bello spiazzo asfaltato per far sì che i fedeli arrivassero fin sotto il portone con le auto, ma don Camillo lo aveva mandato a quel paese.

Una mattina arrivarono in piazza alcuni uomini del comune e presero a scalzare coi picconi uno dei colonnotti. Un attimo dopo don Camillo era sul posto.

“Questo è il sagrato,” – disse “e non si tocca.”

“Il sindaco ci ha ordinato…” tentò il capo della squadra.

“Dite al sindaco che, se vuol cavare le colonne, venga lui” lo interruppe don Camillo.

In altri tempi Peppone non avrebbe esitato un minuto e sarebbe piombato in piazza armato di piccone, vanga e mazza. Ma gli anni passano anche per i sindaci comunisti: così prese le cose con calma e arrivò in piazza soltanto dopo un’ora, al volante di una delle enormi macchine escavatrici impegnate nei lavori del Ponte Nuovo.

Arrestò il bestione a qualche metro da uno dei colonnotti e abbassò il braccio della macchina. Scese, imbrigliò il colonnotto con la fune d’acciaio penzolante dalla cima del braccio e don Camillo lo lasciò fare. Poi, quando Peppone stava per risalire sul macchinone e azionare il braccio, don Camillo tranquillamente si sedette sul colonnotto.

Anche se il Concilio ha esautorato i parroci a favore dei vescovi e dei laici, non è consentito sradicare un colonnotto sul quale sta tranquillamente seduto un parroco, e la piazza in un attimo si riempì di gente.

“Lei non può ostacolare lavori di pubblica utilità decretati dal comune!” urlò Peppone a don Camillo.

“Lei non può asportare queste colonne piantate sul terreno della chiesa dal molto reverendo parroco don Antonio Bruschini nel 1785” replicò don Camillo accedendosi un mezzo toscano.

Ma anche Peppone si era preparato.

“Reverendo,” urlò Peppone “lei dimentica che nel 1796 questo territorio entrò a far parte della Repubblica Cispadana e quindi …”

“Quindi,” gli saltò sulla voce don Camillo “se Napoleone non fece cavare queste colonne non le può certo far cavare lei che, mi permetta, è assai meno importante di Napoleone.”

La cosa era arrivata in curia e la curia aveva mandato il segretario del vescovo per convincere quel vecchio e ottuso parroco …

… due giorni dopo, piombava in canonica il segretario del vescovo. Il giovane sacerdote, come tutti i preti progressisti della nouvelle vague, disprezzava e detestava i vecchi parroci …

“Reverendo!” gridò. “E’ mai possibile che lei non perda occasione per dimostrare la sua insensibilità politica e sociale? Che cosa significa questa sua nuova pagliacciata? Giustamente il signor sindaco, per incrementare il turismo e adeguare il paese alle nuove esigenze della motorizzazione, vuol creare nella piazza un ampio posteggio e lei si oppone?”

“No: noi semplicemente non permettiamo che si tolga alla chiesa il sagrato.”

“Ma che sagrato! Lei non può occupare col sagrato mezza piazza. Non capisce che, oltre al resto, è un vantaggio anche per lei? Non si rende conto che molta gente non va alla Messa perché le chiese non hanno spazio per posteggiare le macchine?”

“Sì, lo so, purtroppo” rispose calmo don Camillo. “Però non ritengo che la missione di un pastore d’anime possa essere quella di organizzare dei posteggi e delle messe yé-yé per offrire ai fedeli una religione fornita di tutti i comfort moderni. La religione di Cristo non è e non può essere né comoda né divertente.”

Era un banale ragionamento da prete e il segretario esplose:

“Reverendo, lei dimostra di non aver capito che la Chiesa deve aggiornarsi e deve aiutare il progresso, non ostacolarlo!”

“Lei, invece, non ha capito che il suo ‘progresso’ ha preso il posto di Dio nell’anima di troppa gente e il demonio, quando passa nelle strade degli uomini, non lascia più puzza di zolfo, ma di benzina. E che il Pater Noster non dovrebbe più dire ‘liberaci dal male’ ma ‘liberaci dal benessere’.”

