Non riusciamo veramente a capire l'avversione palese che il S. Padre Francesco ha verso la vita contemplativa.
Luigi
Il Sismografo, 5-3-23
(Filippo Di Giacomo, Il Venerdì di Repubblica) In Italia scorre un fiume di lacrime che, narrato puntualmente dalla stampa locale, non bagna quella nazionale. A piangere sono le suore contemplative italiane, le “monache di clausura”.
Già con l’esortazione Gaudete et exsultate del marzo 2018 avevano ricevuto un avvertimento da un Papa che diceva «non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio».
Subito dopo, il colpo di grazia, arrivato il primo aprile, dal cardinale João Braz de Aviz (focolarino noto per i suoi capelli perennemente tinti di nero) e da monsignor José Rodríguez Carballo (noto per il fallimento finanziario dei francescani quando era loro generale) con l’istruzione Cor orans. Il testo è un prolisso ukase così sgangherato nella sua presunta “giuridicità” da apparire esagerato persino per l’infelice stagione che il diritto canonico sta vivendo. Il nocciolo del problema è la perversa intenzione di annullare l’autonomia dei monasteri. Dal VI secolo, il mondo claustrale femminile si autodeterminava liberamente e democraticamente, con la propria Regola di vita e le Costituzioni. Con la Cor orans (prima, con Vultum Dei quaerere del 2016), i monasteri sono inseriti in un meccanismo burocratico fatto per umiliare e svilire quelli più “deboli”. Questi ultimi vengono svuotati dei loro risparmi, le suore disperse e gli immobili, non di rado, sottoposti a speculazioni.
In queste settimane diversi sindaci stanno difendendo le monache lamentando persino la privazione dei loro mezzi di sostentamento. E sulla stampa nazionale c’è chi sostiene che le donne stanno entrando nei processi decisionali della Chiesa. Sembra una battuta, ma le claustrali non ridono.