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domenica 7 maggio 2023

Don Barthe: "La predicazione morale, una predicazione politica"

Una bella riflessione sui disastri del post Amoris Laetitia: "Questo baluardo morale, di conseguenza molto debole, è stato rovesciato con l’attuazione del programma Martini da parte di papa Bergoglio, programma il cui primo intento è stato quello di ricredersi sul «rigorismo» di papa Wojtyla. Il blocco è saltato con Amoris lætitia, il cui principio di «misericordia» è applicabile a tutti gli altri settori in fiamme della morale". 
QUI: "Storia della difficile gestazione di Humanæ vitæ".
Luigi

Res Novae, 1-4-23
Continuando ad esplorare gli elementi, che possono rappresentare un’autentica riforma della Chiesa, dobbiamo segnalare come particolarmente importante la predicazione morale. Potrà essere un invito a vivere nel mondo senza essere del mondo, come in tutte le epoche del Cristianesimo, ma oggi potrebbe implicare, al di là di una critica dei costumi del mondo, per forza di cose, una critica anche delle stesse strutture del mondo, così come la modernità le ha stabilite, amorali o immorali, sganciando la legge degli uomini dal riferimento a quella di Dio, per farne espressioni della volontà generale.

Certo, il mondo è sempre stato cattivo, ma la società naturale e ancor meno quella cristiana non lo erano intrinsecamente, benché tanto l’una quanto l’altra fossero pesantemente segnate dai peccati dei loro membri. Invece, la società attuale, frutto lontanamente ma direttamente della Rivoluzione, è istituzionalmente costituita da «strutture di peccato», prima di tutte proprio il fatto che la legge non cerchi di punire il male e di favorire il bene intrinsecamente riferito alla volontà del Creatore, bensì di regolare l’ago della bilancia, che indica il bene, sull’opinione dominante. E, di fatto, le regole della vita sociale si discostano sempre più dal bene naturale col progressivo evolversi dei costumi ch’esse non governano, ma seguono. Oggi, nella fase avanzata di questo cambiamento, certo non tutti cedono, ma tutti sono spinti a cooperare col peccato tanto dalle cosiddette leggi quanto dalla pressione dell’opinione generale, della dittatura dei media, dall’avvilupparsi di vincoli economico-ideologici e ciò fin negli ambiti più personali dell’esistenza.

Ecco perché la predicazione morale, che intrinsecamente è politica in quanto mira al miglioramento dell’uomo, essere sociale, è oggi divenuta una predicazione politica antimoderna. E internamente a questo insegnamento morale, quello della morale coniugale, che non esaurisce – tutt’altro – il campo della morale sociale, rappresenta tuttavia un criterio particolarmente sensibile per le esigenze cristiane nella vita in società, essendo la famiglia per natura la cellula di una società essa stessa, costituita secondo l’ordine voluto da Dio. Astenersi dalla predicazione della morale familiare, a fortiori sostituire una morale mondana alla morale naturale e cristiana, contribuisce potentemente a far aderire i cattolici alla società moderna.

Dalla Casti connubii all’Humanæ vitæ

«Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra… Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Genesi 1, 28; 2, 24). La missione del matrimonio – procreare, vale a dire in qualche modo comunicare la creazione di Dio, generando ed educando – si realizza nella e per la comunione tra due esseri, uno sposo e una sposa.

Uno dei gravi attacchi, sferrati in modo estremamente radicale contro l’ordine armonioso iscritto da Dio nella creazione umana, è consistito nel promuovere la separazione artificiosa tra la procreazione e gli atti ad essa per natura ordinati.

Il malthusianesimo si è poco a poco diffuso in Occidente a partire dalla fine del XVIII secolo, nel mondo protestante, ma anche, sempre più, nelle aree cattoliche. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, le Congregazioni romane dovettero intervenire diverse volte (ammonimenti ai confessori; monito contro alcune pubblicazioni), per arginare quella che numerosi moralisti e predicatori denunciavano come una grave piaga. Pio XI intervenne con particolare vigore con l’enciclica Casti connubii del 31 dicembre 1930: «Poiché l’atto coniugale è, per sua stessa natura, destinato alla generazione dei figli, coloro che, compiendolo, si sforzino deliberatamente di privarlo della sua forza e della sua efficacia, agiscono contro natura; fanno una cosa vergognosa ed intrinsecamente disonesta».

Pio XI ricordava peraltro che una virtuosa continenza è sempre permessa nel matrimonio, quando i due sposi siano consenzienti. Pio XII, in un discorso alle ostetriche del 29 ottobre 1951, precisava che la scelta di questa continenza durante i periodi fertili della moglie era lecita per seri motivi medici o economici.

