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martedì 29 novembre 2022

Mons. Bettazzi e l’aborto: che dire?!?

Qualche settimana fa - MiL ne ha dato contezza qui - Mons. Giuseppe Bettazzi ha pubblicato sul n. 15/16 del quindicinale “Rocca” alcune considerazioni in base alle quali l’aborto potrebbe considerarsi moralmente tollerabile, purché eseguito entro i primi mesi di gestazione (mi pare quattro/cinque): esso «sarebbe, più che omicidio, eventuale reato (o peccato), anche grave, ma di altra configurazione, a seconda delle motivazioni per cui si procura l’aborto (dalla leggerezza o dall’egoismo, dal rifiuto dello stupro al bene di un embrione mal composto)». Un peccato, forse, e forse «anche grave», ma - sembra sottinteso - forse anche no, e forse anche lieve, a seconda delle intenzioni, e della considerazione che il feto, all’inizio della gestazione, potrebbe non essere ancora «autentica persona umana», e l’aborto potrebbe essere orientato «al bene di un embrione mal composto». Gli ha fatto eco, sempre su Rocca, un teologo, Don Giannino Piana, noto moralista liberal, che ha subito sposato la posizione del quasi centenario emerito di Ivrea, definendola “lucida”: quasi a voler escludere che essa sia il frutto di un brutto scherzo dell’età avanzatissima. D’altra parte, lo stesso Piana è ultraottuagenario: dunque anch’egli ben radicato nella cultura dei formidabili anni ’60 e ’70. Pare, infine, che Mons. Bettazzi abbia ribadito la sua tesi al Salone dei 2000 della Fondazione Olivetti di Ivrea, lo scorso ottobre. E forse qualche avvisaglia di quest’ultimo approdo del Presule si potrebbe rinvenire anche in sue precedenti dichiarazioni.

Non intendo entrare specificamente nel merito delle tesi dell’ultimo Vescovo italiano ancora vivente tra quelli “che hanno fatto il Concilio”: chi volesse approfondirle in ottica teologica e filosofica, potrebbe farlo partendo da qui. Vorrei però fare due considerazioni di taglio generale (la seconda - me ne scuso sin d’ora - consisterà largamente in un’autocitazione).

Ecco la prima: le affermazioni di Mons. Bettazzi, che per di più provengono da un Vescovo, ancorché emerito, sono, a tutti gli effetti, dirompenti. Credo di non esagerare se dico che si potrebbe gridare allo scandalo per molto meno; fino a pochi anni fa - diciamo prima del 2013, e, soprattutto, durante il pontificato di S. Giovanni Paolo II – un episodio del genere avrebbe suscitato come minimo un clamore incontenibile. Oggi, però, sta tutto passando quasi sotto silenzio: non nel senso che la cosa venga tenuta nascosta, ma nel senso che - salvo qualche nobile, ma rara, eccezione - è caduta nell’indifferenza generale. Anche presso gli ambienti più ortodossi le parole del presule hanno suscitato forse dolore, ma non sorpresa, poca indignazione, scarse reazioni. Per accorgersene, basta digitare “Bettazzi aborto” su un qualsiasi motore di ricerca internet: ne usciranno pochi risultati, ascrivibili a pochi soliti noti. Anche chi, ben fondatamente, ha criticato, sembra averlo fatto sapendo che il tema non avrebbe scaldato gli animi. È preoccupante: vuol dire che ormai siamo abituati al peggio del peggio, lo consideriamo normale, inevitabile, scontato. I “cattivi” hanno raggiunto un obiettivo importante, hanno più che spalancato la finestra di Overton: ci hanno ridotto alla totale passività, all’indifferenza, all’accettazione di ogni cosa, alla convinzione che ormai il punto di non ritorno è stato superato, e che non vale più la pena di prendersela. È come se, sulla barca di Pietro travolta dalla tempesta, anche i buoni si fossero addormentati: ma non per fiducia nel Signore, che placherà senz’altro i marosi, ma per disperata rassegnazione. Se il naufragio è ormai inevitabile, tanto vale cercare l’oblio, addormentarci, anzi anestetizzarci, e aspettare così la fine. Per il nemico sarebbe un bel risultato: affondare la barca, e dannare i pochi o tanti buoni marinai rimasti a bordo.

