SEZIONE II
Le soluzioni,
di regola, è bene che non nascano da un pianificatore centrale ma dai corpi
intermedi e dall’esuberanza creativa di ciascuno, motivo per cui il sistema
proposto si svilupperà con peculiarità artistiche, stilistiche e
socio-politiche non prevedibili. Ci si trova infatti in una situazione di forte
complessità e gli individui, se lasciati agire in una prospettiva di sana
naturalità, si svilupperanno ad immagine delle cellule di un organismo che
mantengono la propria specificità sebbene finalizzate, come le altre, ad un
unico fine.
L’autonomia
dell’individuo è da incoraggiare ma non come ricerca egoistica della propria
felicità nei propri micro-spazi. L’autonomia deve essere invece incoraggiata
come realizzazione dell’individuo nella sua relazione con gli altri, nel suo
campo di dominio e di responsabilità (famiglia, impresa…) dove l’autorità di
governo (in ciascuna istituzione intermedia) avviene con la maggiore
indipendenza possibile e nel principio che le responsabilità vengono devolute
ad enti maggiori solo qualora strettamente necessario. La vitalità che
contraddistingue l’uomo si sviluppa coniugando due principi apparentemente opposti:
autorità e libertà. Il risultato è lo sviluppo di un governo condiviso tra
istituzioni di diverso grado in cui lo Stato è solo uno dei tanti livelli. Tra
gli esempi storici, individuiamo:
·
La famiglia dove in un
delicatissimo equilibrio nasce, cresce e si forma la persona. Qui si sviluppano
quelle sacche di risparmio che rendono più resistente una società, creano una
redistribuzione più giusta (capace di valutare caso per caso) e dove vengono
svolti innumerevoli lavori comunemente ignorati dai sistemi di misurazione
macroeconomica per il solo fatto di non passare per il mercato e non essere
contabilizzati. Infine le famiglie numerose e che tengono traccia delle proprie
tradizioni possono sviluppare modelli virtuosi al loro interno agevolando un
sistema di emulazione con la raccolta di best practice.
·
Le corporazioni medievali hanno
avuto i ruoli più svariati, tra cui quello previdenziale, la costruzione e il
mantenimento di chiese e monumenti, il sostegno a vedove ed orfani, etc. Oggi,
alcune di queste istituzioni possono assomigliare (sebbene, spesso, degenerate)
alle associazioni industriali o dei lavoratori.
·
Il sistema feudale, nel Medioevo,
caratterizzato da un forte personalismo e un forte ruolo della famiglia,
consisteva in relazioni adattive sorte spontaneamente per un reciproco servizio
tra individui. Esattamente l’opposto della contrapposizione che si respira in
una società basata sulla lotta tra classi o tra generazioni o tra sessi.
Ovviamente questo tipo di vincolo, nato per la protezione dalle orde
barbariche, sarebbe anacronistico se riproposto oggi, motivo per cui una nuova
classe di leader occorre che sorga spontaneamente tra personalità
potenzialmente appartenenti a svariati campi (es. in campo artistico,
accademico, professionale, spirituale).
·
La Chiesa seppur in ambiti
distinti e indipendenti dallo Stato, è bene che collabori con quest’ultimo in
direzioni parallele. Se la Chiesa è bene che si focalizzi sulla salvezza delle
anime e, solo in secondo luogo al bene comune temporale, per converso lo Stato si
deve concentrare sul bene comune e, solo in secondo luogo, allo sviluppo delle
virtù. Come si può ben immaginare, i due fini si intersecano, sviluppano e
rafforzano a vicenda.
Questo sistema
sussidiario richiede un sistema di governo leggero e soggetto a
limiti, come quello del monarca medievale. L’autorità, che è vista dalla
modernità come intrinsecamente tirannica (salvo, tollerare un unico tiranno: lo
stato moderno), deve diventare leggera e con un’impronta molto “personale” e far
sì che l’influenza di chi governa si basi di più sul prestigio che sul comando
(esattamente al contrario di quanto avviene oggi). In questo modo:
·
lasciando libertà ai corpi intermedi è possibile
far sviluppare autonomamente una società vitale e vibrante che si sviluppa in
un mosaico di vere e sane diversità - in opposizione alla moderna tendenza di
massificazione;
è
di conseguenza si sviluppa una solidarietà e una
collaborazione tra persone che supplisce a tanti inutili, ipocriti e
inefficienti interventi dello Stato.
Uno Stato con
meno competenze comporta meno inefficienze e meno denaro necessario per
mantenerne la sua dimensione mostruosa. A questo proposito si consideri che lo
storico dell’economia Carlo Maria Cipolla quantificava la pressione fiscale nel
Medioevo tra il 5 e l’8%. Inoltre il sistema nobiliare, con le sue famiglie
reali, era segno di forte unità in contrapposizione a partiti, fazioni e
organismi moderni che finiscono per creare un continuo clima di competizione e
di lotta.
Sarebbe
auspicabile tornare a “trovare” le leggi piuttosto che “crearle”.
La “prassi” e la “consuetudine” veniva considerata da diversi teologi medievali
di ordine superiore rispetto alla legge in quanto nata dalla conoscenza e
l’esperienza e non dal volere estemporaneo di un’autorità esterna. “Lex facit
regnum”: pertanto era considerato dovere morale dei cittadini disobbedire
ai governanti quando violavano la legge. Tra prassi, consuetudine e sentenze,
si sviluppò un sistema di “common law” che andava a limitare fortemente
la discrezione dei regnanti, già soggetta alla limitazione della Legge di Dio:
“lex injusta non est lex”.
Anche la moneta
sarebbe bene che godesse di uno stato di maggiore libertà. Vediamo che nel
Medioevo non era imposta a livello nazionale ma spesso coesistevano più valute
emesse da autorità di grado diverso, diminuendo in questo modo le criticità che
sono legate all’esistenza di un unico sistema monetario centralizzato.
A questo
corollario di proposte pratiche, l’autore fa seguire una fine analisi di
carattere più spirituale e teologico. Ad esempio, sviluppa un’accurata disanima
su come le virtù cardinali dovrebbero riproporsi come fondamento
di questo nuovo ordine. Per ragioni di sintesi, rimandiamo alla lettura del
testo completo presto disponibile in italiano nel catalogo della casa editrice
Fede e Cultura.