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sabato 27 agosto 2022

Aurelio Porfiri: "Vivere la liturgia, vivere la musica sacra"

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal Maestro Aurelio Porfiri
Luigi

Per via della mia età sono stato abbastanza fortunato nel conoscere musicisti di Chiesa che furono attivi prima del Concilio, a volte anche alcuni decenni addietro. Ho conosciuto anche sacerdoti che erano stati ordinati ed avevano vissuto nella Chiesa preconciliare e con loro ho avuto molte conversazioni in cui loro mi donavano le memorie di un tempo passato. Potevo in effetti imparare tanto. Ma una cosa mi è sempre rimasta impressa.
Riguarda il racconto della vita liturgica e musicale di un tempo, che era veramente intensa e non paragonabile, pur considerando i suoi limiti, a quella di oggi. Ricordo di aver incontrato negli anni ‘90 in cantoria nella Basilica di Santa Maria Maggiore un cantore già molto anziano in visita ai suoi vecchi colleghi e che era circondato quasi da un alone leggendario per la sua perizia vocale e per la sua eccezionale capacità di lettura musicale. Mi raccontarono gli altri cantori che gli fu proposto di entrare nella Cappella Sistina ma che egli rifiutò in quanto facendo il cantore “freelancer” guadagnava molto di più fra Messe, adorazioni, vespri, tridui, novene, ottavari, benedizioni e via dicendo. Questo episodio mi ha sempre fatto pensare quanto la vita liturgica fosse intensa in chiese grandi e piccole, il che non significa che il livello delle celebrazioni fosse sempre dignitoso, ma che c’era uno standard con cui confrontarsi.
Oggi quanto ancora possiamo partecipare a adorazioni, vespri, tridui, novene, ottavari, benedizioni e via dicendo? È tutto praticamente scomparso dalla vita liturgica del fedele della Messa rinnovata e, purtroppo, anche in quella di non pochi sacerdoti. Nel libro La Messa Cattolica, scritto da mons. Athanasius Schneider in collaborazione con il sottoscritto, si parla anche della questione dei Vespri dicendo: “Dopo il Concilio si è creata una rottura e la celebrazione dei vespri domenicali è stata generalmente abbandonata. C’è stato un accentramento sulla liturgia della Messa (nel senso di fare della Messa l’inizio e la fine di tutto il culto pubblico). Invece la Chiesa ortodossa ha conservato inflessibilmente la fedeltà della celebrazione dei vespri domenicali in tutte le loro chiese parrocchiali. Loro non hanno un precetto domenicale stretto, ma i fedeli più devoti partecipano ogni domenica alla liturgia eucaristica. Non si comunicano così spesso, forse una volta al mese, ma coloro che si comunicano alla domenica (la liturgia è fino a mezzogiorno, come era da noi in precedenza fino a Pio XII) devono partecipare al vespro della vigilia del sabato e confessarsi. Possono anche confessarsi la domenica mattina, ma devono aver, di solito, partecipato al vespro domenicale alla vigilia della domenica, il sabato. Possiamo vedere qui la saggezza dei primi secoli e della tradizione apostolica che è stata conservata” (pag. 12). In effetti noi abbiamo perso quasi del tutto questa vita liturgica più ricca, più intensa. E questo vale naturalmente anche per la musica sacra. I musicisti di un tempo avevano una esposizione alla liturgia che noi ci possiamo soltanto sognare. Questo l’ho constatato consultando i vari programmi musicali in chiese in Italia e all’estero durante le ricerche per i miei libri e articoli: nella prima metà del secolo la vita liturgica e musicale era imparagonabile a quello che abbiamo oggi. Quanto abbiamo perso? So che diverse prospettive possono fornire una risposta diversa a questa domanda ma è certamente qualcosa da considerare attentamente.