Ecco: così si potrebbe riassumere il senso di questo post, che vi spieghiamo meglio di seguito.
Dopo il nostro post sui "sepolcri" di Genova (quello con "reSSurectio con due S) un lettore ci ha scritto per tirarci le orecchie (se pur un po' polemico, ma è Pasqua e lo perdoniamo) sul tono ironico con cui era stato usato il termine "reposizione" con riferimento agli altari chiamati "del sepolcro", come se - aveva inteso il lettore - disprezzassimo la terminologia corretta solo perchè da noi (erroneamente) rienuta una "fissa" del clero sessantottino.
Sappiamo bene che il termine corretto non è quello che allude al "sepolcro" ma quello che sottolina la resposizione ela custodia del Ss.mo Sacramento.
E' pur vero che la pur errata terminologia (che un tempo però si accompagnava ad una viva, pia e devota pratica, - oggi ridotta all'osso se non del tutto abbandonata per colpa del clero che ha iniziato a deridere i fedeli atti a questa sorta di feticismo o voyerismo per cercare l'altare meglio addobbato-) era dovuta al fatto che i fedeli, che un tempo erano soliti visitare le chiese per ammirare la magnificenza con cui erano parati gli altari della "repositio", lo facevano il primo giorno utile, quindi il Venerdì Santo. Siccome nella memoria collettiva il Venerdì (soprattutto Santo) è legato alla Passione e Morte (e del sepolcro) di N.S. G. C., erroneamente i fedeli per
decenni hanno chiamato quegli altari "sepolcri" (se pur teologicamente sbagliatissimo in quanto nell'altare è riposto Gesù Presente e Vivo).
Orbene: poichè tra i "tradizionalisti" c'è la errata convinzione che il voler cambiare nome sia stata una innovazione ingiustificata della riforma pre conciliare e essi pertanto si ostinano nell'abitudine a chiamartli "sepolcri" solo per partito preso e per andare contro alla riforma e a tutto quello che pur buono è datato post 1969, ci pare opportuno per onestà intellettuale fare un po' di chiarezza, lasciando poi ad ognuno (noi compresi) la scelta di continuare la tradizione popolare e a chiamarli "sepolcri", ma almeno di farlo con cognizione di causa.
Il nostro lettore, che ringraziamo, ci ha inviato gentilmente le foto del suo messalino, nella diffusa e nota edizione della Pia Società san Paolo di Alba (la madre della attuale Casa Ed. San Paolo), in data 1943 (quindi molto tempo prima delle varie riforme del Messale e della Settimana Santa) con il nihil obstat della Curia di Alba. Alla nota 2 di pag. 426 (foto sotto) ai riti della S. Messa in Cena Domini del Giovedi Santo:
"Questo Altare è detto con termine liturgico Repositorio; ma dal popolo viene erroneamente chiamato (e ormai ne è invalso dappertutto l'uso) Sepolcro, quasi vi fosse rinchiuso Gesù morto in attesa della Risurrezione. In realtà la Chiesa Romana col rito della Reposizione del SS.mo Sacramento non intende affatto commemorare in alcun modo la sepoltura del Divin Redentore (del quale non ha ancora celebrato la morte); ma soltanto esporre alla pubblica e particolare adorazione dei fedeli il SS.mo Sacramento, di cui celebra oggi l'istitutzione; e conservare le Sacre Specie consecrate per la sinassi aliturgica di domani. Le prescrizioni liturgiche vietano perciò esplicitamente ogni segno di lutto attorno all'altare della Reposizione."
pag. 426, Giovedì Santo sopra,
e, sotto, il dettaglio con la nota 2 sulla precisazione
Sicuramente molti dei nostri lettori erano a conoscenza di questa precisazione, ma abbiamo voluto offrirla ai tantisismi giovani che ci seguono.
Noi, almeno fuor di liturgia, e pur consapevoli, continueremo a chiamarli affettuosamente "sepolcri". Come hanno fatto i nostri genitori, i nostri nonni, i nonni dei nostri nonni...
Roberto
A Napoli li chiamiamo "sepolcri", ma vedo che la gente che li fa è anche oggi abbastanza consapevole del fatto che non si tratta di un "sepolcro", solo che ne é invalso l'uso, ... e penso che non cambierà. E' in ogni caso sempre importante divulgare l'effettiva natura dell'atto della "reposizione" e, ovviamente, anche la corretta denominazione di esso.
RispondiEliminaNei secoli, l'altare della reposizione non è stato chiamato sepolcro senza una ragione. Nel medioevo, a partire circa dal X secolo circa, era usanza predisporre un secondo altare in cui il Venerdì Santo, alla fine della liturgia dei presantificati venivano deposte le sacre specie avanzate assieme alla croce e agli oli sacri in un vero e proprio rituale di sepoltura. ancora oggi nella Basilica di Aquileia è sopravvissuto uno di questi sepolcri costruito tra l'altro a imitazione dell'Anastasis di Gerusalemme. Non credo sia errato supporre che nelle chiese più piccole, per comodità si utilizzasse il medesimo altare già predisposto per il Giovedì sera. Ad ogni modo, informazioni si possono trovare in Mario Righetti, Storia Liturgica, Volume II pagina 233.
RispondiEliminaPer saperne di più e soprattutto per capire il termine "sepolcro" da dove deriva, bisogna leggere l'ultimo numero della rivista " LITURGIA CULMEN ET FONS" , LITURGIA E DEVOZIONI DELLA SETTIMANA SANTA n. 58 (anno 16 – numero 1 – marzo 2023). Lì è spiegato tutto bene!
RispondiEliminaCaro collega 18 aprile 2023 alle ore 19:41 lei ha postato una simpatica presa in giro: tutti i numeri di Liturgia Culmen et fons sono presenti in web fuorchè quello n.58 (anno 16 – numero 1 – marzo 2023). Buon divertimento.
EliminaQuel numero della rivista esiste, non è ancora disponibile per la libera consultazione perché è l'ultimo uscito, in rete c'è il link pdf riservato agli abbonati. L'articolo in oggetto s'intitola "LITURGIA E DEVOZIONI DELLA
EliminaSETTIMANA SANTA – Il Mistero Pasquale nei riti e nei simboli", di don Enrico Finotti.
L'anonimo che ha commentato alle ore 8.26 non è degno di risposta perché scrive solo per provocare e non fa funzionare il cervello, se ce l'ha.
EliminaQuello 8.26 provoca, mentre chi gli dà del senza cervello che fa?
Eliminain parrocchia da noi (novus ordo) lo si è fatto (e il parrocco ha ben sottolineato quanto era addobbato con i fiori), con veglia di preghiera dopo la Messa e adorazione notturna
RispondiEliminaCondivido tutto l'articolo ma Mi permetto di fare una precisazione: fino alla riforma degli anni 50 la messa in coena domini era di mattina quindi il giro delle chiese era il giovedì pomeriggio; il venerdì mattina c'era la messa dei presantificati della passione. Quindi il problema era la visione allegorica e non liturgica del problema.
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