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martedì 13 settembre 2022

Roberto de Mattei: "Un sacramento mortificato: la Penitenza"

Una bella riflessione del prof. Roberto de Mattei sul Sacramento della Confessione.
I sacerdoti e i Vescovi devono vigilare anche sui sacramenti e...meritarsi l'8 per mille!
Luigi

11-8-22
I cattolici fedeli al Magistero immutabile della Chiesa sono giustamente scandalizzati dalle irriverenze ed offese al santissimo sacramento dell’Eucarestia, come è accaduto con la Messa celebrata su un materassino gonfiabile nel mare di Crotone (https://www.corrispondenzaromana.it/la-messa-sul-materassino-o-il-rito-romano-antico/). I sacramenti della Chiesa, tuttavia, sono sette e ne esiste un altro che viene continuamente mortificato: il sacramento della Penitenza.
Il sacramento della Penitenza è sgradito a molti perché esso esige da parte del penitente un sincero pentimento dei propri peccati, unito al proposito di non più commetterne. Il pentimento è considerato dai neo-modernisti come un sentimento servile, non richiesto dall’amore misericordioso di Dio. Questa posizione coincide con quella dei giansenisti, che la espressero nel XVIII secolo, ma furono confutati da sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), il grande dottore della Chiesa proclamato da Pio XII «celeste Patrono di tutti i confessori e moralisti».

Il pentimento, che si manifesta in una sincera confessione e in una volontaria accettazione delle opere satisfattorie imposte dal confessore, costituisce uno degli elementi costitutivi del rito sacramentale della Penitenza. Il Concilio di Trento lo definisce «un dolore dell’anima e una detestazione del peccato commesso con il proposito di non più peccare» (Sess. 14, cap. 4). Esso si distingue in perfetto o imperfetto. Quello perfetto nasce dal cuore del penitente, che si duole del peccato, poiché è un’offesa recata a Dio. E’ detto anche contrizione. Per accostarsi però al sacramento della Penitenza è sufficiente il dolore imperfetto, o attrizione, che sorge nell’anima di chi rinnega seriamente il peccato, per un motivo soprannaturale (come il timore dell’inferno), ma inferiore alla carità perfetta.

Ma quali sono le condizioni perché l’attrizione raggiunga quel grado di sufficienza necessario per la validità del sacramento? I giansenisti ritenevano che l’attrizione non fosse sufficiente, perché mancava in essa un puro amore di Dio e che per il compimento del precetto fosse necessaria una perfetta contrizione. Sant’Alfonso de’ Liguori replicò, chiarendo che il timore dell’inferno e della divina giustizia contiene già un initium amoris, in quanto il timore dell’inferno è implicitamente il timore di perdere Dio; si teme il castigo perché inflitto da Dio, autore della felicità che si vuol possedere. «Più precisamente l’attrizione include un amore iniziale perché contiene: 1. Il timore della vendetta divina, timor Dei initium dilectione eius; 2. La speranza del perdono; 3. La speranza della beatitudine. Il penitente ordinario che si accosta alla confessione con la sola attrizione, incomincia ad amare Dio come suo liberatore, giustificatore e glorificatore» (Giuseppe Cacciatore, Sant’Alfonso de’ Liguori e il giansenismo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1942, p. 468).

L’errore del giansenismo era quello di non scorgere l’azione di Dio in un atto che, pur non essendo per sé stesso giustificativo, è però nella via della giustificazione, alla quale arriva attraverso il sacramento. Altrimenti, nessuna azione umana potrà essere moralmente buona se non ha per fine l’amore di Dio. Per questo il Concilio di Trento afferma che la contrizione imperfetta, o attrizione, è un dono di Dio ed un impulso dello Spirito Santo, che non abita ancora nell’anima, ma che la muove, preparando la via alla giustizia. E quantunque per sé, senza il sacramento della Penitenza, tale contrizione imperfetta sia impotente a condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio che riceverà nel sacramento.

