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domenica 30 aprile 2023

Francesco il comunicatore. Con un ufficio stampa tutto suo, a Santa Marta

Ancora sulle due sale stampa vaticane (QUI MiL), quella ufficiale, e quella - più importante - ufficiosa.
Luigi

Settimo Cielo, 26-4-23
In partenza il 28 aprile per Budapest, Francesco non farà mancare i due momenti di maggiore impatto mediatico di ogni suo viaggio: la conferenza stampa sull’aereo di ritorno a Roma e il colloquio con i gesuiti del luogo, tenuto a porte chiuse ma poi trascritto e pubblicato da “La Civiltà Cattolica”.
In entrambi i casi, come sempre, parlerà a ruota libera, di ciò che vorrà e senza alcun vincolo, neppure rispetto a quanto da lui detto in precedenza, che non temerà di cambiare o contraddire se gli parrà opportuno, come più volte ha fatto. Agli uffici vaticani toccherà semplicemente trascrivere e mettere agli atti, in quel gigantesco e disordinato serbatoio di parole dette e scritte che costituirà per gli storici futuri il “magistero” di papa Jorge Mario Bergoglio.

Un “magistero” in cui c’è di tutto. E di troppo. Al punto che ai minutanti incaricati di archiviare i suoi discorsi da qualche tempo capita di dover ritagliare ed eliminare almeno qualche eccesso, locuzioni scurrili, parolacce da suburra.

Fino a pochi mesi fa era prassi corrente degli archivisti pontifici pubblicare tutto quanto Francesco diceva. Quando ricevendo delle persone o dei gruppi egli accantonava il discorso predisposto dagli uffici e parlava a braccio, si metteva poi tutto agli atti, sia il discorso non pronunciato, sia le parole effettivamente dette.

E questo anche quando pubblicare tutto era poco elegante, ad esempio il 24 ottobre scorso, quando nel ricevere seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma e nel rispondere a un’innocente domanda sul mondo digitale, il papa si lasciò andare a una enfatica digressione sul vizio di guardare immagini pornografiche, come fosse un vizio di tutti quanti i sacerdoti e seminaristi presenti e assenti, e in più anche delle suore e delle anime consacrate.

Il successivo 10 dicembre, però, a qualcuno in Vaticano la misura parve colma, perché nel dare udienza a seminaristi ed educatori di Barcellona, anche lì accantonando il testo scritto perché “noioso”, Francesco passò oltre il limite del pubblicabile, bollando carrieristi e arrampicatori con ingiurie da angiporto.

Non solo. Sempre parlando a braccio, il papa avrebbe ingiunto, nella confessione sacramentale, di perdonare tutto e sempre, “anche se vediamo che non c’è un proposito di pentimento”. In precedenza, aveva dato del “delinquente” al confessore che non assolve.

Sta di fatto che di questo discorso a braccio di Francesco – trapelato grazie ai resoconti dei numerosi presenti – ufficialmente non è stato pubblicato nulla. E così s’è fatto anche in altre occasioni successive, l’ultima il 17 aprile scorso, nell’udienza data dal papa alla comunità delle Beatitudini.

Anche la segreteria di Stato s’è sentita da qualche tempo in dovere di alzare un argine alle intemperanze verbali di Francesco.

Fino all’estate del 2020 era prassi anticipare di qualche ora ai giornalisti accreditati presso la sala stampa vaticana le parole che il papa avrebbe pronunciato all’Angelus domenicale, compresa l’appendice finale, spesso con riferimenti all’attualità e a questioni di politica internazionale.

Il 5 luglio di quell’anno, però, accadde che pochi minuti prima di mezzogiorno i giornalisti furono avvertiti che le quindici righe finali del testo loro distribuito non sarebbero state lette dal papa.

Erano righe calibratissime, le prime che Francesco avrebbe dedicato alla perdita di libertà di Hong Kong, fin lì da lui sempre taciuta. Rese poi note da vari organi di stampa, di fatto resero ancor più grave l’ulteriore silenzio del papa.

Da qui la decisione, per evitare altri incidenti, di anticipare da li in avanti alla stampa non più le parole finali degli Angelus, ma solo i commenti al Vangelo del giorno.

