Un'interessante articolo di Peter Kwasniewski sulla genesi del Novus Ordo Missae.
Stefano
Questa traduzione è stata possibile grazie alle donazioni dei lettori di MiL
È giusto chiamare "Novus Ordo" la creazione di Paolo VI?
di Peter Kwasniewski – New Liturgical Movement, 17 ottobre 2022
Coloro che dedicano del tempo alle discussioni liturgiche sono sicuri di incontrare ad un certo punto la seguente obiezione: “Non dovresti parlare del ‘Novus Ordo’ o della ‘Messa Novus Ordo’. Non si chiama così. Questa è un’etichetta tradizionalista – un modo per attaccare il messale riformato di Papa San Paolo VI”, ecc.
La questione merita uno sguardo più attento.
Se “Novus Ordo [Missae]” non è il modo tipico con cui il Vaticano stesso, dopo il 1969, ha preferito denominare il rito della Messa creato dal Consilium e promulgato da Paolo VI il 3 aprile 1969, è comunque un'espressione che si trova in un paio di documenti ufficiali e non sembra avere un significato negativo se non più tardi.
La prima cosa da riconoscere è che Paolo VI ha costantemente unito la parola “nuovo” alle sue riforme liturgiche in atto negli anni ’60. Ad esempio, nella sua udienza generale del 17 marzo 1965, parlò di un “nuovo ordine [del culto]”, di un “nuovo schema di cose”, di “nuovi libri liturgici”, di “nuova forma”, di “nuova liturgia”, “nuova abitudine” e “innovazione liturgica” - e tutto questo, su cambiamenti molto meno drastici di quelli che avrebbe promulgato quattro anni dopo. A fortiori, l’applicazione di novus al messale del 1969 è del tutto giustificata sulla base delle abitudini nell’uso del linguaggio del suo stesso promulgatore.
Non dimentichiamo che molte cose che la gente oggi suppone che siano entrate con il Novus Ordo nel 1969 esistevano già prima di esso, poiché la liturgia tradizionale è stata progressivamente smantellata negli anni ’50 e ’60: rivolgere il sacerdote verso il popolo, cosa che è avvenuta per la prima volta con il deplorevole rito della Domenica delle Palme di Pio XII; far dire al popolo il Padre Nostro nella liturgia insieme al sacerdote, cosa mai fatta nella tradizione romana prima del nuovo rito del Venerdì Santo di Pio XII; recitare le preghiere della Messa in lingua volgare, cosa che è entrata qua e là sperimentalmente; lasciar cadere le preghiere ai piedi dell’altare e l’ultimo Vangelo, taglio avvenuto nel 1965; introdurre nuovi lezionari ad experimentum; l’ammissione di molteplici Preghiere Eucaristiche; l’eliminazione di alcuni paramenti liturgici; e così via.
Venendo al nostro argomento: nell’udienza generale del 19 novembre 1969, che tentò di spiegare perché si dovesse imporre un nuovo messale, Paolo VI — questa volta con molta più giustizia — parlò di “un nuovo rito della Messa” (quattro volte), “un nuovo spirito”, “nuove direttive”, “nuove regole”, “innovazione”. Nell’udienza generale di una settimana dopo, ha citato “l’innovazione liturgica del nuovo rito della Messa” e ha citato sette volte il “nuovo rito”; ha usato parole come “nuovo”, “novità”, “rinnovamento”, “innovazione”, “novità”, per un totale di 18 volte. Commento in dettaglio queste due udienze generali nel capitolo 4 del mio nuovo libro edito da TAN, The Once and Future Roman Rite: Returning to the Latin Liturgical Tradition after Seventy Years of Exile[1].
È interessante notare che il cardinale Alfredo Ottaviani, uno dei più alti prelati vaticani (nonostante l’enorme odio rivoltogli dalla fazione antiromana al Concilio) e per lungo tempo capo del Sant’Uffizio, ha usato l’espressione “Novus Ordo Missae” 18 volte nel famoso “Intervento Ottaviani” del 25 settembre 1969 – più propriamente intitolato Breve esame critico del Novus Ordo Missae – firmato insieme al cardinale Antonio Bacci e sottoposto a Paolo VI. [2] Usa l’espressione come se fosse abbastanza ovvia, familiare e ineccepibile, e per quanto ne so nessuno all’epoca ne contestò l’adeguatezza, anche se molto altro nello studio critico fu oggetto di accesi dibattiti.