Ovviamente una disquisizione di un cristianesimo senza croce avrebbe bisogno di ben altre argomentazioni, ma qui stiamo ragionando con semplicità, come si ragiona dinanzi ad un’osteria con un buon bicchiere di lambrusco (tanto per rispettare le abitudini enologiche dei personaggi). Il segretario del vescovo si tradisce: “Non capisce che, oltre al resto, è un vantaggio anche per lei? Non si rende conto che molta gente non va alla Messa perché le chiese non hanno spazio per posteggiare le macchine?” … che come esempio di chiesa pauperista ed essenzialista (e oggi diremmo anche ecologista) non è proprio un granché. Quella chiesa pauperista ed essenzialista di cui tanto si è “sciorinato” e si “sciorina” negli ultimi decenni postconciliari. Un discorso di marketing bello e buono! Anzi, né bello né buono perché paradossale. Ma l’errore causa sempre esiti paradossali. Lo insegna già il peccato originale: Adamo ed Eva peccarono per diventare come Dio, non solo non divennero un bel nulla, ma finirono con lo scoprirsi ancora più piccoli e limitati, iniziarono a vergognarsi di se stessi, a guardarsi in cagnesco e aver paura finanche di Dio. E così i paradossi della chiesa postconciliare: povertà per la Chiesa ma non per se stessi, chiese sempre più scarne per farle sembrare povere (quando poi povere non sono perché le archistar che le progettano si fanno pagare fior di quattrini!) e in compenso …parrocchie trasformate in aziende (Chiesa tedesca docet), conferenze episcopali che gestiscono case editrici che pubblicano anche cose tutt’altro che edificanti (anche in questo caso Chiesa tedesca docet) …e compagnia bella … anzi ricca. Per non parlare di quella che è la madre di tutte le contraddizioni: la pubblicità per l’8 per mille. Attenzione: non l’8 per mille in sé, ma la pubblicità per l’8 per mille. Gli spot in questi anni si sono avvicendati, ma hanno avuto sempre un punto in comune: i vostri soldi, cari contribuenti, vengono utilizzati per aiutare chi ne ha bisogno; e non si fa il minimo cenno alla necessità di evangelizzare e di portare la Verità di Cristo a chi non la conosce o non l’accetta… e quindi sotto-sotto si aggiunge: perché noi siamo più buoni degli altri. Eh sì, perché se chiedo soldi non per ciò in cui credo ma per ciò che faccio, quando questi soldi si possono dare anche ad altri, vuol dire che io sono più bravo degli altri. E dov’è il paradosso? E’ che negli anni del postconcilio si è fatto a gara a dire che ogni religione vale l’altra (lo si è detto per le religioni non-cristiane figuriamoci per gli ortodossi e i protestanti), e poi, per ricevere soldi, si dice: dalli a me perché io sono più bravo. Peccato non di poco, perché un conto è dire: guarda non è colpa mia né è mio merito se la verità in cui credo è vera mentre la tua è falsa per cui chiedo soldi per aiutare missionari che portano Cristo a chi non ci crede; altro è invece affermare: io sono più capace di te nel fare il bene. Insomma, per non ricordare che la Chiesa Cattolica è l’unica e vera Chiesa di Cristo, ci si è ridotti ad affermare di essere “più cristiani” degli altri. Dire che la Chiesa Cattolica è l’unica e vera Chiesa di Cristo non è un peccare di umiltà, anzi. Dire invece di essere più bravi degli altri è un mandare l’umiltà a carte e quarantotto!

Ma torniamo a don Camillo che sbraita contro l’asfalto. Il segretario del vescovo sentenzia:

“Don Camillo, lei dunque si rifiuta di obbedire.”

“No. Sua eccellenza il vescovo ci ordini di trasformare il sagrato in un parcheggio e noi obbediremo anche se il Concilio ha stabilito che la Chiesa di Cristo deve essere la Chiesa dei poveri e, di conseguenza, non dovrebbe preoccuparsi delle automobili dei fedeli.”

Don Camillo dà la “zeppata” (come si dice da certe parti parti): ma il Concilio non ha detto del dovere di occuparsi solo di ciò che conta nel Cristianesimo, allora perché questo interesse per cose così secondarie? Che i vescovi e i preti non si stiano trasformando in assistenti sociali …pardon: in organizzatori del sistema stradario e in vigili urbani? Che confondano i Dieci Comandamenti con il Codice Stradale e il Catechismo con il Manuale dell’Autista Perfetto? Nulla di più sorprendente: basti pensare ai corsi di catechismo in voga da ormai troppo tempo; s’insegna di tutto, ci verrebbe da dire -per rimanere in tema- che s’insegna anche come cambiare lo pneumatico bucato, meno ciò che è necessario: il catechismo! Provate a chiedere ai ragazzi qualche verità fondamentale della Fede, vi guarderanno in faccia stralunati come se aveste osato sapere da loro il nome del capomastro che diresse, alla fine del XVIII secolo, la costruzione della Reggia di Bangkok.