Riformando a suo modo la curia, Francesco ha istituito un dicastero il cui compito sarebbe proprio quello di occuparsi della comunicazione, con alla testa due titolati giornalisti laici, Paolo Ruffini e Andrea Tornielli.

Ma Bergoglio non ha mai mostrato una particolare predilezione per i canali di comunicazione ufficiali.

Le pochissime volte in cui ha fatto visita al quotidiano “L’Osservatore Romano”, ha umiliato chi vi scrive, dal direttore Andrea Monda in giù, con battute impietose sull’esiguo numero di copie vendute. E in dieci anni ha concesso al “giornale del papa” una sola delle sue innumerevoli interviste a destra e a manca. Un’intervista per di più sotto tono, ritagliata da una sua prefazione a un libro su san Giuseppe, che non ha fatto né poteva fare minimamente notizia.

Anche con la sala stampa della Santa Sede Francesco non lega. Lo scorso 29 marzo, quando il papa fu ricoverato in ospedale, un telegrafico comunicato ufficiale si limitò a dire che vi si era recato “per alcuni controlli precedentemente programmati”.

A pericolo scampato, però, fu Francesco in persona a dire qualcosa di completamente diverso. Prima ai giornalisti all’uscita dall’ospedale: “Sono ancora vivo”. Ma poi con qualche dettaglio in più in una telefonata – la novantesima in dieci anni – a un suo amico marchigiano di nome Michele Ferri, il quale ha riferito a un giornale queste testuali parole del papa: “Me la sono vista brutta. Sono arrivato incosciente in ospedale. Qualche ora di più, e non so se la raccontavo”.

Non sorprende, quindi, che in Vaticano si considerino presenti e attive non una ma due sale stampa: quella della Santa Sede e l’altra di Santa Marta, gestita quest’ultima personalmente dal papa.

In effetti, la smisurata quantità di interviste che Francesco concede alle testate più varie non passa per nulla dal filtro del dicastero per la comunicazione. Al più, se ne occupano quelli della ristretta cerchia personale del papa, da monsignor Dario Viganò a don Marco Pozza. Oppure semplicemente se ne occupa il papa da solo.

“L’Osservatore Romano” e altri canali ufficiali come Vatican News possono intervenire solo a cose fatte. Ad esempio, con un resoconto degli 83 minuti di colloquio di Francesco con una decina di giovani di tutto il mondo andato in onda il 5 aprile scorso sulla piattaforma streaming Disney Plus, registrato mesi prima in uno studio cinematografico della periferia romana di Pietralata. Un colloquio surreale, incalzato da domande sfrontate e spesso ostili, con una interlocutrice che si vanta di produrre e smerciare video pornografici “per valorizzarsi di più e stare meglio con sua figlia”, e col papa che consiglia di non aver paura a chiedere soldi al Vaticano per aiutare qualcuno: “Tu chiedi, dico loro, che tanto qui dentro rubano tutti! Perciò so dove si può rubare e ti mando i soldi”.

Un bizzarro, personale suo canale di comunicazione Francesco se l’è creato anche con la Russia, tramite un fiduciario sia del patriarca di Mosca Kirill che di Vladimir Putin, di nome Leonid Sevastyanov. È questi a rendere pubbliche le parole del papa da lui raccolte in incontri o in scambi di lettere. Senza mai una smentita, nemmeno quando ha rivelato che Francesco, di ritorno dal suo viaggio in Mongolia programmato in settembre, vorrebbe far tappa nell’estremo oriente della Russia, a Vladivostok, per visitare il Parco nazionale per la protezione dei leopardi, a uno dei quali ha anche già dato il nome di Martín Fierro, il “gaucho” protagonista dell’omonimo poema argentino…

Francesco utilizza anche Twitter, con 53 milioni di lettori. Da qualche giorno, però, il suo account è caduto sotto la mannaia di Elon Musk, padrone della rete, che gli ha tolto la certificazione di autenticità. A meno che paghi e si metta in regola. È una punizione che ha colpito anche altri personaggi famosi, dal patriarca Kirill, all’ayatollah Khamenei, a Donald Trump.

“In attesa di conoscere le nuove policy della piattaforma, la Santa Sede confida che esse comprendano la certificazione dell’autenticità degli account”: questo è stato il commento uscito dal Vaticano, non è chiaro se dalla sala stampa o da Santa Marta.