A mia conoscenza, la prima volta che l’espressione “Novus Ordo Missae” compare in un documento del magistero pontificio è in un discorso pronunciato da Paolo VI (testo qui) in un concistoro per la nomina di venti cardinali il 24 maggio 1976. In questo indirizzo usa l’espressione novus Ordo [Missae]: “usus novi Ordinis Missae” e “novus Ordo promulgatus est” (“l’uso del nuovo Ordinario della Messa”; “il nuovo Ordinario è stato promulgato”) [3].
Nell'aprile del 2010 l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice ha inserito nel sito vaticano un breve documento dal titolo “The Priest in the Concluding Rites of the Mass”. Sorprendentemente, sebbene il testo richiami alla mente Benedetto XVI e il regno del suo Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Guido Marini, e sebbene faccia ampio riferimento a forme “ordinarie” e “straordinarie”, rimane ancora nel sito vaticano (qui). In questo documento si fa riferimento al “Novus Ordo” (tout court) e al “Vetus” [Ordo], sia pure usando virgolette per quest’ultimo termine.
Tutto quanto sopra mi era noto prima di scoprire un articolo su Pray Tell di Max Johnson datato 14 gennaio 2010: “From Where Comes ‘Novus Ordo’?” (Pray Tell avrebbe forse optato per il titolo più eloquente “Whence Cometh ‘Novus Ordo’?”, ma lo spirito di Comme le Prévoit ha prevalso a lungo in quei luoghi.) Come ci si aspetterebbe, l’articolo lamenta che la frase è diventata un’arma da parte dei tradizionalisti in un “titolo” per la Messa invece di essere una semplice descrizione passeggera, come dire “nuovo innario” o “nuovo libro splendente”, che non ha alcun significato sostanziale (teologico). Questo punto di vista sembrerebbe difficile da sostenere alla luce del vero e proprio peana di Paolo VI per l’innovazione nelle udienze del 1969 sopra menzionate. Le modifiche apportate alla Messa non sono solo accidentali o superficiali, come un nuovo carattere tipografico o una nuova rilegatura per un messale, ma sono incise nell’osso e nel midollo del rito.
La conclusione a cui sono giunto è, comprensibilmente, molto diversa da quella di Pray Tell. Penso che sia giusto chiamare quanto è stato realizzato dal Consilium “novus”, che significa sia nuovo che strano. Qualunque cosa sia, non è sicuramente il Rito Romano, come dimostro su più basi in The Once and Future Roman Rite. L’implacabile critica tradizionalista ha infatti fatto di “Novus Ordo [Missae]” un termine peggiorativo - e questo non è peggio di quanto meriti.
NOTE
[1] Quel capitolo stesso è una versione riveduta e ampliata di una conferenza il cui testo può essere reperito qui.
[2] Testo disponibile presso EWTN qui; per ulteriori informazioni sulla sua storia, vedere qui.
[3] Una nota sulla terminologia. Al giorno d’oggi la frase “Novus Ordo” è stata estesa per significare praticamente la stessa cosa di “i riti liturgici riformati”. Così si sentirà parlare di “battesimo Novus Ordo”, “breviario Novus Ordo” e simili. Anche se comprendiamo facilmente cosa si intende, sarebbe più corretto dire “nuovo rito del battesimo”, “nuova liturgia delle ore” e così via, poiché “Novus Ordo” è solo una forma abbreviata di “Novus Ordo Missae”: si tratta specificamente del rito della Messa seguito nella celebrazione dell’Eucaristia. Tuttavia, si può giustamente fare riferimento al “lezionario Novus Ordo” e al “calendario Novus Ordo” a causa di quanto siano strettamente associati ai libri liturgici per la Messa.