Per ridere, ma non troppo.
Luigi
Tommaso Scandroglio, La Nuova Bussola Quotidiana, 03-05-2022
Prendete un sacerdote, un vescovo o un cardinale secondo lo spirito di oggi e traducete nella prassi medica ciò che, nella maggior parte dei casi, dice e fa: il risultato sarà paradossale, come tentiamo di illustrare in questa storiella...
Il signor Adamo Fedele accusava da tempo dei dolori al petto. Preoccupato e dietro suggerimento del suo medico di base, svolse alcuni esami. Con in mano i referti di questi esami, prese poi appuntamento per una visita presso un luminare della cardiologia, il dottor Gianprimo Pastori. Questi accolse con calore il sig. Fedele, lo fece sedere e poi lesse con attenzione gli esiti degli esami.
Il sig. Fedele allora chiese con una certa apprensione: “Allora, dottore, cosa ho? Le confesso che ho provato a leggere quei fogli, ma non ci ho capito nulla”. “Non si deve preoccupare proprio di niente, caro mio”, rispose il luminare e il Fedele tirò un sospiro di sollievo. “Vede - continuò il Pastori - qui è evidenziato, con la solita rigidità dei tecnici di laboratorio che non sanno di certo cosa è la vita reale, un significativo restringimento delle arterie cardiache”. Questa volta il Fedele trattenne il respiro. “Ma solo la medicina tradizionale la qualifica come una patologia - riprese il medico -. Studi recenti, sulla scia dell’insegnamento del Congresso Cardiologico II, ci dicono che si tratta solo di una variante normale della struttura delle arterie. E poi chi sono io per giudicare che è una patologia?”.
- “Come una variante normale? Non mi pare normale che si restringano”, ribatté il Fedele.
- “Lei ha troppe certezze. Deve coltivare il dubbio, mio caro Fedele, il dubbio sistematico”, rispose il dottore.
- “D’accordo, ma come la mettiamo con i miei dolori al petto? Questi, senza dubbio, ci sono eccome!”.
- “Quei dolori sono psicosomatici, sono una reazione emotiva ad un certo ambiente salutista che ha in odio situazioni come la sua. Quindi si tranquillizzi”.
- “Ma, dottore, mi perdoni. Se io volessi comunque curare quel restringimento come dovrei fare? Così… tanto per essere ancor più sereno”.
- “Beh, in questo caso si curi seguendo lo spirito della medicina”.
- “Prego?”.
- “Caro il mio Fedele, non bisogna arroccarsi in vecchi schemi del passato, ma aprirsi al nuovo, a quella medicina in ascolto dei tempi moderni. O meglio, faccia risuonare in lei stesso lo spirito della medicina e questo spirito la saprà indirizzare al meglio”.
- “Scusi, ma mi pare un po’ vago come consiglio”.
- “Non è così, caro mio. Non ci si deve chiudere in un rigorismo secondo cui ad esempio una cardiomiopatia è una patologia. Lei mi dirà che questo è ciò che sta scritto nei sacri testi di medicina. Ma occorre andare oltre la lettera di questi testi, scrutare i segni dei tempi della scienza, perché lo spirito della medicina soffia dove vuole, anche laddove noi poveri medici non ci saremmo mai aspettati che soffiasse. E poi non si deve curare il paziente per forza, altrimenti risulterebbe discriminatorio, quasi che solo i sani possano dire di stare bene”.
- “E dunque, dottore, mi devo tenere questo restringimento delle arterie? Non sarà pericoloso?”.
- “Pericoloso?! Basta con questa medicina del terrore e impietosamente giudicante. La medicina è gioia, pace, accoglienza del diverso - chi più diverso del malato? - apre ad un destino di felicità e prosperità. Con la medicina attuale nessun paziente vedrà la morte, ma tutti saranno salvati”.
- “Io però dottore, prima di questa salvezza sento ancora dolore al petto”.
- “Vedo che lei è un ansioso. Allora facciamo così. Camminiamo insieme, caro Fedele, io e lei”.
- “Ma io non voglio camminare insieme a lei, io voglio guarire!”.
- “È quello che le sto tentando di spiegare. Camminiamo insieme e poi il cammino ci indicherà la cura. Ha capito, ora?”.
- “E, scusi, concretamente questo cosa vuol dire?”.
- “Vuol dire che il medico prima di spiegare e consigliare, si deve mettere in ascolto del paziente, perché da lui può imparare molto. E dunque prima dica la sua ed io accoglierò in spirito di servizio le sue preziose indicazioni. Insomma, dialoghiamo, confrontiamoci, non chiudiamoci ognuno nel proprio orticello, ma andiamo incontro l’uno all’altro. Solo così potremo curarci, perché le differenze di vedute non possono che arricchirci”.
- “Ma io non ho studiato come ha fatto lei. Che peso potrebbero avere le mie opinioni?”.
- “Guardi che anche lei è medico, anche lei riveste il mio stesso ruolo. Non creiamo separazioni, steccati e muri. Quanta arroganza nel pensare che noi medici abbiamo in pugno la verità scientifica! Ognuno invece può scoprirla da sé, basta essere docili ai suggerimenti dello spirito della medicina, come le dicevo poc’anzi. Dunque si faccia coraggio e mi indichi lei la terapia che però deve nascere dalle sue esigenze profonde, dai suoi desideri più veri, perché quelle esigenze e desideri sono espressioni di ciò che necessita il suo corpo”.
Il sig. Fedele, tra lo stupefatto e lo stordito, balbettò allora qualcosa: “Beh… se devo dirle quali sono i miei desideri e voglie… ecco… come vede sono un po’ sovrappeso. Non le nascondo che sono una buona forchetta”.
- “Bene, bene, il cibo è salute, il nostro organismo per sua natura chiede di essere alimentato, quindi che problema c’è?”.
- “Vuole dunque dire che posso continuare a mangiare quanto voglio e ciò che voglio?”.
- “Ma certo! Che domande! Guardi, un mio collega dietologo mi ha confidato che lui accoglie a braccia aperte gli obesi e anche la loro obesità. E poi, mi perdoni, questo forse non le dà gioia e serenità?”.
- “Beh… sì”.
- “Allora continui così. Poi, vediamo cosa suggerisce d’altro?”.
- “Odio muovermi e fare sport, mi piace la vita comoda, se proprio vuole conoscere le mie esigenze profonde, come le ha chiamate lei”.
- “Giusto! Il nostro corpo non deve essere stressato, ma, sempre per una sua inclinazione naturale, cerca il riposo, la quiete. Vede che non ne sbaglia una? Vede che è medico anche lei?”.
Il sig. Fedele se ne andò dallo studio dello specialista, assai soddisfatto, nonostante avesse dovuto sborsare 230 euro, e felice che le sue autoprescrizioni coincidessero in tutto e per tutto con i recenti studi della nouvelle médecine, come l’aveva definita il dott. Pastori. E dunque continuò a curarsi a base di fritti e sedute sul divano. Poco dopo morì.