La seconda considerazione è di taglio - diciamo così - politico: la vicenda di Mons. Bettazzi, il potenziale via libera all’aborto, pur nella consapevolezza che esso «verrebbe a sovvertire la concezione dell’aborto da parte della Chiesa (che peraltro battezza eventualmente il feto «sotto condizione», la condizione che sia già uomo?) nel suo tradizionale orientamento» (così il Presule nell'articolo citato), ben si inseriscono in una tendenza avviata ormai da tempo, e non contrastata, purtroppo, dai vertici della Chiesa (lo stesso Mons. Bettazzi sembra volersi far scudo del fatto «che Papa Francesco dica che la realtà è più importante dell’idea, le è superiore (Evangeli Gaudium 231-3)»); tendenza che può considerarsi quasi consolidata.

È a tal proposito che cedo alla tentazione di autocitarmi. Nel 2016, Messa in Latino pubblicò un mio post nel quale scrissi: «secondo me, è da tempo che una larga fetta di pastori (dell’alto e basso clero), probabilmente maggioritaria nelle sedi dove si conta davvero, si è convinta che per sopravvivere nella modernità la Chiesa non possa più condannare ciò che invece il mondo - cioè il pensiero mainstream, come viene veicolato dai media - approva; mentre possa tranquillamente condannare ciò che anche il mondo condanna (per cui non è vero che la Chiesa si astiene dalle condanne tout-court: si astiene solo da quelle scomode). Da ultimo, questa tendenza si è spontaneamente evoluta: da incapacità-indisponibilità a condannare, a volontà di approvare. Ciò che il mondo approva, la Chiesa non si limita più a non condannarlo: si sente tenuta ad approvarlo anch’ella».

In un altro post, del 2017, rincarai la dose: «L’obiettivo finale (il vero obiettivo) è che la Chiesa - anche la Chiesa - approvi ciò che il mondo approva, anche se fino a ieri lo condannava, come condannava il divorzio, che per il mondo, invece, è un bene, una chance concessa alla felicità delle persone. Così, si pensa, la Chiesa - messa da parte la dottrina come irrilevante gioco intellettuale - sarà accettata dalla e nella modernità, poiché ad essa si sarà sostanzialmente uniformata. Si tratta di un obiettivo effettivamente rivoluzionario, perché ribalta completamente l’approccio della Chiesa rispetto al mondo: non più realtà da convertire, ma habitat confortevole cui adattarsi - anche, se, probabilmente, per cercare di controllarlo “dall'interno”, acquisendovi potere secondo i meccanismi del potere mondano, politicamente, e, così, in virtù della condivisione fondamentale di una medesima Weltanschauung».

E in un pezzo, pubblicato dagli amici di Campari & de Maistre nel 2018, ci ricascai, sempre in merito alla voluntas probandi dilagante nella Chiesa: «Poi c’è la questione dell’aborto. Questa è una grana ben più grossa. Perché se il divorzio è già da un pezzo che non lo si condanna più o quasi, l’aborto no, quello lo abbiamo condannato anche molto aspramente fino a ieri, per non dire fino a questa mattina. Dunque a parole bisogna insistere, e se ne parliamo dobbiamo ribadire la condanna, magari facendo attenzione che il pubblico la pensi già più o meno come noi. Però […] se a parole non possiamo smettere di condannarlo, possiamo sicuramente smettere di combatterlo a livello culturale, sociale e politico».

Ebbene (e qui, dopo l’autocitazione, che è sempre alquanto riprovevole, ci sta un po’ di forte ed espiatoria autocritica), pare che in realtà mi fossi sbagliato. Sbagliavo nel ritenere che, quanto all’aborto, ci si sarebbe limitati a smettere di combatterlo, continuando però a condannarlo. Non è così. Anche per quel crimine, sta venendo il tempo dell’approvazione. E se questo tempo matura senza sostanziali opposizioni da parte di nessuno, dopo l’approvazione dell’aborto verrà l’approvazione dell’eutanasia, e poi di chissà quale altro ritrovato dell’inquilino del piano di sotto. Quanto alle unioni omosessuali, siamo già alla proposta espressa di benedirle. E, se non ricordo male, tempo fa si pensò all’assistenza spirituale di coloro che scelgono il suicidio assistito. Perché quando si è toccato il fondo senza nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di risalire, è certo che qualcuno incominci a scavare, ed è tristemente probabile che molti, la maggioranza, finiscano per dargli una mano…

Non cessiamo, dunque, di affidarci, contro ogni speranza (“s” minuscola), ma saldi nella Speranza (“s” maiuscola), al Cuore Immacolato, perché sappiamo che trionferà. Lo farà quando tutto sembrerà perduto, quindi potremmo quasi esserci… E non dimentichiamo di pregare per Mons. Bettazzi e per Don Piana.

Enrico Roccagiachini