Lo stesso Pio XII, in continuità con la Casti connubii, insegnava a proposito dell’uso delle pillole contraccettive destinate a bloccare la fecondazione, che cominciavano ad essere immesse sul mercato: «”La sterilizzazione diretta”, dicevamo il 29 ottobre 1951, “cioè quella che mira, come mezzo o come fine, a rendere impossibile la procreazione, è una violazione grave della legge morale e dunque è illecita”. […] Bisogna respingere l’opinione di numerosi medici e moralisti, che ne permettono l’uso, quando un’indicazione medica renda indesiderabile un concepimento troppo ravvicinato o in altri casi simili, che non sarebbe possibile qui menzionare; in questo caso, l’impiego dei farmaci ha come fine quello di non consentire il concepimento, bloccando l’ovulazione; si tratta quindi di sterilizzazione diretta» (discorso del 12 settembre 1958).

È questo l’insegnamento, che Humanæ vitæ ha ripreso dieci anni più tardi, dopo tutte le peripezie riferite nell’articolo di don Jean-Michel Perrot, «Storia della difficile gestazione di Humanæ vitæ»: «La sterilizzazione diretta, tanto perpetua quanto temporanea, tanto nell’uomo quanto nella donna, è ugualmente da escludersi, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato. È altresì esclusa qualsiasi azione che, sia in previsione dell’atto coniugale, sia nel suo svolgersi, sia nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come fine o come mezzo quello di rendere impossibile la procreazione».

Dopo Amoris lætitia

Humanæ vitæ aveva rappresentato nel 1968 una sorta di miracolo anti-liberale in una situazione ecclesiastica, in cui il liberalismo dottrinale sovvertiva l’ecclesiologia tradizionale. Un insegnamento morale è stato poi sviluppato sotto Giovanni Paolo II con una serie di testi, tra cui Donum vitæ nel 1987, Veritatis splendor nel 1993. L’insegnamento fermo di papa Wojtyla in questo senso ha permesso lo sviluppo di una sorta di galassia Humanæ vitæ, ahimé spesso ridotta alla lotta per la «morale della vita», con un insieme di intellettuali a Roma (Università Lateranense, della Santa Croce) ed in altri luoghi (Spagna, Francia, America), un Consiglio pontificio per la Famiglia, un Istituto pontificio Giovanni Paolo II di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia, una serie di congressi internazionali con valore pari a proclami, che hanno costituito tante occasioni per i moralisti di tale famiglia spirituale per riunirsi a Roma. Però questi teologi, questi autori, questi giornalisti paradossalmente erano sostenitori dell’insegnamento pontificio ed, allo stesso tempo, rappresentavano una minoranza all’interno di una teologia liberale, il cui dissenso si concentrava sulla rivendicazione simbolica della comunione per i divorziati risposati e sulla critica di Humanæ vitæ, critica che una cascata di encicliche pontificie e di note e documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede non riusciva a fermare. In realtà, questo magistero morale era esso stesso minoritario, non soltanto perché non accettato da buona parte dei teologi conquistati dal relativismo, ma anche perché esso stesso minato dalla relativizzazione magisteriale, quella dell’ecumenismo, ad esempio.

Questo baluardo morale, di conseguenza molto debole, è stato rovesciato con l’attuazione del programma Martini da parte di papa Bergoglio, programma il cui primo intento è stato quello di ricredersi sul «rigorismo» di papa Wojtyla. Il blocco è saltato con Amoris lætitia, il cui principio di «misericordia» è applicabile a tutti gli altri settori in fiamme della morale. In questo modo la storia si ripeteva: ciò che è accaduto alla teologia morale wojtyliana al tempo di papa Bergoglio era capitato, a parità di condizioni, all’ecclesiologia pacelliana ai tempi del Concilio e di papa Montini.

Se dunque la grande debolezza di Humanæ vitæ e di quanto ne è derivato era d’essere una sorta di anomalia all’interno di un processo di adesione dei cattolici ai principi della società moderna, una predicazione morale in futuro dovrà riposizionarsi all’interno di un edificio, che non sia più fondato sulla sabbia, bensì su di un insegnamento teorico – ed allo stesso tempo molto concreto -, che espliciti in che modo vivere moralmente oggi in una società costruita contro la legge naturale e contro la legge del Vangelo. Ad esempio, la denuncia da parte dei pastori della Chiesa delle leggi ingiuste dovrà essere accompagnata da un richiamo ai principi generali, che ordinano la vita dello Stato, ma anche da una formazione dei cattolici, affinché si posizionino moralmente in un universo politico radicalmente viziato dall’assenza del perseguimento del bene comune: organizzazione di una sopravvivenza cattolica, dell’educazione delle nuove generazioni, di una lotta – sia essa di vastissimo respiro – per uscire dal quadro di una società costruita sui principi della modernità. Non si può trattare di etica familiare e di difesa della vita senza integrarli con un intento di restaurazione della regalità di Cristo sulla Città.

Don Claude Barthe