La morale rigorista dei giansenisti favoriva di fatto una via alla comunione indipendente dalla Penitenza e riservata, in casi rari, a pochi eletti, capaci di un puro e disinteressato amor di Dio. La morale lassista dei neo-modernisti afferma invece che il dono dell’amor puro è concesso a tutti e rende di fatto inutile il sacramento della Penitenza. Il neo-modernismo nega il valore dell’attrizione, perché pretende di sostituire alla “religione del timore” la “religione dell’amore”, senza fare riferimento al pentimento dei peccati e alla possibilità della perdizione eterna. Queste deviazioni dottrinali, come ha ben spiegato il teologo don Tullio Rotondo, sono presenti nell’Esortazione post-sinodale di papa Francesco Amoris Laetitia (Tradimento della sana dottrina attraverso Amoris laetitia, Youcanprint, vol. I, pp. 157-400). Un elemento fondamentale della contrizione è infatti il proposito di non peccare e di fuggire le occasioni prossime al peccato, che Amoris Laetitia di fatto vanifica. Senza contrizione, perfetta o imperfetta, e quindi senza proposito di non più peccare «non c’è perdono dei peccati, non c’è la riconciliazione con la Chiesa, non c’è il ricupero dello stato di grazia, non c’è la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e delle pene temporali che sono conseguenza del peccato, non c’è la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito, non c’è l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno» (p. 190).

C’è una seconda ragione per cui i neo-modernisti tentano di vanificare il sacramento della Penitenza. La Penitenza è sempre stata odiata dagli eretici perché, più di ogni altro sacramento, esprime il potere giudiziale esercitato dalla Chiesa. Questo potere è stato conferito agli Apostoli e ai loro successori da Gesù Cristo stesso, Capo supremo della società ecclesiastica (Mons. Antonio Piolanti, Teologia sacramentaria. Sintesi dogmatica in prospettiva cristologica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 124-125).

La gerarchia apostolica esercita infatti nella Chiesa due poteri misteriosamente uniti nelle stesse persone: la potestà di ordine e la potestà di giurisdizione. La prima è il potere di distribuire i mezzi della grazia divina; la seconda è il potere di governare i fedeli. «Uno dei compiti del potere di giurisdizione – spiega il cardinale Journet – è quello di determinare le condizioni di esercizio del potere di ordine. Sotto questo aspetto, è il potere d’ordine che dipende dal potere di giurisdizione. Ne dipende sempre per ciò che attiene al suo esercizio legittimo. Ne dipende anche talvolta per ciò che attiene al suo esercizio valido: è per questo che una giurisdizione è richiesta per l’amministrazione valida del sacramento della Penitenza» (L’Eglise du Verbe incarné, Desclée de Brouwer, Paris 1941, vol. II, pp. 34-35).

La Messa celebrata in mare su di un materassino è una Messa blasfema ma presumibilmente valida, perché il carattere sacerdotale, impresso dal sacramento dell’ordine, è indelebile. Se, invece, un sacerdote, anche perfettamente ortodosso, è privo della giurisdizione richiesta per l’amministrazione della Penitenza, la sua confessione non è solo illecita, ma invalida, salvo casi eccezionali previsti dal diritto canonico. Chi ignora o minimizza questo aspetto, sottrae alla Chiesa il suo carattere di istituzione, per ridurla a un organismo puramente spirituale, come fanno i modernisti.

La Madonna chiese a suor Lucia che la comunione riparatrice dei primi sabati del mese fosse preceduta o seguita, nello spazio di una settimana, dalla confessione. Nel Terzo segreto di Fatima, il triplice richiamo dell’Angelo alla penitenza si riferisce innanzitutto a uno spirito di autentico pentimento, ma comprende anche il ricorso frequente al sacramento della Penitenza, legittimamente esercitato. Nella santa comunione siamo incorporati a Cristo, ma la confessione ci incorpora alla Chiesa di Cristo, che non è un organismo invisibile, ma una società reale, gerarchica e giuridicamente organizzata. Per i membri della Chiesa militante, comunione frequente e confessione frequente vanno dunque di pari passo.