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martedì 28 giugno 2022

Si può pregare in campo: la Corte suprema degli Stati Uniti dà ragione al coach

Tre giorni dopo la storica sentenza nel caso Dobbs c. Jackson Women’s Health Organization (№ 19-1392) (QUI la notizia su MiL), la Corte suprema degli Stati Uniti emette un’altra importante sentenza, questa volta occupandosi della libertà religiosa riconosciuta dalla Costituzione.
Lasciando all’articolo successivo (pubblicato sul quotidiano Avvenire) la narrazione della vicenda, seguita da testo della sentenza, ecco quanto ha affermato la Corte il 27 giugno:

«Kennedy c. Distretto scolastico di Bremerton (21-418)
Le clausole di libero esercizio e di libertà di parola del Primo Emendamento proteggono un individuo che si impegna in un’osservanza religiosa personale dalla rappresaglia del governo; la Costituzione non obbliga né permette al governo di sopprimere tale espressione religiosa.»

Il vento negli Stati Uniti sta cambiando e a chi domanda se dobbiamo temere la vittoria del Nemico, parafrasando la celebre poesia (Le Meûnier de Sans-Souci) di François Andrieux, possiamo ora rispondere: «Oui, si nous n’avions pas des juges à Washington» (Sì, se non ci fossero i giudici a Washington).

L.V.


Una scuola ha violato i diritti stabiliti dal primo emendamento (libertà di parola, stampa, religione) sospendendo un allenatore di football che pregava dopo le partite sul campo da gioco

La Corte Suprema americana, in un nuova sentenza appena pubblicata, ha stabilito che una scuola ha violato i diritti stabiliti dal primo emendamento (libertà di parola, stampa, religione) sospendendo un allenatore di football che pregava dopo le partite sul campo da gioco.

Dopo aver diviso l’America sul terreno rovente della libertà religiosa, il caso di un assistente allenatore di football americano, a livello liceale, licenziato per aver pregato a metà campo dopo la fine di ogni partita, era approdato lo scorso aprile a Washington.

La questione davanti alla Corte Suprema era se le preghiere sul campo di coach Kennedy fossero protette dal diritto alla libertà religiosa garantito dal Primo Emendamento, o se violassero lo stesso Primo Emendamento promuovendo una religione anziché un’altra.

Il 25 aprile i togati di Washington avevano iniziato l’esame di “Kennedy contro Bremerton School District”, la causa intentata da Joseph Kennedy, allenatore della squadra di un liceo vicino a Seattle, che al momento dell’assunzione, si era prefisso di inginocchiarsi “sul terreno della battaglia”, per “rendere grazie a Dio di ogni incontro, sia in caso di vittoria che di sconfitta”.

Kennedy era stato licenziato dal board delle scuole del distretto dopo esser stato ammonito a non mescolare sport e religione. Ed è un paradosso, ma entrambe le parti sostengono, sia pure da sponde opposte, che il caso rimette in gioco la libertà di fede. L’ex assistente allenatore di football della Bremerton High School, Joseph Kennedy aveva affermato alla tv americana Espn di non aver mai voluto diventare un simbolo della destra religiosa, o che il suo nome fosse menzionato da figure politiche tra cui il senatore Ted Cruz e l’ex presidente Donald Trump.

Kelly Shackelford, presidente del First Liberty Institute che rappresentava il coach, aveva affermato che una vittoria per Kennedy sarebbe stata “una vittoria per tutti”.

Le parti avevano offerto resoconti diversi di come erano andate le cose. Se il coach sosteneva di aver chiesto di poter pregare da solo e in silenzio, sia pure sul campo di gioco, agli occhi del board il suo gesto pubblico e il suo stato di leader della squadra rappresentavano una forma di pressione sugli studenti a prescindere dalla loro fede e dalla loro volontà di pregare.

È la seconda volta che la sua storia approdava alla Corte Suprema. Nel 2018 i giudici rifiutarono di affrontare il caso anche se quattro di loro - Samuel Alito, Clarence Thomas, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh - espressero all’epoca simpatia per la posizione del coach.





1 commento:

  1. Spero che almeno pregasse in latino con formule tratte da un libro di prima del Vaticano II!

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